A. J. Gregor, Riflessioni sul Fascismo italiano. Un’intervista di Antonio Messina, Apice Libri, Sesto Fiorentino 2016

di Enrico Galoppini

Il prof. Anthony James Gregor

Il prof. Anthony James Gregor

Anthony James Gregor è un professore americano che – incredibile a dirsi – con ogni probabilità ha compreso meglio di molti suoi colleghi italiani l’essenza del Fascismo.

Suoi studi furono pubblicati in lingua italiana negli anni Settanta, quando era stato avviato nel nostro Paese, sulla scia degli studi di Renzo De Felice, il dibattito sulle “interpretazioni del Fascismo”. Studi assolutamente imperdibili, come L’ideologia del Fascismo (trad. it. Edizioni del Borghese, Roma 1974), che in oltre 400 pagine fitte fitte rimetteva i puntini sulle “i” rispetto ad una materia sulla quale la confusione, soprattutto per interessata malafede, regnava sovrana.

Ma l’accademia italiana non ha mai dato troppa importanza agli studi di Gregor, il quale, in queste Riflessioni sul Fascismo italiano (Apice Libri, Sesto Fiorentino 2016) stimolate dalle domande di Antonio Messina ed introdotte dal prof. Alessandro Campi, ha così opportunamente passato in rassegna, ad oltre quarant’anni di distanza da quel memorabile studio, quali sono i capisaldi della sua elaborazione concernente un fenomeno così “scomodo” qual è il Fascismo.

Nelle prime pagine Gregor ripercorre il suo vero e proprio sbalordimento quando, stimolato da alcuni suoi docenti (non sospettabili di alcuna simpatia con l’oggetto di studio), venne a diretto contatto con la letteratura d’epoca fascista. Altro che “l’incultura” che la propaganda dei vincitori attribuiva allo sconfitto regime!

gregor_riflessioni_fascsismo_italianoQui tocchiamo un punto assai importante per approcciarsi correttamente allo studio del Fascismo, sotto ogni punto di vista (storico, ideologico ecc.): l’analisi delle fonti coeve. Un punto molto importante per lo stesso intervistatore, Antonio Messina, giovane ma accorto studioso che non si basa solo sulle interpretazioni e le ricostruzioni a posteriori (ovviamente le più serie e attendibili), ma ha la sana abitudine di attingere direttamente da ciò che dicevano e scrivevano i fascisti stessi, come ha dimostrato nel suo Lo Stato etico corporativo. Sintesi dell’ideologia fascista (Booksprint Edizioni 2013, significativamente con una prefazione di A. J. Gregor).

Altrimenti c’è il concreto rischio di raccontare e “ricostruire” un Fascismo immaginario, che è poi quello che passa oggidì per il tramite di certa divulgazione attardata su luoghi comuni triti e ritriti utili solo a puntellare lo status quo “antifascista”.

Senza voler togliere il gusto della scoperta, e precisando che anche l’interpretazione di Gregor non dice “tutto” ma apporta – com’è normale che sia – elementi importanti per una interpretazione generale del fenomeno fascista, elenchiamo per sommi capi i punti essenziali del pensiero del professore emerito di Scienza Politica presso l’Università della California a Berkeley.

gentile_filosofia_marxPrima sorpresa: il Fascismo non è “anti-marxista”. Con una precisazione. Il Fascismo opera una revisione anti-materialista del Marxismo. Non a caso, Giovanni Gentile era anche uno studioso dell’opera del “filosofo di Treviri”.

Benito Mussolini, senza il quale il Fascismo non sarebbe ovviamente mai esistito, fu senz’altro “revisionista” in questo senso rispetto al pensiero di Marx, integrandolo con altri autori e senza farne perciò una sorta di “oracolo” al quale subordinare la propria azione.

L’altro elemento fondamentale del Fascismo, e che lo accomuna ad altri sistemi di cui Gregor individua, talvolta in maniera sbalorditiva, gli elementi affini col Fascismo stesso, è la rivolta anti-imperialista.

Per essere anti-imperialisti non c’è bisogno di innalzare la bandiera rossa, e questo l’han sempre saputo tutti i rivoluzionari autentici, Lenin in primis, del quale è celebre la reprimenda da lui fatta ai socialisti italiani, colpevoli a suo dire di “essersi fatti sfuggire” l’unico uomo capace di fare la rivoluzione in Italia.

