A. James Gregor, Giovanni Gentile. Il filosofo del fascismo, Pensa Multimedia, 2014
di Antonio Messina
In un libro pubblicato nel 2002, lo storico Emilio Gentile ha esordito la sua Introduzione con una domanda che ai più potrà forse sembrare buffa o superficiale. La domanda che si poneva l’autore era: “è esistito il fascismo?”. Notando l’esistenza di una “questione omerica” attorno al fascismo, l’autore ha evidenziato come «il fascismo sembra essere ancora un oggetto alquanto misterioso, che sfugge alla cattura di una chiara e razionale definizione storica», in quanto al fascismo viene contestata una sua ideologia, un suo sistema politico e una sua dimensione culturale e autonoma[1].
Il rilievo di Emilio Gentile è tutt’altro che assurdo e superficiale. Per molti decenni una vasta schiera di intellettuali si è affannata a negare l’esistenza di una ideologia fascista, vedendo nel fascismo un epifenomeno della borghesia industriale, il risultato di una “malattia morale” o la conseguenza di deficienze psicologiche e patologiche di una «società malata»[2]. Per comprendere appieno questo clima, basterà citare i “classici” giudizi espressi da alcuni intellettuali nel corso degli anni: nel 1924 il leader comunista Antonio Gramsci aveva definito l’ideologia del fascismo come «un trastullo per i balilla»[3], Croce la definiva un «morbo intellettuale e morale»[4], Gobetti la vedeva come frutto di «trasformismo, di insincerità, di compromessi, di ricatti»[5], Eugenio Garin la considerava reazionaria e di matrice cattolica[6], infine Bobbio definiva i fascisti come «intellettuali di mezza tacca… produttori di ciarpame»[7].
Nel corso degli anni questo clima si è gradualmente capovolto, ed oggi ci sono studiosi di grande valore i quali sostengono che l’essenza del fascismo consiste principalmente nella sua ideologia, e che se vogliamo comprendere il fascismo dobbiamo anzitutto capire la sua ideologia[8].
Tra gli studiosi del fascismo che più spiccano per originalità e importanza c’è sicuramente l’americano Anthony James Gregor, i cui lavori hanno rappresentato l’inizio di una nuova stagione storiografica. Gregor ha insistito sull’idea che il fascismo abbia posseduto un «fondamento razionale», ossia una base dottrinaria tutt’altro che eclettica e improvvisata, ma articolata in un complesso sistematico solido e coerente, indicandone le fonti principali nel pensiero di Giovanni Gentile, che a suo avviso aveva fornito al regime «il fondamento razionale normativo più solido e valido»[9].
Proprio sulla centralità e l’importanza rivestita da Giovanni Gentile quale filosofo e ideologo primo del fascismo, Gregor ha dedicato un volume apparso negli Stati Uniti nel 2001[10], e solo di recente pubblicato in Italia col titolo Giovanni Gentile. Il Filosofo del Fascismo[11].
Sulla scia degli studi di Augusto Del Noce, che per primo sostenne l’importanza del filosofo siciliano in veste di principale teorico del fascismo, Gregor ribadisce la tesi che «Gentile fornì al fascismo alcuni dei suoi elementi fondamentali, elementi senza i quali il fascismo, come un corpo di pensiero, non avrebbe avuto gran parte della sua identità, integrità e capacità di persuasione»[12].
Da giovane Gentile aveva pubblicato due studi sul pensiero di Karl Marx, proponendo una lettura in chiave “idealistica” del marxismo, rigettando le componenti materialistiche introdotte da Engels. È così che per il Marx di Gentile erano gli uomini gli artefici del proprio destino, ed in quanto tali costantemente protesi a cercare di cambiare il mondo più che interpretarlo. L’opposizione al determinismo materialista si enucleava attorno al concetto rivoluzionario della prassi come prodotto dell’attività cosciente degli uomini. Per Gentile «è l’uomo, in breve, che fa la storia e le leggi che la governano». Queste idee non potevano che cozzare contro un materialismo che concepiva un mondo in cui «gli individui al suo interno avevano poca o nessuna scelta morale»[13].
