Quelli del machete sono “rifugiati”?
di Michele Rallo
Alla fine, lo ha capito anche l’Europa. Malgrado la sua subalternità al disegno eversivo che vorrebbe farne l’oltremare dell’Africa, l’Unione è stata costretta a prendere atto che i Paesi-membri mostrano una crescente insofferenza per gli effetti di un’invasione progressiva che ha ricadute devastanti in tutti i settori: dall’economia alla sicurezza (individuale e collettiva), dalla previdenza (contrariamente a quello che dicono i nostri esperti del piffero) alla sanità, all’edilizia popolare, al sistema carcerario, ai trasporti pubblici, a tutti gli ambiti della vita civile e sociale.
Non che i governi nazionali siano improvvisamente rinsaviti. Hanno semplicemente paura della rabbia popolare che comincia a montare, e che minaccia di tradursi in una marea – crescente – di consensi per i partiti nazionalisti e antieuropei. E non è rinsavita neppure la Commissione Europea, cioè il similgoverno dell’UE. Semplicemente, anche la Commissione ha paura; paura per la sopravvivenza di questa strana Europa made in USA. E il motivo è sempre quello: il pericolo – cioè – del voto popolare. All’orizzonte, infatti, non c’è soltanto la Grecia e la possibilità – speriamo bene – che Tsipras rispetti il mandato degli elettori. All’orizzonte c’è anche la Gran Bretagna, con la spada di Damocle del referendum sull’uscita dall’Unione. E c’è soprattutto la Francia, dove nel 2017 si voterà per quelle elezioni presidenziali che già agitano i sonni degli americani e dei loro servi sciocchi di casa nostra.
Ecco perché la Francia di Hollande ha chiuso il valico di Ventimiglia: non per saggezza, non per resipiscenza, ma per non tirare la volata a Marine Le Pen. Ed ecco perché l’Europa non ci fila nemmeno, con le famose “quote” che esistono soltanto nella fantasia del Vispo Tereso. Addirittura – cosa inconcepibile fino a un paio d’anni fa – l’UE ci invita ad una salutare inversione di rotta, a dare impulso ad una energica politica di rimpatri dei migranti che non abbiano diritto all’asilo. La bozza del documento europeo sull’immigrazione – riferisce l’ANSA – chiede all’Italia di «promuovere le riammissioni dei migranti economici illegali nei paesi di origine e transito». In altre parole: rimandateli a casa loro, oppure in Libia.
Finalmente – pare – un minimo di realismo. Sembra che si voglia prendere atto, con vent’anni di ritardo, che la gran parte degli immigrati non è costituita da “rifugiati”, bensì da “migranti economici” in cerca di maggiore benessere, nei cui confronti i Paesi europei non sono minimamente tenuti all’accoglienza. I “rifugiati” sono ben altra cosa, e l’attribuzione di tale qualifica è disciplinata da una Convenzione ONU del 1951. Lo ricordavo su “Trapani OK” esattamente quattro anni fa: rifugiato – in forza di tale Convenzione – è solamente chi «per fondato timore di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dallo Stato di cui ha la cittadinanza, e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di tale Stato».
A proposito, chiedo sommessamente: quei bravi ragazzi che hanno staccato un braccio al ferroviere con un colpo di machete, in base a quale criterio sono stati lasciati liberi di entrare e di stabilirsi in Italia? Sono “rifugiati” anche loro? E, come loro, le centinaia – forse migliaia – di adepti delle terribili “bande giovanili” sudamericane, considerate le più pericolose del mondo per la loro cattiveria e la loro brutalità, che hanno trovato confortevole ospitalità nel Belpaese? Non mi risulta che in Colombia o in Salvador ci siano feroci dittature che rinchiudano gli oppositori nei lager. Così come non mi risulta che la maggior parte dei paesi del Maghreb e dell’Africa sub-sahariana siano preda di guerre o di rivoluzioni.
Eppure, anche chi proviene da quei Paesi viene accolto amorevolmente nel Belpaese, fra le litanie di un certo mondo cattolico che non si è ancora rassegnato a Porta Pia, e le coccole di una certa Sinistra che non ha ancora capito quel che sta avvenendo nel mondo.
La verità – vorrei sbagliarmi – è che la nostra classe dirigente è oramai intenzionata ad accogliere il milione (o giù di lì) di migranti che si preparano a salpare dalla Libia, sperando che l’Europa ci faccia la grazia di togliercene qualcuno (24.000, per l’esattezza). E nessuno sembra comprendere che questo milione è soltanto l’avanguardia del miliardo di abitanti del Continente Nero, buona parte dei quali ambisce a trasferirsi in Europa. Men che meno, ci si preoccupa delle proiezioni demografiche: agli attuali ritmi di procreazione, fra cinquant’anni gli africani saranno diventati due miliardi, mentre gli abitanti dell’Unione Europea (se esisterà ancora) saranno più o meno il mezzo miliardo di oggi.
Continuare nella politica di “accoglienza”, quindi, è semplicemente da pazzi. È comprensibile che i nemici dell’Europa lavorino per il suo annientamento. Non è comprensibile che altrettanto facciano i governanti dell’Europa stessa. Così come non è comprensibile che i governanti italiani fingano di non vedere il pericolo che l’ondata migratoria rappresenta per la sopravvivenza stessa della nostra patria.
Fonte: “Social”, 19 giu. 2015 (per gentile concessione dell’Autore)