Le ferrovie italiane: un’altra vittima dei “mercati”

di Michele Rallo

Il solito "capro espiatorio" che deve coprire le colpe di individui molto "altolocati": la gente comincia a non bersi più questo "scaricabarile"

Il solito “capro espiatorio” che deve coprire le colpe di individui molto “altolocati”: la gente comincia a non bersi più questo “scaricabarile”

E adesso, dopo i 27 morti di Ruvo di Puglia, è caccia ai responsabili. A pagare – come per tanti casi analoghi del passato – sarà il solito capo-stazione colpevole di “errore umano” o, tutt’al più, l’amministratore delegato di qualche piccola compagnìa cui si dà l’appalto dei “rami secchi”, di quelle tratte ferroviarie – cioè – da cui è praticamente impossibile ricavare degli utili appena appena decenti.

E – per carità! – una parte di responsabilità l’avranno anche loro, gli addetti. Ma, mai come in questo caso, è chiaro ed evidente che le responsabilità maggiori andrebbero ricercate più in alto, assai più in alto: fra coloro che sono responsabili dei tagli e dei mancati investimenti che hanno ridotto il sistema ferroviario italiano (con l’eccezione dei treni ad alta velocità e di lusso) a livello di trenini del Titicaca. È un altro fra i tanti frutti avvelenati del “liberismo” (nulla a che spartire con la nobile tradizione liberale dell’Ottocento), quella bislacca “ideologia” che postula l’eliminazione di ogni intervento dello Stato nell’economia; a esclusivo vantaggio non dei privati – come ipocritamente si dice – ma solamente di quei pochissimi e stramiliardari privati appartenenti alla ristretta oligarchia dei signori del “mercato globale”.

Naturalmente – per impedire che qualche Stato nazionale possa ancora esser tentato dal fare il proprio dovere – i medesimi privati “più privati degli altri” hanno pensato bene di togliere agli Stati stessi i mezzi indispensabili per operare, cioè il denaro. Oggi, nell’era

Una scena orribile che fa gridare "vendetta"

Una scena orribile che fa gridare “vendetta”

della globalizzazione economica, gli Stati non possono più battere moneta, ma devono necessariamente farsela prestare dal sistema bancario internazionale; costruendo il proprio “debito pubblico”, facendolo poi lievitare e, così, consegnandosi sostanzialmente nelle mani degli strozzini. Naturalmente, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Centrale Europea ed altri figli di troika vigileranno perché lo Stato vittima dello strozzinaggio paghi puntualmente gli interessi sul proprio debito, drenando così i pochi spiccioli ancora disponibili per la “spesa pubblica improduttiva”: sicurezza, previdenza, istruzione, salute, viabilità e – giustappunto – trasporti.

Ecco il meccanismo che – in uno alla generale macelleria sociale – ha condotto anche al disastro di Ruvo di Puglia. Un meccanismo simile ad altri che affliggono oramai tutti i comparti della vita economica nazionale; e che – per limitarci al campo del trasporto ferroviario – ha facilmente trovato le interfacce necessarie per dare attuazione ai particolari spiccioli: i “risparmi necessari”, la riduzione del personale, il taglio di tutti i costi (sicurezza compresa) e, naturalmente, i mancati investimenti in tutti gli ambiti non suscettibili di generare forti ricavi. Più chiaramente: investimenti nel TAV, sì; investimenti sulle tratte del pendolarismo, no.

Naturalmente, ogni tanto capita qualche governo che sposi una tale filosofia con più entusiasmo di altri. Prendete il governo Renzi, per esempio. Il suo scopo di vita è quello di “attrarre gli investimenti”. E ovviamente – anche se nessuno lo ricorda – i grandi investimenti vanno solo dove vi siano prospettive di una buona remunerazione; anche nel campo delle ferrovie e, più in genere, dei trasporti. Ciò ha comportato – per la Puglia e per l’intero Mezzogiorno – un’ulteriore penalizzazione, che è andata ad aggiungersi a tutte le altre che affliggono il territorio.

Planimetria della prima ferrovia Napoli-Portici-Torre-Castellammare/Nocera

Planimetria della prima ferrovia Napoli-Portici-Torre-Castellammare/Nocera

A questo punto sono costretto a ripetermi. Torno a proporre un passo di un articolo di qualche mese fa. Il pezzo s’intitolava “Ponte sullo Stretto? No, grazie” ed era comparso su “Social” del 13 novembre 2015: «Non credo che nella storia dell’Italia repubblicana ci sia mai stato un governo che – come l’attuale – abbia previsto in finanziaria che, delle somme assegnate al sistema ferroviario nazionale, il 99% vada al Nord e soltanto l’1% al Sud. Lo apprendo da un illuminante articolo del giornalista campano Mimmo Della Corte pubblicato su “Il Borghese” di ottobre. Lo stesso articolo cita un altro elemento che ben testimonia la precisa volontà di penalizzare le infrastrutture dell’intero Mezzogiorno a vantaggio di quelle del Nord: si tratta del Programma Operativo Nazionale Infrastrutture e Reti 2014-2020, redatto dal Governo italiano e prontamente approvato (ci mancherebbe altro!) dall’Unione Europea. Nell’elaborato si afferma che “data l’intensità di traffico e di infrastrutture portuali e di reti, il Centro-nord è naturalmente il principale destinatario e beneficiario degli interventi”. In quell’area s’intende anche privilegiare la rete ferroviaria e il sistema aeroportuale. E per evitare – incredibile! – che i porti del Sud possano fare concorrenza a quelli del Nord, in quell’area si andranno a rafforzare anche le strutture di trasporti complementari (aeree e ferroviarie), mentre non si farà nulla che possa favorire la “cannibalizzazione” da parte di soggetti del Meridione. Ecco la “filosofia” che presiede all’intera politica infrastrutturale del Governo Renzi – grandi opere comprese – nei riguardi della Sicilia e del Sud.»

Il "futuro" del trasporto ferroviario nel Meridione d'Italia?

Il “futuro” del trasporto ferroviario nel Meridione d’Italia?

Non un “normale” preconcetto verso il Sud – quindi – ma una banale, ragionieristica logica degli affari, in perfetto stile liberista. Il sistema dei trasporti del Nord appare in condizione di generare alti profitti e, quindi, di attrarre investimenti. Al Sud, invece, non si possono fare grandi affari. Che le ferrovie Bari-nord continuino ad arrancare, affidate alla volenterosa gestione casereccia della Ferrotramviaria SpA, lontano dagli occhi e dal cuore delle grandi imprese dell’alta velocità e delle lussuose carrozze arredate da Gucci e profumate da Cartier. E se, ogni tanto, qualche congegno arrugginito andrà in tilt e ci scapperà la strage, pazienza. Si troverà sempre un capo-stazione che possa pagare per tutti.

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