Negli anni seguenti Gentile scrisse una serie di articoli in cui formulò il suo pensiero politico. Esso partiva da una critica al positivismo che considerava una «debolezza intellettiva e morale», un ostacolo per la creazione di una “Grande Italia”[14] . Per il raggiungimento di quest’obiettivo sosteneva la necessità di un rifacimento morale degli italiani, impresa filosofica e pedagogica di «travolgente grandezza».
Gli “uomini nuovi” pensati da Gentile erano indispensabili per la creazione di una nazione rinnovata e redenta. Con crescente ardore faceva appello alla volontà, alla fede, all’impegno e alla disciplina per fare dell’Italia una grande nazione, protagonista e creatrice di una nuova “civiltà millenaria”.
Criticava la democrazia, i partiti e il parlamento in quanto deleteri per lo sviluppo morale e materiale della nazione. Per Gentile lo Stato doveva essere concepito come una realtà morale che si realizza attraverso il volere etico dei suoi cittadini. Per fare questo, l’Italia vittoriosa di Vittorio Veneto «doveva abbandonare la vecchia nozione liberale che vedeva gli individui come nient’altro che creature particolari senza radici, indifferenti e opposti ad una vita vissuta in comunità»[15].
La riforma morale degli italiani era quindi – per Gentile – un caposaldo fondamentale nella creazione di una comunità nazionale armonica e compatta. Il filosofo riteneva che gli individui, in quanto esseri sociali, potevano realizzare sé stessi solo in comunità, e quindi che essi dovessero identificarsi con lo Stato, sua espressione manifesta. Negli anni successivi arrivò a sostenere che la Nazione non esiste se non in quanto «creata» dallo Stato. Quest’ultimo doveva essere animato da una “concezione religiosa della vita”, necessaria a instillare un nuovo «spirito» nei suoi cittadini. Per Gentile – che si richiamava espressamente a Mazzini – la politica doveva essere vissuta come fede, e la sua finalità ultima consisteva nella trasformazione delle coscienze e nella creazione di una nuova realtà nazionale.
In tal senso Gentile poté affermare con ragione di non aver scoperto le “idee fasciste” dopo la marcia su Roma, ma di essere stato un “precursore” del fascismo anni prima del suo avvento, e per ciò si impegnò attivamente nella costruzione del nuovo Regime totalitario. La simbiosi tra il fascismo di Mussolini e l’attualismo di Gentile fu del tutto naturale, in quanto entrambi condividevano un comune orizzonte culturale: il rifiuto dell’individualismo liberale, la concezione dell’uomo quale “essere collettivo”, la critica al materialismo, l’esaltazione e la preminenza assegnata ai “valori spirituali”.
In Le due Italie di Giovanni Gentile, Gennaro Sasso ha cercato di spiegare l’adesione di Gentile al fascismo leggendola alla luce della sua peculiare interpretazione della storia d’Italia. Per Sasso, Gentile non aderì al fascismo in virtù della sua filosofia, ma perché vide in esso la possibilità di portare a termine un disegno politico iniziato con il Risorgimento, il quale non era riuscito completare il processo di creazione di una coscienza nazionale unitaria. Sasso, in breve, nega l’esistenza di un nesso diretto tra le convinzioni filosofiche di Gentile e la sua adesione al fascismo[16].
Al contrario di Sasso, la tesi portata avanti da Gregor tende a dimostrare che Gentile fu a tutti gli effetti il “filosofo del fascismo”, e che il suo attualismo alimentò la dottrina del fascismo. Gentile contribuì a creare un regime che celebrava il mito dello Stato e aveva della politica una concezione integrale e assoluta. Considerava il fascismo come una missione da svolgere, come un impegno politico ed esistenziale costante. A Gentile Mussolini affidò la responsabilità di redigere le Idee Fondamentali della ufficiale Dottrina del Fascismo, testo che De Felice ritenne essere il documento più importante dell’ideologia fascista[17].
