G. Fasanella, M.J. Cereghino, Colonia Italia, Chiarelettere, Milano 2015
di Maurizio Barozzi
Per introdurre adeguatamente quest’importante libro, dobbiamo fare una necessaria premessa storica.
La disgrazia per il nostro paese (se avessimo avuto una sufficiente potenza economica e militare, avrebbe potuto essere una fortuna), si determinò a metà dell’Ottocento, quando venne scoperto il petrolio che in poco tempo divenne la principale materia energetica per l’industria e i trasporti, e al contempo fu aperto il canale di Suez.
In quegli anni l’Italia, una portaerei naturale nel Mediterraneo, assunse una dimensione strategica enorme per il controllo delle rotte da e verso i paesi produttori di petrolio e altre materie prime: il Medio Oriente e l’Africa. Controllare l’Italia, averla nella propria sfera di influenza, significava controllare il processo geopolitico del futuro ed assicurarsi buona parte del predominio internazionale. Lo capirono immediatamente gli inglesi, soprattutto, e i francesi, e quindi fu da quel momento che il sostegno verso i fremiti e le istanze risorgimentali che si manifestavano in Italia, da ideal-massonico divenne ancor più concreto e intenso: finanziamenti, intelligence e armi.
Il Risorgimento ci assicurò una certa dimensione nazionale e la possibilità di unire genti eterogenee in una unità nazionale e spirituale che diede vita alla Nazione italiana.
Il lato negativo dell’apporto anglo-francese al nostro Risorgimento, fu quello che il paese si trovò invischiato da una specie di “protettorato” soprattutto britannico e quindi buona parte della nostra economia e finanza e della nostra editoria che attendeva alla cultura nazionale si svilupparono sotto l’egida massonica da sempre forte in quei paesi.
Furono soprattutto gli inglesi che si avvantaggiarono e riuscirono a mettere un piede in pianta stabile in casa nostra, potendo contare su larghi mezzi e sulla monarchia Sabauda, un tumore incistato nella nazione, che di fatto era una loro creatura. Casa Savoia da una parte e il Vaticano dall’altra, furono due corpi estranei agli interessi nazionali e il paese si trovò anche pervaso da una cultura di stampo massonico bilanciata da un’altra di stampo cattolico, entrambe sostanzialmente antinazionali e non fu un caso che quando il Fascismo tento di valorizzare una cultura “nostra” negli interessi italiani queste forze si misero decisamente di traverso.
Non essendo comunque l’Italia un vero e proprio protettorato ed avendo il paese sviluppato istituzioni e un suo assetto socio economico, il colonialismo inglese dovete indirizzarsi verso il controllo sottile mascherato e quasi invisibile delle intelligence e della propaganda. In questo senso fu soprattutto l’editoria, e in particolare i grandi mezzi di informazione, giornali e riviste, che furono oggetto della invadenza e del controllo trasversale dei britannici. Gli inglesi ebbero gioco facile in quanto la loro editoria, i loro giornali, erano al tempo quanto di più efficiente e moderno possa esserci, e di conseguenza la nostra editoria cercava spesso di copiarne lo stile e le tecniche di comunicazione. Inviati, cronisti, giornalisti o direttori che venivano mandati in Inghilterra acquisivano le capacità manageriali e le conoscenze adeguate per fare un grande giornale, ma al contempo erano preda della cultura anglosassone, delle loro tradizioni, e spesso erano infeudati da legami massonici o di intelligence con le conseguenze che anche buona parte della nostra editoria, di fatto, diventava filo britannica.
E gli inglesi, è bene specificarlo subito, non regalavano niente: ogni loro atto, ogni loro “amicizia” e concessione era finalizzata ai loro interessi di grande nazione colonialista che aveva un Impero da governare.
In tutto questo non agiva solo uno spontaneo andazzo di rapporti umani, imprenditoriali e culturali, ma vi erano anche apposite strutture di intelligence e organismi si Stato impiegati per la propaganda e il controllo sulle nazioni straniere.
Questo colonialismo, sottile e perverso, durò almeno fino alla fine della Seconda guerra mondiale, ma anche successivamente gli inglesi non persero mai l’interesse a condizionare ampi strati della nostra nazione, a proteggere i loro interessi a scapito dei nostri, ad intervenire anche pesantemente e violentemente tutte le volte che gli era necessario. La Seconda guerra mondiale però sancì il passaggio della Colonia Italia nelle mani degli Stati Uniti d’America. E il servaggio continua tutt’ora.
