Massimo Fini, Il Mullah Omar, Marsilio, Venezia 2011
di Enrico Galoppini
Che cosa può avere in comune un uomo di cinquant’anni che ne ha passati trenta a combattere gli invasori della sua terra e i loro collaborazionisti con un altro che ha trascorso la sua esistenza facendosi sostanzialmente i fatti suoi mentre tutto intorno gli crolla addosso?
Aggiungiamoci poi che il primo è devotissimo e consapevole che chi vende la sua terra perde il suo Dio. Il secondo, all’esatto opposto, perde giorno dopo giorno brandelli della sua terra perché s’è dimenticato di Dio.
L’uno è un essere umano sostanzialmente radicato nella sua tradizione, l’altro è l’uomo moderno che con la tradizione ha reciso il legame.
Ecco, credo che stia tutto qui lo “scandalo” che la biografia di Massimo Fini dedicata al Mullah Omar ha suscitato nei commentatori più in voga dei giornali e delle riviste italiane. Di un’Italia che s’è andata a ficcare in una bega, quella afghana, che non le competeva, ma l’ha fatto per compiacere il padr… ehm, “l’alleato” americano.
Quello che non è stato perdonato a Massimo Fini, specializzato nella ‘riabilitazione’ di personaggi consegnati dalla damnatio memoriae (tra questi, Nerone), è dunque questo: che ha sbattuto in faccia ad una pletora di nullità esistenziali la loro più intima essenza, ponendo loro davanti lo ‘specchio’ del Mullah Omar.
Che forse ancora più di Hitler o Stalin, e probabilmente più di Bin Laden (che comunque conosceva bene la “modernità” e l’accettava in buona parte), è l’inconcepibile per eccellenza di coloro che vivono beati e soddisfatti nei loro comfort. Ed istupiditi ad un punto tale dal non capire che i Talebani col cosiddetto “terrorismo” (“islamico” o altro) non c’entrano un accidente. I talebani – come spiega con dovizia di particolari ed aneddoti l’autore di pamphlet memorabili – sono dei patrioti, punto e basta, piaccia o non piaccia.
Certo con la loro particolare weltanschauung islamica declinata secondo l’interpretazione uscita dalle madrase del Pakistan piene di profughi della guerra con l’Urss. Ma in grado di garantire per alcuni anni, in un trentennio di guerre, ad una terra che tutti (pashtun, tagiki, uzbechi, hazara ecc.) sentono propria, un livello di sicurezza che nessuna “missione internazionale” in nome degli altisonanti “valori occidentali” è mai stata capace di stabilire. Semplicemente perché col passare degli anni, dopo una serie inenarrabile di atrocità subite dagli afghani (tra cui le assurde e vigliacche stragi effettuate coi droni), questi non ne possono più di avere stranieri tra i piedi e sono perciò contenti di sopportare quello che al limite – i talebani – sono per essi il male minore.
Eppure, proprio per la sua assoluta indisponibilità ai compromessi con gli occupanti tipica dei vari Karzai e dei “signori della guerra, il Mullah Omar è assurto, per un certo periodo di tempo – prima che arrivasse sugli schermi televisivi direttamente da Hollywood il “califfo al-Baghdadi” – a simbolo del “Male assoluto”, di cui l’Occidente ha sempre un gran bisogno.
Dicevamo che questo incredibile personaggio, schivo, a suo modo gentile e alieno da ogni gratuita efferatezza, sintetizza tutto quello che gli occidentali moderni – in particolare i leccapiedi del giornalismo “autorevole” e chi li segue – detestano in maniera assoluta: la religione, il patriottismo, la disposizione al combattimento.
Se a ciò si aggiunge l’amore per una vita sobria e spartana, lontana dalle luci della ribalta, e l’inflessibilità nell’applicare la legge a pro della sicurezza della propria gente, si ricava l’esatto opposto di chi per primo s’è scagliato contro Massimo Fini e, tramite lui, un personaggio eroico dei nostri tempi dal quale noialtri, che tremiamo come foglie alla sola minaccia del declassamento del “rating”, dovremmo solo prendere lezioni per dare avvio alla nostra lotta di liberazione dall’occupante straniero.