Ma dire anti-imperialismo è ancora forse troppo poco, se si considera il contesto generale nel quale si dibatteva l’Italia del primo dopoguerra. Il vero problema, per tutte quelle nazioni che non intendono morire nelle paludi del sottosviluppo, è quello della Plutocrazia.

Sì perché i signori del denaro, i plutocrati, hanno tutto l’interesse a sfruttare le nazioni deboli, che si fanno mettere i piedi in testa e non si ribellano. Ma che sono molto “pericolose” se lo fanno. Il Fascismo è stata così per Gregor una forma di rivolta contro lo strapotere degli “arrivati” e dei “soddisfatti”, per dirla con Mussolini, onde imprimere una svolta che tramite una “dittatura di sviluppo” ha posto al centro i ceti produttori a scapito dei “pescecani” (sempre per usare un termine in voga all’epoca).

Jamâl ‘abd en-Nâsir (Nasser), simbolo del "socialismo arabo"

Jamâl ‘abd en-Nâsir (Nasser), simbolo del “socialismo arabo”

Tratti di Fascismo, se non un’ispirazione più diretta, li si trova nel cosiddetto “socialismo arabo”, quello tanto odiato da tutti gli “islamisti” del mondo, i quali, più che “fascisti” come li dipinge la propaganda da “scontro di civiltà” sono assolutamente “antifascisti”, dato che del Fascismo storico (1922-1945) ripudiano praticamente tutto sia nella teoria che nella pratica.

Forse questo cosiddetto “islamismo radicale” ha qualche punto di contatto col Nazionalsocialismo, del quale Gregor – come De Felice – enfatizza più le differenze piuttosto che le similitudini col regime mussoliniano.

In ciò l’interpretazione dell’eminente studioso americano non può non dispiacere a tutti quelli che si sono adoperati per far transitare la favola del “nazifascismo” dalla terminologia propagandistica alleata al lessico degli studi scientifici.

Al “Fascismo nel mondo” Gregor dedica alcune dense pagine della sua intervista. Egli è senz’altro un teorico di un Fascismo ‘allargato’, al punto che persino nei rivoluzionari americani anti-britannici e nella Cina comunista si possono individuare – alla luce dei concetti-chiave dell’antimperialismo e della “dittatura di sviluppo” – chiari elementi fascisti o d’ispirazione fascista.

Qui il dibattito è ovviamente aperto e mai verrà detta una parola definitiva al riguardo, anche perché addirittura tra studiosi in buona fede vi è sempre un certo grado di “egocentrismo” che impedisce di scorgere quanto di più esatto vi è nell’elaborazione altrui.

Non ci sembra comunque questo il caso di Gregor, che senza la pretesa di aver “capito tutto” ci ha fornito, condensandole in questa fresca e godibile intervista, solide e credibili informazioni per giungere quantomeno ad una nostra idea autonoma sul Fascismo non falsata da meschini interessi di parte.

Gli articoli de Il Discrimine possono essere ripubblicati, integralmente e senza modifiche (compreso il titolo), citando la fonte originale.