Anche qui ci sarebbe da raccontare un’altra storia fatta di colpi bassi e di rapporti di forza tra britannici e statunitensi, che alla fine venne vinta dagli americani in virtù di un grande accordo mediato dalla massoneria finanziaria americana con il Vaticano, per il quale il nostro paese finì nella sfera d’influenza della nuova grande potenza statunitense che si era accollata, con Jalta, il dominio di mezza Europa. La liquidazione della monarchia sabauda, la rinascita e la ristrutturazione delle nostre strutture di sicurezza ad opera della intelligence americana, le reti Stay Behind e le Gladio, ecc., il tutto ancora pagato in termini di servaggio, di strategie della tensione per perpetuarlo, di omicidi eccellenti e di stragi. Ma questa è un’altra storia.
Il libro Colonia Italia
La politica britannica nei nostri confronti può essere riassunta in una frase dell’ambasciatore inglese a Roma nel 1971: “L’obiettivo primario della nostra opera informativa consiste nell’influenzare l’opinione pubblica italiana in funzione degli interessi britannici”.
Ed è questa l’ottica che ha sempre guidato, con impiego di uomini e larghezza di mezzi, le strategie britanniche. Di conseguenza il testo di Cereghino e Fasanella ricostruisce le ingerenze inglesi nei nostri confronti, soprattutto nell’ambito diplomatico, editoriale, giornalisti e scrittori, ovvero tutte quelle personalità, quei circoli culturali in grado di influenzare l’opinione pubblica italiana.
Vengono invece trascurati altri episodi quali interventi di intelligence cruenti, veri e propri crimini, operazioni sporche di servizi, ma del resto la desecratazione dei documenti e il reperimento degli stessi nei National Archives a Kew Gardens, a sud di Londra, negli scaffali del Public Record Office, non potevano di certo fornire informazioni e segreti di questa portata.
Qui è anche bene accennare ad un limite che si riscontra sempre nel leggere la Storia attraverso questo genere di documentazioni, perché una cosa è certa: i documenti veramente compromettenti, quelli di ordine “criminale”, ammesso che ci siano in quanto certe operazioni spesso non lasciano tracce documentali, non si reperiscono di certo negli archivi di Stato. Quindi bisogna accontentarsi di quello che passa il convento che magari a volte consente di arrivare a ricostruire per deduzione anche questi avvenimenti. In questo senso qualcosa di più le troviamo in un altro libro, a questo omogeneo, pubblicato sempre da Chiarelettere: Il golpe inglese, ancora di G. Fasanella e M.J. Cereghino, del 2011.
Per tornare a Colonia Italia, se l’obiettivo era di promuovere e proteggere gli interessi di Sua Maestà nel Mediterraneo, che gli inglesi consideravano un loro lago, uno spazio vitale per le rotte petrolifere e le strategie militari, e questo obiettivo dev’essere conseguito influenzando l’opinione pubblica italiana consentendo di far assurgere a posizioni di potere personaggi favorevoli agli inglesi, è naturale che il massimo degli sforzi si indirizzarono verso giornali, radio e, dal secondo dopoguerra in avanti, la televisione.
La strategia britannica, di conseguenza, prese ad agire su intellettuali, scrittori e giornalisti anche di fama, facendogli pervenire materiali, informazioni e, se il caso, finanziamenti i cui beneficiari, come premettono gli autori, a volte forse non erano “nemmeno al corrente della fonte dei materiali che ricevevano”. Troviamo così i grandi giornalisti del Corriere della Sera, i Barzini, i Benedetto Croce, gli Indro Montanelli, e tanti altri intellettuali che comunque gli inglesi considerano “amici” o persone di grande talento ed influenza che gli possono tornare utili…
Il libro pubblica anche un clamoroso elenco di giornalisti, scrittori e intellettuali che hanno orbitato in questi traffici, ricevuto prezioso materiale informativo e riservato, se il caso finanziamenti. Occorre però precisare che non sempre siamo in presenza di veri e propri atti di “corruzione” o di “assoldamento di penne”, ma di una “rete” di interessi, di rapporti e relazioni nella quale far affluire informazioni, magari taroccate, ma sempre di spessore, linee culturali, in grado di influenzare queste personalità, mettendole al contempo in grado di utilizzarle nel loro lavoro e quindi nella carriera. L’uso che poi effettivamente ne fecero cambia da personaggio a personaggio.
