Ali Kazuyoshi Nomachi / Seyyed Hossein Nasr, La Mecca e Medina. Le città sante dell’Islam, (trad. it.) White Star, Vercelli 2004

di Enrico Galoppini

mecca_coverI temi dell’«origine» e del «centro» sono rappresentati nell’Islam dalla Ka‘ba, quel «tempio al centro nel mondo» che ogni musulmano considera, simultaneamente, in un rapporto statico (l’orientamento della salât, cinque volte al giorno) e dinamico (la mèta dello hajj, almeno una volta nella vita per chi è in grado di farlo).

La fondazione della Ka‘ba rimanda ad un tempo originario della ‘storia islamica’ dell’umanità, ed essa sta al «centro» di questo mondo poiché nel Cosmo islamico si situa sull’Asse che unisce il Cielo (dove si situa il «Trono divino») alla Terra.

Svolgendovi attorno il settuplice tawâf (circumambulazione) in senso antiorario, il musulmano percorre un cammino a spirale di rigenerazione verso la sua «origine» (origine dell’uomo tout court, poiché, si ricordi, per l’Islàm ciascun uomo nasce «muslim»), eventualmente fino a toccare la Pietra Nera, il ‘limite ultimo’ del mondo, il suo ‘centro di gravità’, la pietra angolare dell’universo. Sette sono i giri, come sette sono i cicli dell’umanità che ha ricevuto l’Islàm come ultima Rivelazione, e sette sono i Cieli – presidiati dai precedenti Inviati – ascesi dal Profeta durante il mi‘râj (sura XVII).

azraqiLa Ka‘ba, com’è noto, venne svuotata degli idoli dal Profeta dell’Islam una volta che Mecca fu conquistata alla Dîn al-Fitra (la religione della «Natura primordiale dell’uomo»): se la Ka‘ba è simbolo del «centro» del mondo – il che implica «di tutti i mondi» (al-‘âlamîn) -, il suo corrispondente in quel ‘tempio microcosmico’ che è il corpo dell’uomo (haykal) è il cuore, che va, appunto, svuotato degli ‘idoli’. Chiarito ciò, si capisce perché la Ka‘ba è rivestita con quel drappo nero (la kiswa) finemente ricamato con versetti coranici d’oro: essa è una sorta di «corpo vivente», e la kiswa è il suo ‘vestito’.

L’edificio, naturalmente, in ragione della sua forma cubica simboleggia anche l’armonia, la stabilità e l’immutabilità dell’Islam (gli arkân ad-dîn sono in un certo senso quattro – come gli angoli della Ka‘ba – più uno): si noti per inciso che, in ambito islamico, un conto è l’azione tradizionale di «rinnovamento» (tajdîd), un’altra quella, antitradizionale, di «innovazione» (bid‘a).

Che tutto nel hajj rivesta un significato simbolico si capisce perfettamente in questo libro fotografico della serie del National Geographic, i cui testi sono curati da un’autorità quale Sayyid Hussein Nasr, autore di vari studi sull’Islàm pubblicati in italiano dall’editrice Rusconi (Il Sufismo, L’uomo e la natura, Ideali e realtà dell’Islam).

KabaaIl ritorno all’«origine» e al «centro» è anche un ‘morire’ alle cose del mondo, e per questo il pellegrino conserverà, per farne il sudario, l’ihrâm, i due pezzi di stoffa non cucita indossati durante il hajj. E chi muore durante il hajj muore da martire (shahîd): lo stesso vestire l’ihrâm è una sosta di «morte alle cose del mondo», e la piana di ‘Arafât – dove Adamo ed Eva «si ritrovarono» – simboleggia la piana di Mahshar, quella del Dì del Rendiconto.

Se poi si riflette sulle due parti della shahâda (l’attestazione di fede dell’Islam per cui «Non c’è divinità se non Iddio e Muhammad è l’Inviato d’Iddio»), si capisce anche l’importanza e la complementarità di Mecca e Medina. Ecco perché, nel superlativo apparato fotografico di questo libro, opera di ‘Ali Kazuyoshi Nomachi, fotografo giapponese musulmano, alla «Città del Profeta» è riservato un adeguato spazio. I pellegrini – sebbene controllati dalla polizia religiosa wahhabita (s’intravede alle pp. 114-115) – vi si recano per recitare un du‘â’ sulla tomba di Muhammad , il «polo della sua epoca» accanto al quale stanno i sepolcri di Abû Bakr e ‘Umar, i suoi «aiutanti», oltre che primo e secondo califfo: ecco che anche nell’Islàm vi è una rappresentazione di quella gerarchia trifunzionale che forse troppo superficialmente si attribuisce ai soli «Indoeuropei».

 

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