L’Anticristo dalla Bibbia a Nietzsche

Un’eruditissima scorribanda storico-filosofica di Marco Vannini affronta a muso duro l’argomento: con non poche notizie attendibili, interessanti sorprese ma alcune gravi lacune

di Loris B. Emanuel

anticristo_vanniniSalvo variegate eccezioni, è pressoché impossibile ignorare un libro di Marco Vannini, grande esperto di mistica occidentale, soprattutto quando, come in questo caso, l’argomento è uno di quelli oltremodo “attuali”. La Mondadori ha infatti appena dato alle stampe L’Anticristo. Storia e mito. Non si tratta d’un testo d’apologetica cristiana, bensì d’una scorribanda informatissima, che parte, ovviamente, dalla Bibbia per chiudersi con Nietzsche, passando per tutte le tradizioni occidentali che hanno parte nella trattazione di questo incandescente argomento. A parte una qual certa tendenza a ripetersi, Vannini esplora ogni anfratto in cui si celino tracce profetiche dell’Anticristo, cercando innanzitutto di (s)piegarne il mito alle “ragioni della ragione”, liquidando così ogni simbolismo ad avviso dell’autore falso e bugiardo. Se però da una parte Vannini scioglie, almeno in parte, gli arcani d’un mito che, se preso alla lettera, potrebbe risultare ridicolo, dall’altra la falce semplificatoria rischia talvolta di sferrare colpi piuttosto maldestri, dalle cui procurate ferite sgorgano – soprattutto se si conosce la produzione precedente dello studioso fiorentino – pregiudizi e fonti ben poco attendibili. Ad esempio il capitolo sull’Anticristo nell’Islam fa acqua da quasi tutte le parti e non apporta niente, semmai anzi sottrae, alla conoscenza dell’escatologia musulmana ed è una sezione del saggio da potersi tutto sommato saltare a piè pari.

Tuttavia se dotati di sufficienti anticorpi che constano in qualche lettura pregressa (penso per esempio agli studi di René Guénon e di Ananda K. Coomaraswamy), il saggio è una vera miniera in cui a tratti ci si può imbattere in piccole venuzze aurifere.

Tre capitoli centrali andranno a tal proposito segnalati: «Il messia Anticristo», «L’Anticristo in Russia» e «Il Signore del mondo». Qui Vannini, con un coraggio raro tra gli addetti ai lavori teologici e religiosi, mette nero su bianco alcune prefigurazioni dell’Anticristo, quali per esempio le figure di Sabbatai Zevi, Jakob Frank, Moses Dobrushka, insieme a noti eventi della storia moderna, quali per esempio la Rivoluzione francese. Il capitolo sulla Russia porta il lettore occidentale a sondare un dominio sovente negletto, che è quello apocalittico ed escatologico presente in moltissimi autori russi, dallo “scontato” Dostoevskij a «Tolstoj Anticristo?», a Solov’ev, ai misconosciuti ma interessantissimi (soprattutto il primo) Merezkovskij e Rozanov. Equilibratissimo poi il capitolo sugli ominosi Protocolli dei Savi anziani di Sion.

Un vero vacuum del libro è invece il capitolo dedicato a Lutero: se Vannini fosse dotato di certune informazioni, forse avrebbe osato maggiormente affrontando come si conviene la figura del riformatore tedesco, secondo qualcuno addirittura precursore dell’Anticristo.

Sorpresa finale è proprio il capitolo dedicato a Nietzsche, il cui Anticristo e la relativa visione moraleggiante e disinformatissima sul filosofo tedesco e su alcuni suoi “famigerati” testi sono riletti alla luce d’una visione costante nell’opera vanniniana che però necessita di robuste rettifiche.

storia-della-mistica-occLa tesi di fondo del capitolo, in parte già preconizzata nella Storia della mistica occidentale, è che Nietzsche possa essere annoverato addirittura tra i mistici cristiani. Posizione invero non originale, ché già de Lubac e soprattutto il citato Coomaraswamy s’erano espressi in tal senso, quest’ultimo in maniera magistrale ne La visione cosmopolita di Nizetzsche. Vannini però si spinge, sotto certi aspetti, oltre, anzitutto esplicitando che l’Anticristo nietzscheano «non è affatto un libro anti-Cristo, ovvero contro la figura di Gesù, bensì conto la Chiesa, che ha creato un “cristianesimo” come dottrina teologica e morale, che non deriva affatto dall’esempio di Gesù, ma, anzi, ne è il completo rovesciamento». «Nell’Anticristo Nietzsche – scrive ancora Vannini – sostiene che Gesù, questo gran simbolista, prese per realtà, per “verità”, soltanto le realtà interiori, dando a ciò che sta nel tempo e nello spazio, a tutto ciò che è storico, solo il valore di un segno […]. Il “regno di Dio” non è una cosa che si aspetta, non ha né passato né avvenire; è un’esperienza del cuore; non viene tra “mille anni”, ma è, plotinianamente, dappertutto e in nessun luogo». E ancora: «La buona novella è precisamente la soppressione di ogni distanza tra Dio e l’uomo: sottolineiamo questo punto, che inserisce a pieno diritto Nietzsche nel cuore della tradizione mistica più profonda, quale per esempio Meister Eckhart».

Tutto sommato si tratta di tesi da ritenere, ma il capitolo va ovviamente letto tutto con attenzione per infine riscontrare alcuni imperdonabili errori valutativi. Nel complesso l’atteggiamento di Vannini-Nietzsche è parecchio incauto sotto molteplici aspetti: il pessimo trattamento riservato alla figura di san Paolo, una certa semplificazione per ciò che concerne il simbolismo e una predilezione per vie troppo larghe, che si rivelano pericolosissime scorciatoie.

Purgato però degli elementi devianti, che, ripeto, possono essere intercettati con agio soltanto con robusti anticorpi dottrinari pregressi (ciò che vale per la più parte dell’opera vanniniana), il capitolo dedicato a Nietzsche può senza alcun dubbio fornire il materiale necessario per una riflessione profonda sul rapporto tra l’uomo e Dio, che tuttavia non dovrebbe arenarsi su questa stessa riflessione ma condurre ben oltre.

Marco Vannini, L’Anticristo. Storia e mito, Mondadori, Milano 2015

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