La “Festa della Liberazione”: un equivoco che nasce da un’errata concezione della libertà

di Enrico Galoppini

stati_molteplici_essereIn tutta la moderna esaltazione per idee quali la “libertà” e la “democrazia”, vi è un aspetto che non viene tenuto nel debito conto da molti di coloro che trovano comunque tutto ciò un poco sospetto, stucchevole e fuori luogo.

Ci vogliamo riferire alla contraffazione, in quanto degradazione frutto di un’incomprensione, di concetti direttamente connessi con la sfera dell’ascesi e della realizzazione spirituale.

Chiunque raggiunga il grado dell’illuminazione interiore è per così dire “liberato”. Liberato da quelle costrizioni o limitazioni inerenti all’individualità umana. Liberato da quella sorta di carceriere, l’ego, che ci tiene prigionieri costantemente e ci ordina di fare solo e sempre quello che vuole lui perché vive e si alimenta della dualità caratteristica di ogni stato manifestato.

Le religioni e tutte le relative “vie”, coi loro particolari strumenti, sono sempre servite a raggiungere questo scopo, la “liberazione”, che è il più nobile ed elevato che l’essere umano possa raggiungere. L’uomo “liberato” trascende se stesso, e perciò può a pieno diritto comprendere – e non solo intuire – la finitudine dello stato umano, fonte inesauribile di indefinite illusioni come quelle della “democrazia” e della “libertà”, che si presume di raggiungere per di più con mezzi esclusivamente umani (sociali, politici ecc.).

La questione, in tutta la sua gravità, è particolarmente evidente se pensiamo al concetto di “liberazione”, capace di mandare in visibilio schiere di femministe, di omosessuali militanti e, in genere, tutti quelli che anelano, secondo il loro particolare e ristretto punto di vista, alla rottura di qualche “catena” che impedirebbe il completo dispiegarsi della loro “libertà”.

Esiste, com’è noto, persino una “Teologia della liberazione”. E generazioni di ideologi e pseudo-filosofi si sono arrovellati invano per trovare la soluzione definitiva al problema della “libertà”.

usa_gb_assassiniMa tra tutte queste deviazioni dall’ideale corretto di “libertà” e dei mezzi per raggiungerla, vi è anche un sistema più dozzinale, all’ingrosso, che è quello che consiste nel farsi invadere dallo straniero per poi proclamare, imbeccati ed ammaestrati da quello, che tutta una nazione è stata “liberata”. Ed è esattamente quello che le cosiddette “istituzioni”, seguite da tutti gli “alternativi” cortesemente omaggiati di relativa ‘patente’, si accingono a celebrare, in Italia, per il settantesimo anno di fila.

Uno spettacolo indecoroso – che farebbe vergognare chiunque fosse ancora dotato di un minimo senso del decoro e del ridicolo – va così in scena anche quest’oggi, quando per onorare le truppe straniere ed i loro lacchè indigeni, si festeggerà una “Liberazione” che non c’è mai stata, tant’è vero che i “liberatori” non se ne sono mai più andati e noi, italiani, di anno in anno, siamo sempre più loro schiavi.

Tutto il Bene da una parte, tutto il Male dall’altra. E così, contenti come dei bambini, gli indegni rappresentanti di una nazione che seppe – o quantomeno volle – essere grande (è un reato?) faranno a gara nel mostrarsi, uno più eccitato dell’altro, riconoscenti e sempiternamente grati verso il “liberatore”; ma spietati verso gli sconfitti e smemorati a comando, almeno per quei connazionali per i quali la “liberazione” equivalse alla scomparsa pura e semplice da questo mondo, grazie alle bombe di chi – manipolando scuola, cultura e quant’altro – ha prodotto generazioni d’ignoranti che si beano della loro ignoranza.

Come possa dirsi “libera” una nazione che fornì alla “parte sbagliata” circa un milione di combattenti resta un mistero. Ma il mistero più grande è quello di una “liberazione” che, anziché dispiegarsi compiutamente negli ambiti che le competono, più che passa il tempo e più che mostra il suo vero volto.

gorla1Che è quello di una sudditanza, di una servitù che – venendo meno le generazioni che avevano vissuto “la storia” – diventa sempre più asfissiante, andando ad occupare ogni spazio, compreso quello fisico rappresentato dalle oltre cento basi ed installazioni militari a disposizione degli Stati Uniti e della Nato.

In queste condizioni, parlare di “liberazione” non solo è fuori luogo ed un insulto all’intelligenza, ma è la lampante dimostrazione di come ai contemporanei, così felici di conformarsi ai modelli e ai dettami dei padroni, difetti completamente la nozione tradizionale, metafisica, di “libertà”[1], che sebbene possa essere perseguita anche nelle condizioni ‘ambientali’ più difficili, nondimeno ha a che fare, più di quanto si creda, con un contesto più generale nel quale ogni piano – sociale, economico, politico eccetera – concorre, secondo la sua intrinseca natura e funzione, a favorire – od ostacolare, dipende dal grado di disordine in cui versa – quell’imprescindibile compito della “liberazione” che riguarda ciascuno di noi[2].

NOTE

[1] Cfr. R. Guénon, La nozione metafisica della libertà, in Gli stati molteplici dell’essere, Cap. XVIII, pp. 140-148, (trad. it.) Adelphi, Milano 1996.

[2] Se la libertà assoluta, significando il superamento di ogni dualità, coincide con il raggiungimento dell’unità (il tawhîd dell’esoterismo islamico), si capisce bene che anche la disunione di una nazione, qual è quella aggravatasi cronicamente in Italia dopo il 1945, ha a che fare, sul piano che le compete, con quella “divisione” che individualmente è d’ostacolo alla realizzazione della libertà assoluta e, al tempo stesso, condizione necessaria del mantenimento in uno stato di schiavitù.

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There is 1 comment for this article
  1. Umar A.F. at 12:25 pm

    Grazie Enrico per questa tua opportuna e intelligente riflessione.
    Se può essere utile aggiungerei queste parole scritte ancora nel 1927 dal grande metafisico René Guénon, ma che possono essere valide anche oggi:

    “È vero che quando certe passioni si mescolano alla cosa, identici rivolgimenti, secondo le circostanze, vengono apprezzati in modo diversissimo e perfino opposto. Cosí quando la resistenza di fronte ad una invasione straniera riguarda un popolo occidentale, essa si chiama “patriottismo” ed è degna di tutti gli elogi; quando essa riguarda un popolo orientale perfino di millenarie tradizioni, essa si chiama “fanatismo” e “xenofobia” e non merita piú che odio e disprezzo.
    D’altronde, non è in nome del “Diritto”, della “Libertà”, della “Giustizia” e della “Civiltà” che gli Europei hanno preteso di imporre dappertutto la loro dominazione e di interdire ad ognuno di vivere e pensare in modo diverso dal loro? Si converrà che il “moralismo” è davvero una cosa mirabile, a meno che non si preferisca concludere semplicemente con noi che, salvo rare eccezioni, tanto piú degne di lode per quanto piú esse sono rare, in Occidente vi sono solo due specie di persone, ben poco interessanti le une quanto le altre:
    – gli ingenui che si lasciano ubriacare dalle parole grosse e che credono nella loro “missione civilizzatrice”, incoscienti come sono della barbarie materialista in cui sono immersi;
    – e gli abili, che sfruttano questo stato d’animo per il soddísfacimento dei loro istinti di violenza e di cupidigia”.

    tratto da: La crisi del mondo moderno, Capitolo 7. Una Civiltà Materiale,
    di René Guénon, scritto nel 1927

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