Ricordo di Alberto B. Mariantoni (1947-2012) a settant’anni dalla nascita

di Enrico Galoppini

Alberto-MariantoniOggi, 7 febbraio 2017, Alberto Bernardino Mariantoni avrebbe compiuto settant’anni. Ma Alberto, anzi “Albertone”, è “andato avanti” cinque anni fa, in punta di piedi, senza avvisare nessuno.

Ci ha lasciato in un modo che non era nel suo stile. Lui, che teneva sempre banco ed infondeva nel suo uditorio uno spontaneo entusiasmo, un giorno di ottobre del 2012 ha abbandonato questo mondo nella maniera più inaspettata. Un ricovero in ospedale, peraltro tenuto segretissimo, e poi, nel breve volgere d’un paio di giorni, una ridda di voci, tra amici, sul precipitare della situazione, fino al tragico epilogo il 22 del mese.

Alberto B. Mariantoni (così firmava i suoi articoli, perché a quella B. di “Bernardino” ci teneva molto) era nato a Rieti il 7 febbraio del 1947.

Figlio di gente umile (suo padre, se non ricordo male, era impiegato pubblico) e di sentimenti “nazionalisti”, era cresciuto nel mito di personaggi delle sue parti che dopo l’8 settembre 1943 non avevano “tradito”. Uomini che avevano combattuto “per l’onore” d’Italia, ma anche per il Duce e il Fascismo, i quali, almeno per ciò che riguarda “gli anni del consenso” (1929-1936, per usare una definizione defeliciana), avevano fatto tutt’uno con la Patria.

Alberto era infatti profondamente legato alle sue radici, italiane – oserei dire italiche – e romane, e dunque, pur avendo fatto in tempo a perdersi il Ventennio e gli anni terribili della “guerra civile”, aveva infuso questa sua passione viscerale in una ammirazione per i “reduci” di una guerra persa sul campo ma non sul piano delle idee.

Logico, o comunque comprensibile, che all’inizio della sua attività politica un giovane (siamo negli anni Sessanta) animato da ideali patriottici non potesse che militare nell’area della cosiddetta “destra”. La quale, tuttavia, rappresentava un clamoroso equivoco in quanto il Fascismo, sia come regime sia come idea, non era affatto ascrivibile alla destra, né alla sinistra dell’unico schieramento liberal-democratico (questo Alberto lo avrebbe capito bene in età più matura). Stiamo infatti parlando di quell’area “a destra della destra” (giusto per proseguire nell’equivoco) che annoverava personaggi del calibro di Junio Valerio Borghese. Comandante “leggendario” che esercitava un enorme fascino sia sui suoi coetanei reduci dalle imprese della “Decima” sia su quei giovani che idealmente si rifacevano alle “glorie del passato” (e meno sugli errori, ma d’altra parte questo è l’atteggiamento degli idealisti d’ogni casacca).

borgheseSarà così che, nel 1970, in anni decisamente “caldi”, il ventitreenne  Alberto prese parte, agli ordini del “comandante”, al cosiddetto Golpe Borghese, il quale, preparato nei minimi dettagli, finirà ignominiosamente all’ultimo minuto, si dice dopo un ripensamento clamoroso (o un trabocchetto ben studiato per rafforzare il regime?) di un alto esponente della Democrazia Cristiana che in precedenza avrebbe garantito copertura all’avventura golpista. Come che sia andata, accadde che i cospiratori dovettero darsela a gambe. Alcuni vennero acciuffati, mentre altri ripararono in Spagna (dove c’era ancora Francisco Franco e dove risiedeva un altro “mito” per i giovani camerati dell’epoca, Otto Skorzeny). Mariantoni era tra questi, e lì ritrovò il capo del golpe finito male.

Dopo un breve periodo in Spagna (durante il quale si salva anche da un tentativo di assassinio), Mariantoni si trasferisce in Svizzera, dove si rende conto, come il giovane Mussolini, che non poteva vivere solo di “rivoluzioni” impossibili, pertanto si mette a studiare e comincia a frequentare l’università. Qui getta le basi di quella che sarà la sua carriera di studioso e giornalista specializzato in scienze politiche ed economiche, ma anche quella del “Prof. Mariantoni” dalla vasta e poliedrica cultura mai fine a se stessa ma al servizio dell’Idea da mettere in opera.

