Via il prosciutto, arrivano le cavallette

di Michele Rallo

omsSarà stato un caso… o no? Fatto sta che soltanto pochi giorni separano l’allarme-carne dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dal voto del Parlamento Europeo che dà il via-libera alla commercializzazione di “cibi tradizionali” (leggasi: a base di insetti) provenienti da Paesi extraeuropei. Piccolo particolare, da non sottovalutare: l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è una struttura dell’ONU, e il voto del Parlamento Europeo per il “rispetto delle diversità” segue le indicazioni dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) che è un’altra propaggine dell’ONU. In altri termini: i due progetti – quello anti-carne e quello pro-insetti – promanano da quella stessa Organizzazione delle Nazioni Unite che è uno dei principali pilastri della manovra a tenaglia contro le sovranità nazionali: immigrazione massiccia, globalizzazione economica, mondialismo politico.

A questo punto, prima di proseguire, apro una parentesi di ordine personale: il sottoscritto, pur senza condividere il radicalismo di certi ambienti vegetariani, è favorevole ad una conversione graduale delle abitudini alimentari europee (e mondiali) in direzione di un minore utilizzo della carne e di un maggiore ricorso agli alimenti vegetali. Quando dico graduale – apro una parentesi nella parentesi – intendo riferirmi soprattutto ai tempi necessari per garantire una parziale riconversione (che deve essere finanziata dalla collettività) di attività economiche zootecniche in agricole. Perché ciò? Prescindendo da valutazioni di ordine etico, perché il costante incremento della popolazione mondiale ed il mancato sviluppo delle tecnologie di depurazione delle acque rendono inevitabile una scelta che, soprattutto nelle regioni più povere del pianeta, si imporrà a breve scadenza: quella di utilizzare al meglio le risorse idriche; e, ciò, considerando che per produrre un solo chilogrammo di carne bovina sono necessari 15.000 litri di acqua, con i quali si potrebbero invece produrre da 15 a 30 chilogrammi di cibo vegetale.

larva_nella_pastaChiusa la parentesi, volta soprattutto ad evitare che si possa pensare ad una mia difesa preconcetta delle abitudini alimentari “carnivore”. Torno, dunque, alle due convergenti campagne alimentari: è un caso che l’ONU sostenga che una quota significativa della dieta “occidentale” sia cancerogena, e che invece siano da preferire modelli alimentari diversi (e, per il nostro gusto, rivoltanti) che provengono dalle zone più povere e remote del pianeta? Già, perché – ribadisco – la decisione del Parlamento Europeo non fa che tirare la volata ad una vecchia – e fin’ora inascoltata – campagna della FAO in favore dei cibi terzomondisti. Non – si badi – una campagna che proponga agli europei (e agli americani) di preferire una dieta “occidentale” a base di vegetali ad una dieta “occidentale” a base di carne; ma una promozione sottile, suadente, che mira a convincerci della praticabilità di una dieta per noi inimmaginabile, improponibile, inammissibile, assolutamente disgustosa, estranea, anzi contrapposta alle nostre abitudini, ai nostri gusti, alla nostra civiltà, alla nostra stessa identità antropologica.

La campagna era iniziata nel 2008, con un convegno altisonante tenutosi in Thailandia; e da allora è stato tutto un susseguirsi di “veline” profuse a piene mani nei Paesi meta dell’emigrazione afroasiatica, a incominciare dall’Italia. È stato tutto un pestare e ripestare, un ripetere la stessa stucchevole solfa che, anno dopo anno, abbiamo visto riproposta – sempre uguale – sulla stampa d’informazione e sugli schermi televisivi: segno che il Minculpop del politicamente corretto continua a funzionare. Gli insetti sono ricchi di proteine e vitamine, gli insetti non inquinano, gli insetti sono gustosi, gli insetti costano poco… manca solo che gli insetti siano democratici e antirazzisti. E giù statistiche accattivanti e ammiccamenti esotici, uniti alle lodi progressiste in favore del “novel food”, il “nuovo cibo” che – giurano e spergiurano i guru della società senza muri – sarà il cibo dell’avvenire.

Fin’ora nessuno – almeno qui in Italia, patria del mangiar bene – li aveva presi sul serio. Quelli della FAO “se la cantavano e se la suonavano” da soli, e gli stessi giornali che ospitavano le loro veline lo facevano con malcelata ironia.

Ma, negli ultimi giorni, qualcosa è cambiato: prima la campagna terroristica contro le carni rosse e lavorate; e poi, quando ancora non si erano spenti gli echi dell’allarme-prosciutto, l’affondo del Parlamento Europeo: sarà consentita l’importazione e la vendita di prodotti alimentari “tradizionali” extracomunitari; dove per “tradizionale” si intende “un alimento utilizzato per almeno 25 anni da una popolazione” (una popolazione anche di poche migliaia di individui, naturalmente).

insetto_tavolaLa cosa, in sé, potrebbe non essere grave. In fondo, chi si farà convincere a cibarsi di bruchi e scarabei lo farà a proprio rischio e pericolo ed in base alla fiducia ahimè riposta nelle istituzioni europee. E, tuttavia, la politica ha il dovere di tutelare tutti, anche gli ingenui, ed anche – seriamente parlando – coloro che, in questi tempi di miseria dilagante, potrebbero essere tentati da cibi più economici ancorché meno sicuri.

Ma c’è un altro aspetto che a me sembra particolarmente grave: una lotta sorda, sottile, per ora prudente contro le nostre abitudini alimentari e l’apologia di modelli estranei alla tradizione europea. È il perfetto pendant di quanto sta avvenendo in tutti gli altri campi della nostra vita civile e sociale. Un altro filamento del DNA del nuovo europeo geneticamente modificato: senza una propria identità, senza una propria cultura, senza una propria lingua (che non sia l’inglese), senza una propria religione e, adesso, anche senza una propria tavola. È il modello che i poteri forti sognano per l’Europa di domani: multietnica, multiconfessionale, multiculturale, e così povera da non potersi permettere neanche una bistecca.

Fonte: “Social”, 27 nov. 2015 (per gentile concessione dell’Autore)

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