Spesso comunque queste operazioni provocavano scandali che travolgevano personalità politiche o di governo sgradite agli inglesi.
Tanti gli intellettuali considerati “amici” dagli inglesi e per i quali – anche questo è bene specificarlo – in certi casi si è in presenza di veri nemici dei nostri interessi nazionali.
Lo si evince in un dispaccio inedito di sir Ashley Clarke, l’ambasciatore inglese in Italia: “Se al Dipartimento informativo dell’ambasciata viene chiesto di dare ampio risalto a un determinato argomento, è consuetudine stabilire un contatto con giornalisti amici per enfatizzarne i punti più importanti”. Viene così ad essere documentata una luce sinistra sulla storia italiana dall’unità in avanti con tanto di perfide manovre che ci portarono in guerra a fianco dell’Intesa nel 1915, ci boicottarono durante il “Ventennio” nella nostra crescita di sia pur piccola media potenza, e ci danneggiarono seriamente durante la Seconda guerra mondiale.
Nel secondo dopoguerra, a parte certi scandali procurati per ridimensionare De Gasperi, per distruggere Enrico Mattei, per osteggiare Aldo Moro e molte sporche manine nella stessa “strategia della tensione”, l’ingerenza inglese assunse un aspetto più defilato, trasversale, avendo dovuto gli inglesi lasciare il bastone di comando agli Stati Uniti.
In ogni caso, nel 1975, quando la Tripoli di Gheddafi e l’Eni siglarono un ulteriore accordo petrolifero che danneggiava gli interessi inglesi, Londra aumenta i suoi sforzi propagandistici e compromissori, come riportato da un suo documento, per moltiplicare “i contatti personali con giornalisti, funzionari della radio e della televisione, agenzie di stampa, esponenti del governo e via dicendo per assicurarci il sostegno dei media nel momento del bisogno”.
Le documentazioni e le ricostruzioni di questa sporca attività britannica nel nostro paese sono tante per cui rimandiamo alla lettura del libro.
Mussolini e gli inglesi
Dispiace notare che gli autori Fasanella e Cereghino non sono nuovi dall’insinuare sospetti atti a dipingere Mussolini come un “agente inglese”, finanziato dagli stessi, e persino implicato nel delitto Matteotti. Non lo si dice chiaramente ma lo si intende, per qualche collusione con gli inglesi in sintonia con i teoremi, perché altro non sono, dello storico Mauro Canali.
È quindi necessario spendere qualche parola per precisare e considerare queste insinuazioni.
Premettiamo intanto che il finanziamento, da parte di chicchessia, a partiti o figure rivoluzionarie, non sempre costituisce una forma di corruzione. Tutt’altro. Questi traffici rientrano in una legge storica: ogni volta che alla ribalta delle cronache, della Storia emerge una forza, una figura sopra le righe, sempre e comunque ci sono poteri o contropoteri che hanno interesse a finanziare per timore o per propri interessi. Al contempo i rivoluzionari non hanno difficoltà ad incassare questi finanziamenti perché la politica, le rivoluzioni, si fanno con i soldi, tanti, e i soldi si trovano o con gli espropri armati o con i finanziamenti. Ma questa non è corruzione, sono le necessità della politica.
Come noto, Lenin venne finanziato dalla Finanza di Wall Street, e per giunta rientrò nel 1917 a Mosca in un treno blindato, carico di denaro, messo a disposizione del Kaiser di Germania. Hitler da parte sua ebbe finanziamenti finanche da banche ebraiche, mentre Mussolini venne finanziato, tramite la Massoneria, da coloro che erano interessati all’interventismo italiano, poi come vedremo dagli inglesi e così via.
Ma solo uno storico sprovveduto o sciocco può sostenere che Lenin, Hitler e Mussolini furono corrotti o furono pedine di chi li ha finanziati. Che a sua volta, in quel momento, aveva interesse, per ragioni o strategie sue, all’agitazione rivoluzionaria di Lenin, Hitler o Mussolini.
