Gianni Limonta e Adonis, Oro, incenso & Siria, Mondadori Electa, Milano 2005
di Enrico Galoppini
Se c’è un Paese al mondo che in questo momento è visitabile solo attraverso le pagine di un bel libro illustrato, quello è sicuramente la Siria. Una terra massacrata da anni di cosiddetta “guerra civile”, in realtà un’aggressione orchestrata dall’esterno utilizzando elementi settari locali e mercenari stranieri, che con la riconquista di Palmira da parte dell’Esercito Nazionale Arabo segna decisamente il passo.
Nel 2005, l’anno che coincide col mio ultimo soggiorno in quella terra “magica”, Mondadori Electa ha dato alle stampe un volume davvero pregevole, che ho scoperto solo di recente e che voglio segnalare ai lettori del “Discrimine”: “Oro, incenso & Siria”, di Gianni Limonta e Adonis. Al primo si devono le eccezionali fotografie che ritraggono genti e luoghi, da Damasco a Bosra, da Aleppo ai villaggi delle campagne. Al secondo il testo introduttivo e alcune delle poesie che adornano il volume.
C’è di che restare sempre allibiti, anche se vi si è stati più volte, nel constatare la ricchezza e la varietà delle popolazioni, degli usi e dei costumi delle genti di Siria, sottoposte ad un martirio che, in epoca moderna, forse è stato sopportato solo dalla nazione algerina, anch’essa vittoriosa contro il cosiddetto “Islam politico”.
Il che non vuol dire che l’Islam, e la religione in genere, non debbano interessarsi di politica! Ma da qui a ridurre l’“Islam” alla “politica” ce ne passa, perciò non c’è da stupirsi se la Siria che scorre sotto gli occhi del fruitore di queste pagine notevoli è molto più “tradizionale” – benché sotto un governo “socialista” – di tutto quel che può essere messo in opera dai vari esperimenti del “riformismo” o “modernismo islamico” così ben integrato nella “globalizzazione”.
Molto significativamente, una sezione del libro è dedicata ai “luoghi sacri”: Ma‘lula e la chiesa bizantina di San Giorgio, il monastero di Mar Musa, Santa Tecla e le religiose che pregano in aramaico, la salât del venerdì nella grande moschea, la basilica di San Simeone detto “lo stilita”, i volti della comunità drusa, i riti delle confraternite sufi all’interno delle loro “tekkiyye”.
Quasi tutta “eresia” che andrebbe estirpata, secondo alcuni unilaterali e fanatici, ma che invece se ne starà dov’era ancora per un po’, per loro disgrazia e scorno.
La riconquista di Palmira, alle cui mirabilia architettoniche questo volume dedica alcune pagine, è un punto di svolta per la battaglia per la Siria. Significa che il tentativo di smembrarla è fallito.
È invece riuscito quello di rovinare la vita a chissà quante persone immortalate in questi scatti. Quante di loro saranno morte? Quante sopravvivono a malapena in qualche rifugio di fortuna? E quali saranno i baciati dalla sorte che avranno salvato le loro vite e i loro beni, o almeno, emigrando, avranno trovato ristoro?
Chi scorre questa carrellata di meraviglie non può esimersi dal domandarsi se non era il caso di lasciare in pace questa gente nella sua “vita quotidiana”, alla quale Limonta non ha dimenticato di dedicare alcune significative istantanee: i fornai del pane “come una volta”, i maestri vetrai, i vasai che con abilità modellano l’argilla, la setacciatura del grano che da secoli si fa così, i campi dell’ottimo cotone siriano, i giorni del raccolto e la piccola pausa per il tè, sempre dolcissimo.
I “murales” sui muri delle case di campagna, a testimonianza che lì vive uno che ha fatto il Pellegrinaggio alla “Casa d’Iddio” a Mecca.
Ci sono i cittadini e i campagnoli; i sapienti coi loro Corani e gli umili ma non meno saggi pescatori di Arwad; le donne finemente vestite ed ingioiellate e le beduine corrose dal tempo e marchiate col tatuaggio, come certe donne berbere.
C’è la Siria che vive e che non ha mai smesso di vivere, anche se qualcuno l’avrebbe voluta morta.