È impossibile, per motivi di tempo, riferire qui le centinaia di aneddoti che ho sentito – di persona e al telefono – dalla viva voce di Alberto riguardanti il suo ‘ventennio’ (grosso modo anni Settanta-Ottanta) sulla cresta dell’onda del giornalismo vero, quando prima delle idee professate contavano prima di tutto la capacità e la professionalità, e celebrità del successivo vomitevole spettacolo mediatico (inaugurato negli anni Novanta dopo la fine dell’Urss) svolgevano giusto funzione di garzone di bottega nelle redazioni d’importanti testate.

arafat_mariantoniAlberto se lo ricordano tutti quelli che seguivano il grande giornalismo d’inchiesta, prima che arrivassero i “breefing” del generale Schwarzkopf (e di tutti gli altri delle successive aggressioni Usa) da ripetere a pappagallo e le “agenzie” su internet: è quello che va a cercarsi la notizia e lo scoop (vero, non fasullo) anche nel sud delle Filippine (sua la prima intervista in esclusiva al fondatore del Fronte di Liberazione Moro di Mindanao) o che sta con Arafat nel bunker di Beirut, mentre fuori infuriano i bombardamenti, a parlare per ore ed ore davanti ad un piatto di spaghetti all’amatriciana cucinati impeccabilmente da quello che è sempre stato un grande e sincero amico della Palestina (mal ricambiato dai palestinesi stessi, per non parlare di certi “amici della Palestina” di casa nostra).

Insomma, Mariantoni, da che aveva rischiato di diventare uno spiantato per inseguire improbabili sogni rivoluzionari, intraprende così una carriera che lo porta a pubblicare simultaneamente su testate di tutto il mondo e a guadagnare anche considerevoli somme (mica come ora che illudono, con le favole della “democrazia”, schiere di “free lance” perennemente in bolletta e alla fine disamorati e disillusi).

Ma dopo quasi vent’anni sul “tamburino” di Panorama ed aver collaborato, producendo reportage ed interviste “incredibili” per le testate più famose, l’idillio tra Alberto e il giornalismo s’incrina.

1991: siamo alla seconda Guerra del Golfo (la prima era stata quella tra Iraq e Iran), e a Mariantoni, che è una “firma” indiscussa di analista politico internazionale, viene chiesto di scrivere articoli su commissione, oppure di mettere la firma su cose che non sono farina del suo sacco. Inizia l’era del giornalismo embedded che si trascina ancora oggi. A quel punto non ci pensa due volte e manda tutti a quel paese.

occhi_bendati_golfoScrive un libro-intervista che non esito a definire come il migliore in assoluto su quell’impostura che egli stesso definisce, in apertura, “l’imbroglio mediorientale”: Gli occhi bendati sul Golfo (ed. italiana Jaca Book, 1991). Un libro molto “scomodo” che dopo un ottimo successo di vendite iniziale viene ritirato dal commercio per finire poi, dopo pochi anni, sugli scaffali delle prime librerie specializzate in “reminders”. Il mio ‘incontro’ con Alberto avviene così, a metà degli anni Novanta, su uno di quegli scaffali. Ma che dico, a un tavolo sul quale, alla rinfusa come degli stracci vecchi, sono affastellati libri venduti con sconto del 90%. Fra questi, Gli Occhi bendati sul Golfo, al quale all’inizio, come si fa coi libri presi quasi “a gratis”, non do troppo peso. Ma i libri son fatti così: ad un certo punto reclamano l’attenzione dalla tua libreria e ti rendi conto di avere tra le mani un capolavoro.

Siamo nei giorni, o nei mesi, che seguono il celeberrimo attentato alle Torri gemelle (sett. 2001). Mi metto immediatamente alla ricerca dell’autore di questo libro-verità, vero lampo di luce scritto con uno stile appassionante e, soprattutto, da un testimone diretto di tutto quel che vi si racconta. Riesco nell’impresa (non c’erano cose come i “social network”) grazie alla mediazione di Ugo Gaudenzi, direttore di “Rinascita”, uno ‘strano’ “quotidiano di liberazione nazionale” che, lottando con la mafia della distribuzione, riusciva ad insinuarsi in pochissime edicole pisane.