Detto questo, vediamo quindi i finanziamenti inglesi a Mussolini.
Si era nel 1917, e nel paese stava montando l’opposizione alla guerra che poi, dopo Caporetto, minacciava di far crollare il fronte interno. Inglesi e francesi già paventavano l’uscita dell’Italia dalla guerra. Gli inglesi individuarono nel giornale di Mussolini, Il Popolo d’Italia, un deciso sostegno per tenere il fronte interno, e quindi presero a finanziarlo.
Non vediamo dove sia il problema, visto che Mussolini accettando quei finanziamenti non faceva altro che sostenere le sue note ragioni politiche e veniva finanziato da una nazione in quel momento nostra alleata, per una causa comune: le sorti della guerra. Sarebbe stato diverso se avesse accettato denaro dai nemici in guerra con noi, gli austroungarici o i tedeschi: in quel caso sarebbe stato un vero e proprio tradimento esattamente come per quegli antifascisti che nell’ultima guerra servirono gli interessi degli Alleati andando contro il proprio paese.
Finita la guerra, negli anni successivi, durante la rivoluzione fascista e gli scontri dei fascisti contro i “rossi”, il giornale di Mussolini e il Fascismo ebbero, come tutti i movimenti in circostanze simili, finanziamenti da più parti, ovvero da coloro che avevano interesse a sostenerli o ad ingraziarsi una forza che dimostrava di poter prendere il potere.
Ai britannici, per esempio, non dispiaceva che in Italia si affermasse un Stato forte e si chiudessero le porte a qualsiasi possibilità di sovvertimento bolscevico. Gli inglesi – e ce lo mostra chiaramente l’esame delle loro relazioni internazionali – avevano interesse alla stabilità del nostro paese per via della sua delicata funzione strategica sulle rotte petrolifere. Come fu poi evidente, sbagliarono il “cavallo”, perché Mussolini dimostrerà ben presto di avere a cuore gli interessi politici del paese.
Non fu un caso che intellettuali e giornalisti che il libro di Fasanella e Cereghino ci indica essere strenui filo-britannici – come Barzini jr. o il direttore del Corriere della Sera, fatto senatore del Regno, Luigi Albertini – dopo aver appoggiato Mussolini fino alla marcia su Roma, si trovarono poi con lui in dissidio. Nel caso di Albertini, essi erano legati ad ambienti liberali e finanziari che, con buone ragioni, cominciavano a paventare l’operato dirigistico del Duce, impegnato a difendere le ragioni dello Stato contro ogni ingerenza liberista e della finanza speculatrice. Allo stesso modo della famigerata Banca Commerciale di Toeplitz entrarono in collisione con Mussolini, anche se poi Barzini, evidentemente facendo il doppio gioco, rimase come “penna” a disposizione del regime e venne usato da Mussolini stesso per i rapporti con gli inglesi. Anni dopo, quando durante la nostra “non belligeranza” Barzini jr., corrispondente da Londra del Corriere della Sera, in una relazione mostrata poi a Mussolini mostrò acquiescenza e supervalutazione degli inglesi, Mussolini, andando su tutte le furie non ebbe esitazioni a definirlo “un cretino”. Veramente avrebbe dovuto definirlo assai peggio.
Nel corso del Ventennio, Mussolini, da capo dello Stato ebbe modo di intrecciare accordi o di avere dissidi, di essere in sintonia o di traverso con i britannici, come ovviamente avviene nelle vicende internazionali. In ogni caso ben sappiamo che gli interessi geopolitici inglesi erano opposti ai nostri, laddove questi atavici “pirati internazionali” consideravano il Mediterraneo un loro lago. Mussolini difendendo sempre le nostre ragioni e i nostri interessi finì inevitabilmente, nonostante ogni tentativo di accomodamento, per trovarsi in guerra con loro. Ma c’è anche dell’altro: Mussolini indirizzò lo Stato fascista, nonostante compromessi e debolezze che non mancarono, in una prassi e conformazione ideale laddove gli interessi economici e finanziari erano subordinati a quelli etici e politici.
Una conformazione queste che gli tirò addosso l’odio della potente massoneria finanziaria ed ovviamente della City di Londra e di Wall Sreet. Altro che Mussolini “agente inglese”!