Invero, all’interno del Regime fascista, non pochi furono gli antigentiliani che presero posizione contro la consistente egemonia culturale di Gentile. Antigentiliani furono i cattolici, che accusarono l’attualismo di essere una nuova religione laica che aveva divinizzato il pensiero e dato vita ad una mistica moderna che utilizzava un linguaggio simile a quello della religione. Antigentiliani furono anche molti fascisti convinti che accusarono Gentile di essere un liberale che aveva aderito al fascismo solo per realizzare la sua riforma scolastica. Gregor legge queste critiche in ragione di una certa “libertà intellettuale” mai negata dal fascismo, che – a differenza di quanto avveniva nell’URSS di Stalin e nella Germania di Hitler – consentiva il dibattito e la presenza di dispute dottrinali, purché non prendessero di mira Mussolini, il Partito o lo Stato[18]. Secondo Gregor, alcuni fascisti si rifiutarono di identificare l’attualismo come fondamento filosofico del fascismo, ma i loro tentativi di cercare un’alternativa ad esso o risultarono poco convincenti o finirono per assomigliare al sistema filosofico fornito da Gentile[19].
Un ultimo aspetto molto importante trattato da Gregor è quello del razzismo fascista che, vagamente basato su “dati biologici”, rigettava una visione “strettamente materialista” ed era inteso come “fondamentalmente spiritualistico”[20]. Questa nuova fase della politica fascista non vide il coinvolgimento di Gentile, che rimase estraneo a qualsiasi tipo di razzismo, sia esso biologico o spirituale. Gentile infatti «non aveva mai mostrato il minimo pregiudizio nei confronti di un qualsiasi gruppo razziale, nazionale o etnico»[21]. Il razzismo era estraneo all’attualismo, e qualsiasi genere di materialismo era antitetico all’idealismo assoluto di Gentile[22].
Gentile continuò la sua attività di intellettuale fascista, fornendo assistenza a studiosi e colleghi ebrei. Le idee di tutta la sua vita lo spinsero ad aderire alla successiva esperienza della Repubblica Sociale Italiana, ove si appellò alla morale e all’intelligenza per scongiurare gli orrori della guerra civile[23].
In qualità di maggior teorico e intellettuale del fascismo, fu assassinato il 15 aprile 1944 da una banda di partigiani. Come Socrate, anche Gentile finì coll’essere trucidato dalla “fiorente democrazia”.
Note:
[1] Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, Editori Laterza, 2002, pp. V-VI.
[2] Cfr. A. James Gregor, Il Fascismo. Interpretazioni e giudizi, Antonio Pellicani Editore, 1997.
[3] Alessandra Tarquini, Storia della cultura fascista, Il Mulino, 2011, p. 15.
[4] B. Croce, Scritti e discorsi politici (1943-1947), a cura di A. Carella, 2 voll., Bibliopolis, Napoli 1993, vol. II, p. 48.
[5] Piero Gobetti, Scritti politici, a cura di P. Spriano, Torino 1969, pp. 585-90.
[6] Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana. 1900-1943, Bari, Laterza, 1966.
[7] Giuseppe Volpe, Storia costituzionale degli italiani, 2 voll., G. Giappichelli Editore, Torino 2015, vol. II, p. 259.
[8] Emilio Gentile, Fascismo. Storia e interpretazione, cit., pp. 265-302.
[9] A. James Gregor, L’ideologia del fascismo, Il Borghese, 1974, p. 214.
[10] A. James Gregor, Giovanni Gentile: Philosopher of Fascism, Transaction Publishers, 2001.
[11] A. James Gregor, Giovanni Gentile. Il filosofo del fascismo, Pensa Multimedia, 2014.
[12] Ivi, p. 101.
[13] Ivi, p. 98.
[14] Ivi, p. 100.
[15] Ivi, p. 114.
[16] Cfr. Gennaro Sasso, Le due Italie di Giovanni Gentile, Il Mulino, 1998.
[17] Renzo De Felice, Mussolini il duce. I: Gli anni del consenso 1929-1936, Einaudi, 1974, p. 35.
[18] A. James Gregor, Giovanni Gentile. Il filosofo del fascismo, cit., pp. 129-130.
[19] Ivi, p. 139.
[20] Ivi, p. 154.
[21] Ivi, p. 155.
[22] Ivi, p. 156.
[23] Ivi, p. 165.