A quel punto contatto il “dott. Mariantoni” per posta elettronica e lui, da gran signore, mi chiama a casa dalla Svizzera. La prima cosa che mi dice mi lascia esterrefatto. Mi fa: “Senta, ma Lei vuole fare il giornalista?” (avevo cominciato a scrivere saltuariamente degli articoli). Ed io… “beh, sì, mi piacerebbe, ma come potrei fare? (pensavo anche: sbarcando il lunario, s’intende)”. “Ecco – fa lui – deve sorprendere, sbalordire. Deve andare a trovare Bin Laden [in quei giorni il “pericolo pubblico numero uno”] e fargli un’intervista!”.

arafat_mariantoni2In questa “sparata” (che poi non era tale perché in seguito avrei scoperto che Mariantoni aveva incontrato ed intervistato, anche nelle situazioni più rischiose, praticamente tutti i protagonisti di vent’anni di storia mediorientale) c’era di fatto tutto il carattere di Alberto: la sua professionalità, l’incitamento ad eccellere, lo sprezzo per il pericolo e, diciamocelo pure, la sua inclinazione per la liberalità.

Alberto era liberale anche quando una sera, mettiamo in occasione di una sua conferenza, invitava gli amici a cena e pagava lui per tutti. Era fatto così, senza mezze misure. Amava la compagnia delle persone che gli volevano bene e che, purtroppo, tante volte non hanno ricambiato il medesimo sentimento come avrebbe meritato. Io stesso, un paio di volte, mi sono trovato a “discutere” animatamente con lui (non mi ricordo più nemmeno per quale motivo), anche se poi, a bocce ferme, mi rendevo conto di aver sbagliato, e così l’amicizia riprendeva dopo un informale ‘armistizio’. Questa liberalità che lo contraddistingueva forse l’aveva anche condotto ad un quasi tracollo economico, dovuto alla fine delle sue grandi collaborazioni giornalistiche mentre lui, imperterrito, continuava ad offrire a destra e a manca. Posso dire davvero di non aver mai visto uno generoso e non attaccato ai soldi come Alberto Mariantoni: appena uno, poniamo ‘conosicuto’ tramite internet per qualche articolo, gli chiedeva aiuto lui glielo dava, per poi un giorno vedersi togliere l’amicizia per questioni di lana caprina come l’interminabile querelle su fascismo e antifascismo che tanto veleno ha sparso tra gl’Italiani.

Sul Fascismo, del quale Alberto Mariantoni era un profondo conoscitore, il Nostro aveva delle idee tutte sue. Non come s’intende abitualmente, e cioè per dire che uno è un po’ bislacco. Certo, a volte dava l’impressione di vederci anche quello che non c’era, ma questo ha che fare con quel “fascismo immaginario” in assenza di Fascismo già studiato abbondantemente e che per forza di cose doveva albergare nelle menti e nei cuori di tutti quei ragazzi di simpatie filo-fasciste cresciuti nel dopoguerra antifascista.

mariantoni_storture_male_assolutoMa quello che più contraddistingueva  il “fascista” Mariantoni era la sua estrema tolleranza (a questo tema dedicò corpose riflessioni) verso chi non la pensava come lui e la completa disposizione ad esporre, senza farsi prendere dalla foga di “convertire” l’interlocutore, ciò che lui aveva “capito” del Fascismo. Due cose gl’interessavano soprattutto: ristabilire la verità dei fatti (lo farà in due libri degli ultimissimi anni: Le storture del male assoluto. I “crimini” fascisti che hanno fatto grande l’Italia, Herald Editore Roma 2011[1] e La memoria della realtà. Le leggi razziali fasciste del 1938, uscito postumo nel 2013 per Aracne Editrice[2]) e cercare il modo di riattualizzare l’Idea fascista, al di là degli aspetti di contorno e di quei caratteri inevitabilmente legati ad un’epoca che non poteva certo ripetersi tale e quale in ogni dettaglio.