Tra i documenti elaborati dal War Cabinet a Londra da Churchill in persona ne emerge uno del dicembre 1940, segreto e titolato: “Il collasso dell’Italia: le ragioni propagandistiche britanniche”. Vi si invita a mettere in campo ogni mezzo ed espediente possibile, e il bersaglio principale è Mussolini contro cui, Londra, vuole scatenare una “campagna personale” da condurre però con attenzione perché gli italiani, si avverte, amano il Duce.
Non crediamo ci sia ulteriore bisogno di mostrare come Mussolini difese sempre e soltanto gli interessi del nostro paese fino ad arrivare allo scontro armato con i britannici e ci perse la vita.
Il caso Matteotti
Gli autori mostrano di condividere i teoremi di Mauro Canali circa le responsabilità di Mussolini nel delitto Matteotti, e su questo ci sarebbe molto da dire, ma soprassediamo non essendo questa la sede. Rimandiamo a due nostri lavori:
Il delitto Matteotti (http://fncrsi.altervista.org/il_delitto_matteotti_150218.pdf);
e Delitto Matteotti: il teorema di Mauro Canali (http://fncrsi.altervista.org/Delitto_Matteotti_Il_teorema_d…).
Qui, nel loro testo, gli autori apportano due insinuazioni per puntellare il teorema Canali, in riferimento ai britannici.
Si parte dalla considerazione, del tutto superficiale, che i conservatori inglesi appoggiarono Mussolini durante la sua ascesa al potere e che poi quando a Londra salirono al potere i laburisti di McDonald, costoro ci vollero veder chiaro e fornirono scottanti documentazioni a Matteotti nel corso del suo viaggio a Londra dell’aprile del 1924 circa certi traffici petroliferi, e questi, divenuto un pericolo, dovette essere eliminato.
Tutto un teorema insomma, per mettere in mezzo Mussolini, che si regge su congetture, ma, come detto, non è questa la sede per confutarlo.
Il libro riporta che il consigliere britannico William McClure seppe che De Bono era tra i capi della Ceka (il gruppetto di sicari, guidato da Dumini, che spesso svolgeva lavori sporchi e violenti). L’informazione gli venne procurata da personaggi legati al mondo liberale e filo-britannico attorno al Corriere della Sera, che lo indirizzarono, per averla, dal Duca Giovanni Antonio Colonna di Cesarò, altro personaggio ambiguo, ministro nel governo fascista, ma filo-britannico e legato a certe sette esoteriche anglofile.
Di conseguenza, De Bono, venuto a conoscenza che Matteotti sarebbe stato in possesso di pericolosi documenti, avuti a Londra, che avrebbero inchiodato il Re Vittorio Emanuele III e Mussolini, attivò la Ceka per eliminarlo.
In realtà, probabilmente, De Bono, in qualche modo, era implicato in quel delitto, ma non di certo come “capo della Ceka”, ed in ogni caso De Bono agiva per obbedienza massonica, per il suo essere anche lui filo-britannico e per rendere servigi a Vittorio Emanuele III. Quel delitto, come è facile dimostrare, fu contro Mussolini, ed è del tutto campato in aria volerci implicare per forza il Duce.
De Bono era a capo della Polizia, e servendo Mussolini e il Fascismo (ma ancor di più casa Savoia), serviva se stesso e la sua carriera, ma in casi di tale importanza e criminalità De Bono era di certo gestito da ben altre forze.
Un altro episodio ricordato dagli autori si svolse a Derna, in Libia, nel 1941, quando gli inglesi in casa di Dumini (il sicario a capo della spedizione che uccise Matteotti), ben nascosti, trovarono documenti molto importanti sul delitto Matteotti. Trasmessi a Londra, venne chiesto di pubblicarli per colpire il regime fascista.
Sembra però che Churchill si oppose decisamente, sostenendo che quella pubblicazione avrebbe ancor più potuto danneggiare gli inglesi. La storiografia antifascista legge questo episodio nel senso che probabilmente gli inglesi ebbero a suo tempo: una parte nelle presunte speculazioni petrolifere di Mussolini, pertanto colpire Mussolini voleva dire autoaccusarsi.
