Marco Lenci, Corsari. Guerra, schiavi, rinnegati nel Mediterraneo, Carocci, Roma 2006

di Enrico Galoppini

Marco-LenciLa lettura di questo libro è stata come un tuffo nel passato: quando nei primi anni Novanta, iscritto all’Università di Pisa, ebbi la fortuna di seguire il corso di Storia dell’Africa del prof. Marco Lenci. Era un corso monografico sull’Islam e il mondo arabo, che fu un po’ il mio debutto in queste cose, per cui gli sono in un certo senso debitore se da quel momento ho preso ad interessarmi alla lingua araba, ai viaggi nei Paesi musulmani…

Quel che più mi è rimasto di quelle lezioni è l’entusiasmo che trasmettevano. Entusiasmo che raggiungeva l’apice quando si affrontava la storia dei corsari barbareschi, di quello spauracchio del “mamma li turchi” che un libro giunto a coronamento di meticolose ricerche dell’Autore riconduce a Storia a beneficio di un pubblico di lettori non necessariamente specialistico che si spera numeroso, in un periodo in cui ci vorrebbero far credere “noi” e “loro” siamo destinati solo e sempre a farci la guerra.

“Guerra” è difatti la prima parola del sottotitolo: ma, per esserci, una guerra ha bisogno di due contendenti, ed ecco che Marco Lenci mette in evidenza come sia da parte musulmana (le Reggenze barbaresche di Algeri, Tunisi e Tripoli, più il grande sponsor ottomano) sia da quella cristiana (l’Impero di Carlo V, e le varie marinerie degli Stati italiani, poi gli inglesi, gli olandesi, i francesi quando non furono più alleati della Sublime Porta… ed altri soggetti, tra cui Cavalieri di Malta e corsari privati) il Mediterraneo del Cinquecento e del Seicento[1] venne vissuto come uno spazio in cui esercitare un’egemonia innanzitutto politico-militare, ma anche commerciale e culturale.

lenci_corsariLa lettura di questo libro è senz’altro istruttiva per comprendere come queste due ultime dimensioni potessero comunque esplicarsi (con modalità ed esiti che sovente lasciano sbalorditi)[2] mentre “ci si faceva la guerra”: un insegnamento per chi anche oggi intende ridurre tutto al momento bellico e/o ‘civilizzatore’, senza considerare che l’eterogenesi dei fini è un meccanismo implacabile…

“Schiavi”: per Stati atipici come quelli maghrebini, la cui economia gravitava soprattutto intorno alla guerra di “corsa”, l’uomo era la preda più ambita. Alcuni erano venduti, altri venivano “riscattati”. Di nuovo, uno scontro prepara un incontro: le Compagnie cristiane specializzate nel riscatto, formate da religiosi, relazionavano su quelle contrade, così come i riscattati tornavano a casa e raccontavano quel che avevano visto ed appreso (e a loro volta erano stati fonti di conoscenze per le società maghrebine).

“Rinnegati”: ma c’era anche chi non tornava e sceglieva di “fare carriera” in una società dai caratteri fortemente dinamici (è noto il caso del calabrese Giovanni Dionigi Galeni, ‘Ulûj ‘Alî, uno dei capi della flotta ottomana nella battaglia di Lepanto), oppure chi volontariamente andava tra gli “infedeli” a cambiar vita; ma il libro giustamente parla anche degli schiavi musulmani, con un occhio di riguardo per alcuni casi italiani.

Sull’argomento aveva già scritto pagine importanti Salvatore Bono[3], ma questo libro – che si articola in tre parti: La corsa barbaresca; La risposta europea; Il lato umano: galeotti, schiavi, rinnegati – ha il pregio dell’equilibrio tra la puntualità dell’indagine scientifica e la vivacità della narrazione di una vicenda storica della quale l’Autore evidenzia – a mio avviso opportunamente – una dimensione umana che senz’altro rivelerà numerose sorprese al lettore[4].

Note:

[1] Nel Settecento il fenomeno persiste ma perde vigore per una serie di motivi ben spiegati nel testo, salvo poi riprendere dalla Rivoluzione Francese al 1830, l’anno della spedizione militare francese ad Algeri.

[2] Per questo va bene parlare in un simile contesto di “cristiani” e “musulmani”, purché si stia attenti a non generalizzare, dato che (come già avvenne nelle fasi delle Crociate e della Reconquista) si verificarono alleanze incrociate, tradimenti e scontri nell’un ‘campo’ e nell’altro…

[3] Per una sintesi della sua opera se ne legga Il Mediterraneo. Da Lepanto a Barcellona, Perugia, Morlacchi, 1999, da me recensito proprio su “La Porta d’Oriente”, v.s., n. 1, a. 1, pp. 156-162 (disponibile sul sito “EstOvest”: http://www.estovest.net/letture/bono.html).

[4] L’Autore mi perdonerà un paio di appunti: la mancanza di un glossario dei termini tecnici (nel quale spiegarne l’etimologia araba o turca); lo stupore nel veder reso jihâd con “guerra santa” (certo, il clima, soprattutto nel Cinquecento, quando il Mediterraneo rischiò di diventare un ‘lago ottomano’, era quello, ma nel glossario che non c’è si sarebbe potuto spiegare meglio un concetto tra i più equivocati tra i non musulmani).

Gli articoli de Il Discrimine possono essere ripubblicati, integralmente e senza modifiche (compreso il titolo), citando la fonte originale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*