In quest’ultima preoccupazione s’arrovellava Mariantoni, perché anche se ‘esiliato’ a Ginevra seguiva le vicende del nostro Paese, nel quale tornava spesso per conferenze ed altre questioni. Come poteva restare indifferente di fronte allo sfacelo progressivo di ogni cosa e su ogni piano in nome dell’“antifascismo” ufficiale di questa “Repubblica nata dalla Resistenza”? Per far capire quanto a Mariantoni interessasse la sostanza e non la forma, riporterò un discorso che riferiva spesso: “A me non interessano il cappello, il distintivo e la bandiera di questo o quello. Questo è il programma sociale del Fascismo: lo condividete? Se vi piace fatelo vostro, anche se vi definite comunisti, socialisti, liberali eccetera. Altrimenti abbiate la coerenza di ammettere che non lo volete mettere in opera, anche se valido, e di spiegare agli italiani perché!”. Sembra di stare – a parti invertite – nel 1936, all’apice del consenso per il Duce, quando il Partito Comunista clandestino lancia il suo vacuo ma significativo appello ai “compagni in camicia nera”…

eurasia2-2005L’anelito ad una Patria libera non solo dall’impostura dell’incapacitante dicotomia fascismo-antifascismo ma anche e soprattutto dalla gabbia (prima materiale e poi ideale) impostaci dai nostri pretesi “liberatori” si sarebbe materializzato in maniera quanto mai chiara nell’articolo, pubblicato nel 2005 su “Eurasia”, Dal Mare Nostrum al Gallinarium americanum, nel quale Alberto B. Mariantoni, tornato per una volta il “leone del giornalismo” di una volta, esponeva il drammatico problema costituito da una “Repubblica Italiana” solo di nome, allegando un elenco impressionante di basi e servitù militari a disposizione degli Stati Uniti e della Nato lungo tutto l’italico stivale. Uno scandalo inaudito che, se lanciato da tribune più ascoltate, avrebbe portato un colpo di maglio ai tenutari della colonia-Italia. Eppure anche solo quella ricerca, condotta evidentemente con l’aiuto di qualche “talpa”, dette tremendamente fastidio, tant’è che gli “esperti” cortigiani vennero attivati immediatamente, persino in tivù, per minimizzare e dunque contenere lo scandalo dell’assenza di qualsivoglia sovranità e ricondurlo entro l’alveo delle cose “normali”.

Di “normale” per Alberto c’era ben poco oggigiorno: tutto, secondo il suo modo di vedere, era stato artefatto da decenni di servaggio e di menzogna istituzionalizzata che avevano sviato ad un punto tale gli Italiani da non fargli più neanche concepire chi veramente sono e potrebbero ancora essere.

E questo senza partire da premesse “tradizionaliste”, anche perché nell’arte della Politica il “tradizionalismo”, con tutti i suoi “principi immutabili”, può rappresentare un fatalistico e penoso alibi per non fare mai nulla.

Per Alberto bastava ed avanzava essere coerenti con quel che si è e rispondere all’imperativo della propria coscienza, fedeli al lascito delle generazioni che ci hanno preceduto. In questo, Alberto era profondamente “romano” ed ostile a tutte quelle declinazioni del pensiero religioso quando assumono una veste “ideologica”. Che è altra cosa dall’essere irreligiosi o anti-religiosi. Alberto contestava più di ogni altra cosa la pretesa di chi, per il semplice fatto di aderire ad una “fede”, si erge a “rappresentante unico ed indiscutibile della Verità” (parole sue). Quanta saggezza in queste parole sempre attuali!

mariantoni2012Alberto era dunque una persona (ah no, lui detestava questa parola, che significa “maschera”), era un uomo che amava tantissimo la vita, e perciò rifuggiva tutti quei personaggi lugubri che vorrebbero intristire tutto il mondo con la loro tenebre interiori.

Ed è con le parole che mi scrisse per la nascita di mio figlio, pochi mesi prima della sua dipartita, che mi piace chiudere questo mio ricordo di un grande amico in occasione di quello che sarebbe stato il suo settantesimo compleanno:

“La nascita di un figlio è una delle più belle ed esaltanti gioie che i suoi genitori possono provare nell’arco della loro esistenza.

La sua venuta al mondo non è soltanto il simbolo, l’esito ed il principale suggello dell’Amore e della reciproca Stima che hanno reso possibile un tale prodigio.  

È soprattutto la Vita che, venendo dalla Vita, va verso la Vita.

Ed è la certezza dell’immancabile vittoria della Vita, su qualsiasi illusione o velleità umana.

Con i miei più fervidi e sentiti Auguri al neonato Enea ed ai suoi felici e fortunati genitori.

Ad maiora.

Alberto B. Mariantoni”.