Ma sono solo congetture in contraddizione con il fatto che, semmai, le speculazioni petrolifere del 1924 erano avvenute con l’americana Sinclair; che ambienti della massoneria e laburisti inglesi fornirono a Matteotti documenti proprio per denunciare i traffici sporchi con la Sinclair, e questi traffici probabilmente riguardavano il Re Vittorio Emanuele III, da sempre impelagato con gli inglesi anche per i giacimenti di petrolio in Libia (si era impegnato a non renderli ancora noti). Non Mussolini.
Churchill sapeva bene che uno scandalo in piena guerra avrebbe travolto il Re che ben sapeva fosse filo-britannico e su cui contava per defenestrare Mussolini e ribaltare il fronte, e che quindi tale scandalo avrebbe coinvolto e danneggiato anche gli inglesi.
Né si può avanzare il sospetto che Churchill temesse solo che uscissero fuori vecchi appoggi e sostegni propagandistici al regime di Mussolini da parte dei Tories, perché questi sostegni erano noti e comunque non potevano di certo mettere in crisi i britannici. Quindi se vere sono le preoccupazioni di Churchill di temere qualcosa, egli temeva implicazioni inglesi negli scandali petroliferi e nel delitto Matteotti, e se queste implicazioni ci sono, esse riguardavano Casa Savoia e i britannici.
La storiografia antifascista che tende a leggere questi avvenimenti contraddittori spiegandoli con le differenze che potevano esserci tra i precedenti governi conservatori di Londra favorevoli a Mussolini, e il nuovo governo Laburista di McDonald durante il delitto Matteotti non favorevole, non si rende conto che trattasi di distinzioni relative, nel caso ci fossero veramente stati dietro grandi interessi industriali, petroliferi e massonici. Laburisti e conservatori non sono mai stati in netta e irriducibile opposizione, e neppure potevano essere in contraddizione nella comune necessità geopolitica di avere in Italia un governo forte e stabile.
Per concludere consigliamo decisamente la lettura di Colonia Italia, un libro indispensabile per comprendere la nostra storia recente.
Se la Storia infatti non può essere letta solo con l’ottica “complottista”, perché vi agiscono azioni e reazioni, cause e concause che cambiano sempre il quadro generale degli avvenimenti, che scombinano piani e trame ordite da tempo, è altrettanto vero che il complottare, il corrompere, l’agire per vie traverse, le operazioni false flag, ecc., sono una componente inalienabile della natura umana e quindi della Storia stessa.
Quello che si svolge dietro le quinte dei fatti apparenti di cronaca occorre comprenderlo, averne conoscenza, perché niente accade per caso.
Il nostro paese fu un importante bastione strategico della dominazione imperiale britannica, e come tale venne considerato e trattato. Noi ne subimmo le conseguenze, in quanto i britannici, considerandoci una Colonia, non ebbero scrupoli.
Le vicende del nostro Risorgimento, l’apporto ad esso dato dalla massoneria e dagli anglo-francesi, contribuirono a creare un substrato culturale, economico e finanziario dove gli elementi filo-britannici nascevano per “germinazione spontanea”. E gli inglesi sfruttarono senz’altro questi elementi, tanto che si può dire che nella Seconda guerra mondiale gli inglesi in Italia ebbero bisogno di pochissime spie effettive, in quanto non pochi erano gli ambienti e i personaggi filo-britannici per natura.
Le cose non cambiarono quando poi siamo trasbordati sotto il dominio statunitense. Se oggi ci ritroviamo totalmente privi di ogni minima sovranità nazionale, le cause vanno ricercate partendo da lontano.
Se si vuol capire quanto siamo succubi degli inglesi, basta guardare i telegiornali dove ogniqualvolta un membro di quell’arida famiglia reale muove un dito, viene trasmessa subito a nostro disinteresse. Questa è la servitù dei nostri media nei confronti di un paese che senza colonie non sarebbe in grado, neppure per cinque minuti, di sopravvivere a se stesso. Non c’è paragone tra le nostre capacità e le loro ma, altre qualità che ci difettano fanno la differenza. Per noi stare nel paradiso, che è la posizione geografica nel mediterraneo, ci espone a nazioni che fanno della forza militare la maniera per imporsi. Vai dillo a quegli imbecilli che agognano un fiore al posto di un revolver. Il troppo pacifismo porta alla schiavitù.