There are 2 comments for this article
  1. BENNATO BENNATI at 2:46 pm

    Ancorché non abbia mai letto un rigo dei libri del Gregor ( avevo però memoria di una sua traduzione pubblicata dal ” Borghese”), ho sempre pensato che quella voluta da Mussolini, coll’intervento a fianco della Germania ( dopo circa un anno, prudentemente e molto… italianamente, passato giustamente alla finestra, per vedere fra i contendenti chi vinceva e chi perdeva ed avere ritenuto che era ormai essa ad essersi assicurata la partita ), fosse una guerra definibile a giusto titolo come una guerra di “liberazione” del Mediterraneo dall’imperialismo anglosassone ( nella specie britannico ) , come tale, sotto più riguardi, assimilabile alla guerra di unificazione della ex Indocina francese ( Tonchino, Annam, Cocincina ) e di liberazione dalla stessa da un altro imperialismo anglosassone ( nella specie nordamericano ) per lunghi anni condotta dal Vietnam del Nord e dai suoi dirigenti ( principalmente il presidente Ho-Chi-Min e il generale Giap ) fino alla loro vittoria finale, sintetizzata dalla famosa fotografia ritraente la ressa del personale americano sul tetto dell’ambasciata di Saigon per mettersi al sicuro all’interno del grande elicottero da trasporto che li avrebbe ricondotti a casa ( vittoria che in qualche modo rende giustizia anche ai ” cinque milioni di baionette ” di Mussolini e a suoi slogans tipo ” credere, obbedire, combattere”, dimostrando che un saldo proposito, l’unione degli animi, il coraggio, la costanza, possono superare differenze di risorse tecnologiche, economiche, o di altra natura , ma sempre di ordine quantitativo, facendo alla fine prevalere la parte più debole su quella che è considerata ed oggettivamente, nel caso vietnamita, era la parte più forte ).
    Guardando inoltre le immagini cinematografiche ( che ciclicamente programmi televisivi come queli di RAI – Storia fanno passare sul piccolo schermo perché – ritengo – non se perda memoria ) mostranti plebi italiote in tripudio ( nemmeno che , anziché perderla, fosse stata l’Italia ad avere vinto la guerra ) di fronte alle soldataglie alleate sfilanti attraverso le loro città ( salvo poi piangere lacrime amare incocciando in talune di particolare natura, come i ” goumiers” del Generale Jouin ) , un riferimento s’impone anche in relazione a quanto il sinologo Jean Chesneaux narrava ( il libro era ” Perché il Vietnam resiste” , Nuovo Politecnico Einaudi, 1968 ) circa sbarchi ( ovviamente segretissimi ) di personale dell'”inteligence” americana , nel Vietnam del Nord , per propagandare nei villaggi, presso la massa dei contadini, il nerbo della popolazione, allo scopo di spingerli al tradimento contro il loro governo, la libertà sub specie ” strips and stars” , i ” diritti umani” ( nonché tutto il resto dell’armamentario propagandato durante e dopo la guerra anche da noi, nelle ” rivoluzioni colorate” nell’ex Urss , nelle ” primavere arabe ” ecc. ) , accompagnando la propaganda , vien fatto di pensare, anche con generosa distribuzione ( come avveniva pure da noi col passaggio del fronte ) di generi di immediato consumo, quali le immancabili ” stecche” di sigarette, le tavolette di cioccolato ( whisky , soda e rock “n”roll … ., carità peraltro pelosa, pelosissima , richiedendo un suo corrispettivo e su quale fosse questo corrispettivo, rileggersi i libri di quel testimone oculare che fu lo scrittore Curzio Malaparte ).
    Sennonché i contadini vietnamiti non erano plebi pronte a dare, come altrove nel mondo, p.a e c.o per un pacchetto di sigarette, erano gente all’antica, adusa a vivere di poco, di pochissino, di un pugno di riso , e sopratutto legati fra di loro da quella che è stata definita la ” solidarietà della razza gialla”, solidarietà profonda, radicata nel sangue , nella stirpe e nella Tradizione ( il marxismo ufficiale del ceto dirigente, da esso appreso nelle università francesi , è sempre stato – si dice – una coloritura di facciata , idoneo forse per condurre quei popoli a colmare, a mezzo del dirigismo statale, l’arretratezza tecnologica onde potere competere con l’Occidente e realizzare nei confronti di esso quella che qualcuno ha definito “la vendetta degli imperatori del Tonchino” ) , per cui , narrava Chesneaux , gli spioni stelle e striscie , fallirono la missione , dovendo, e alla svelta , darsela gambe.
    Da noi è invece sempre stato tutto diverso, valendo il famoso , vecchio principio ” Franza o Spagna, purché se magna” , e questa è la spiegazione delle folle plaudenti , ancorché perdenti, al passaggio dei vincitori, nonché la dimostrazione del fallimento non solo del Fascismo, ma anche del Risorgimento nazionale ( di cui lo stesso Fascismo, bene o male, voleva essere e in qualche modo era il compimento ).

    • il discrimine Author at 9:04 am

      Solo un appunto: le “folle plaudenti” sono più che altro il risultato di una propaganda cinematografica “alleata”…

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*