Gianni Lannes, Italia, Usa e getta. I nostri mari: discarica americana per ordigni nucleari, Arianna Editrice, Bologna 2014

di Enrico Galoppini

COVER_italia_usa_e_gettaTutti più o meno hanno sentito parlare delle “ecomafie” in Italia, e purtroppo ci sono molti italiani per i quali il problema è vissuto direttamente sulla propria pelle.

La “Terra dei fuochi” ha catalizzato per mesi l’attenzione mediatica, tanto che persino a Sanremo il dramma delle popolazioni di quelle lande sventurate ha trovato un momento di celebrità, in una specie di ‘dramma nazionalpopolare’.

Quando si sente parlare di disastri ambientali e di malaffare correlato alla gestione dei rifiuti la mente dei più corre alle “mafie” nostrane, che alimentano una certa letteratura “shock” alla Gomorra, mentre svanisce completamente il perché queste organizzazioni sono così potenti in un Paese che da settant’anni ha perso la sua sovranità.

Il libro di Gianni Lannes, Italia, Usa e getta (Arianna Editrice, 2014) c’introduce opportunamente in un altro di tipo di “ecomafia”, quella gestita direttamente dal governo degli Stati Uniti d’America, cioè dallo sponsor di quelle altre mafie caserecce che hanno ispirato personaggi come il Commissario Montalbano.

Ovviamente, nessun commissario e nessuna “Antimafia” nulla possono contro chi ha trasformato i nostri mari in una “discarica per ordigni nucleari” (cito il sottotitolo del libro) e ha disseminato il Belpaese che fu di un centinaio di ordigni nucleari.

Tutto alla chetichella, con “accordi” coperti dal massimo “segreto”, cioè quello dei vigliacchi e traditori che hanno fatto a gara nel coprire, primariamente alle popolazioni delle adiacenti basi Usa e Nato, la presenza di bombe atomiche e di residui estremamente nocivi.

La beffa nella beffa è che l’Italia non dispone né del nucleare ad uso civile né di quello applicato all’ambito militare, ma questo non ci ha salvati dal doverci prendere la nostra dose di rischi per la salute, compresi quelli derivanti dai sottomarini a propulsione nucleare (ed armati in vari casi con armi nucleari) che nei nostri mari si sono resi protagonisti di incidenti mai saliti agli onori delle cronache (cap. 2).

Se non fa “notizia” uno yankee ubriaco che crea problemi ad un italiano, figuriamoci cosa può trapelare di quello che accade a Ghedi Torre (BS), Aviano (PN) o a Camp Darby, tra Pisa e Livorno, che gli italiani forse conoscono più per qualche filmetto con Bud Spencer piuttosto che per essere il luogo in cui transita di tutto e di più, senza che nessun “Gabibbo” tanto solerte a recapitare “tapiri” arrivi a chiedere lumi.

Le denunce di alcuni cittadini impavidi non hanno così sortito alcun effetto, perché in Italia non si deve mettere in discussione la presenza di armi nucleari statunitensi, dato che esse servono alla strategia di… difesa!

Una “difesa”, secondo la neolingua dei militari a stelle e strisce e dei loro lustrascarpe italioti, che manco a dirlo apposta mira all’attacco.

E quando ad interessarsi al problema della sicurezza di questi ordigni sono dei membri di quella massima istituzione rappresentativa democratica che dovrebbe essere il Parlamento (si pensi alle interrogazioni di Beppe Niccolai, pp. 66-67), la risposta dei ministri competenti è all’insegna dell’elusività, infarcita di “presunti”, “ipotizzati” e via tergiversando sui terribili rischi che corrono quelli che, fino a prova contraria, sono i loro connazionali (pp. 31-33).

La verità è che gli Usa intendono usare l’arma nucleare sul suolo europeo, con l’Italia destinata a diventare campo di battaglia tra Occidente e Eurasia. Ma come scrive giustamente Lannes, “le novanta bombe atomiche di Ghedi e Aviano sono il segno della fedeltà transatlantica”, ed aggiunge sarcastico, a sottolineare il servilismo ignobile dei “nostri” politici e militari, che l’appartenenza alla Nato non ci obbliga affatto ad ospitare simili ordigni…

Ma gli sciuscià italioti non si limitano a spalancare le porte al Badrone (la B non è un refuso). Essi, mentre si riempiono la bocca con la solita storia delle “bellezze naturalistiche”, non trovano minimamente contraddittorio ridurre autentici paradisi come quelli della Sardegna a luoghi nei quali i livelli di contaminazione sono sinceramente preoccupanti.

A beneficio del lettore, tante volte si fosse distratto, sarà bene ricordare che stiamo parlando di unità sottomarine straniere, come quelle che hanno seriamente inquinato l’area della Maddalena.

Gli studi ci sono (come quelli del prof. Massimo Zucchetti, del Politecnico di Torino), le denunce anche, comprese quelle giornalistiche come questa di Lannes (che per questa ed altre ha subito varie pesanti minacce), eppure tutto tace e procede come nulla fosse. Finché non accadrà una catastrofe di proporzioni immani?

Perché evidentemente non basta l’elevata incidenza di tumori del sangue riscontrata – specialmente tra i bambini – nella zona di Lentini (SR), che guarda un po’ non è troppo distante da Sigonella.

A pagina 73 Lannes ricorda due gravi incidenti aerei occorsi a velivoli statunitensi schiantatisi al suolo, nel 1984 e nel 1985, proprio da quelle parti: che cosa trasportavano non è mai stato appurato, anche perché immediatamente le operazioni di soccorso vennero gestite dai nostri “alleati”, con gli italiani a far la parte dei servi sciocchi che poi s’ammalano e non sanno con chi prendersela.

Il libro di Lannes, in mancanza d’altro, è come un grido, che si spera però non resti nel vuoto, ma venga raccolto da una generazione di italiani meno serva di quelle che ci hanno immediatamente preceduto.

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