Con Alberto a Ginevra (agosto 2008)

Con Alberto a Ginevra (agosto 2008)

Fortunatamente, a settembre del 2012, ebbi la ventura d’incontrarlo un’ultima volta a Milano in occasione della presentazione del suo ultimo libro. C’erano, come al solito, più che uditori, tanti amici, vecchi e nuovi. Ad un certo punto, mi chiama al tavolo dei relatori e, raggiante di gioia, mi presenta al pubblico esclamando al termine: “Questo mio amico ha chiamato suo figlio Enea. Bravo! Fategli un applauso!”. Seguì un applauso scrosciante, che mi mise anche un po’ in imbarazzo. Ma Alberto era fatto così, senza mezze misure.

Amava la Vita e la sua Patria.

Auguri Alberto, ovunque tu sia!

NOTE

[1] Dalla quarta di copertina: «Incredibile, inimmaginabile! Quando si ci accinge a prendere in esame ciò che il Regime di Mussolini, con la collaborazione della maggioranza degli Italiani, fu in grado di fare, in soli 17 o 18 anni, all’interno della nostra Nazione e negli allora territori dell’Impero, non soltanto si stenta a crederlo ma, fino a prova del contrario, non sembra nemmeno essere proporzionalmente confrontabile – e non sto affatto esagerando! – con le realizzazioni dell’Antico Egitto, né con quelle di Babilonia, della Persia, della Grecia o dei Regni ellenistici, né con quelle dell’Impero romano. Meno ancora, con tutto ciò che, in un pareggiabile o uguagliabile periodo, è stato effettivamente concretizzato nel Mondo, nel corso della Storia, da non importa quale sistema politico o istituzionale.

Per convincersene, è sufficiente farsi un giro per le nostre città, osservare ed individuare le diverse, caratteristiche e tuttora visibili opere che vennero realizzate, durante il Ventennio, Questo, senza parlare dell’immensa mole di leggi e di normative che – nonostante una guerra persa e l’ottuso e radicale ostracismo imposto alla sua memoria dalla “restaurazione democratica” – riuscì ad influenzare l’attuale Costituzione (ad esempio, negli articoli, 39, 40 e 46) ed addirittura, nella sua stragrande maggioranza, a sopravvivere all’esistenza stessa del Regime fascista, continuando ad organizzare e regolamentare la vita dei cittadini della nostra Nazione, fino a pochissimi anni fa. Vale a dire, fino a quando, a partire dagli anni 1992-1993, l’artificiosa ed ingannevole ideologia liberal-liberista, la cosiddetta deregulation e la funesta e truffaldina prassi globalista, per precisi ed inconfessabili interessi privati e cosmopoliti, ha voluto criminalmente smantellare, assieme alla quasi totalità di quelle leggi, i fondamenti stessi dello Stato italiano, sociale, indipendente e sovrano.

In tutti i casi, grazie alle flagranti ed inconfutabili evidenze messe in luce da questo lavoro (informazioni che, per più di 66 anni, sono state proditoriamente “censurate” dalla maggior parte degli storici contemporanei), il lettore potrà facilmente ed idealmente immergersi nell’allora realtà dell’Italia fascista e giudicare, lui stesso, fino a che punto quel Regime – indipendentemente dalla giustezza o meno delle idee che professava o dalle finalità che perseguiva – possa davvero continuare ad essere ingiustamente diffamato e costantemente additato alla nostra popolazione, come il “male assoluto” o “parte di esso”!».

[2] Dalla quarta di copertina: «Pur condannando senza eccezioni qualsiasi forma di discriminazione o, ancor più, di persecuzione, il libro intende dare una risposta alla seguente domanda: perché le leggi razziali fasciste? D’accordo con le conclusioni a cui sono giunti da tempo numerosi storici israeliani o, più in generale, di religione ebraica, le leggi razziali fasciste, che pur provocarono indicibili sofferenze a molti cittadini italiani di religione ebraica, non sono comparabili con le leggi razziali naziste né con la “politica” nei confronti degli ebrei da parte tanto dell’Unione Sovietica quanto delle cosiddette “democrazie occidentali”. L’autore non intende giustificare l’antisemitismo fascista o sminuirne le responsabilità, anche se è ben nota la continua azione di difesa degli ebrei da parte delle autorità militari e civili fasciste in Italia e all’estero; tuttavia la radice di quei provvedimenti avrebbe una sua concausa, secondo Mariantoni, nell’atteggiamento antifascista del sionismo internazionale».

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