Qualche verità dimenticata sulla Costa d’Avorio
di Enrico Galoppini
Millecinquecento “profughi” africani non dovrebbero trovarsi in Italia, né tantomeno in un “centro d’accoglienza” adiacente ad un paesino veneto di duecento anime, che per giunta, appena fiatano, si sentono subito dare del “razzista” dai tromboni istituzionali. Non dovrebbe esistere questo vero e proprio commercio di esseri umani finalizzato ad un esperimento di ingegneria sociale mascherato da “multiculturalismo” e del quale già vediamo le nefaste conseguenze. Io sono contrario, anzi contrarissimo a quest’assurda ed ingiusta importazione di popolazioni allogene con la scusa della “accoglienza” e di altri ricatti papalini e pseudo-politici. E non capisco anche perché tutto un continente con le sue fiere radici e tradizioni, come per incanto, dev’essere considerato un serbatoio di “profughi” e miserabili, come se lì, dappertutto, vi fossero solo guerra, fame e dittatura.
Ma una cosa va detta. E cioè che se gli africani li avessimo lasciati in pace, a casa loro, il più delle volte (per non dire sempre) ci saremmo evitati situazioni indecorose come quelle andate in scena nel vicentino.
Mi riferisco, tanto per non andar lontano dai fatti di Cona, a quello che è accaduto pochi anni fa in Costa D’Avorio, il paese d’origine della ragazza morta nel “centro”.
Quando nel 2010, a seguito di elezioni contestate e tenutesi in condizioni proibitive, la Francia spodestò il presidente Gbagbo per insediare Ouattara, in Italia gli unici a scrivere e a parlare correttamente di Costa d’Avorio furono gli amici di “Rinascita” (quotidiano assai scomodo poi di fatto eliminato a mezzo “inchiesta”) e quelli di “Stato e Potenza”, i quali organizzarono qui in Italia conferenze con gl’ivoriani fedeli al deposto presidente.
Per saperne di più, basti leggere, di Boga Sako Gervais, La guerra d’Abidjan, Anteo Edizioni, 2012, del quale sarà istruttivo riprodurre la quarta di copertina: L’intervento militare contro la Libia ha messo in ombra gli eventi che si stavano verificando lungo la costa occidentale dell’Africa centrale. Dopo essersi posto alla testa degli interventisti nella crociata contro Muhammar Gheddafi, il Presidente Nicolas Sarkozy ha ordinato alle forze armate francesi della missione Liocorne di intervenire in Costa d’Avorio allo scopo di catturare il Presidente Laurent Gbagbo e favorire l’instaurazione di Alassane Ouattara, uomo del Fondo Monetario Internazionale riconosciuto da Francia, Stati Uniti ed altri paesi occidentali come vincitore del ballottaggio dell’autunno 2010. Se per il segretario di Stato americano Hillary Clinton, la cattura di Gbagbo andava interpretata come «Un segnale per tutti i dittatori, che non possono ignorare la volontà del popolo», la Costa d’Avorio precipitava in un bagno di sangue scatenato dalle cosiddette Forze Nuove, collegate ad Ouattara. Questo libro rappresenta un omaggio alla Costa d’Avorio e all’intero continente africano, tributato da un autore ivoriano che si cimenta nella ricostruzione dettagliata e approfondita degli eventi, fornendo una chiave di lettura completamente diversa da quelle “ufficiali”.
Ovviamente di tutte queste informazioni riportate dal suddetto quotidiano della “Sinistra Nazionale” e nel libro dell’autore ivoriano tivù e giornaloni “autorevoli” non fecero sapere nulla, ad eccezione di un bel reportage di Silvestro Montanaro andato in onda su Rai Tre, nel quale, oltre alle mene per condurre uno Stato africano al rango di pied-à-terre di Parigi, viene dato conto della caccia all’uomo, a colpi di machete, condotta dai fedeli dell’uomo dei francesi e dell’FMI contro quelli di Gbagbo, poi spedito nel “cattiverio” dell’Aja come Milosevic.
E non ci s’illuda che qualche informazione seria circoli anche stavolta, altrimenti qualcuno potrebbe andare a chiedere spiegazioni all’ex guitto della politica transalpina Sarkozy, autore di altre imprese notevoli a danno del nostro Paese, come l’attacco assassino alla Libia del quale paghiamo ancora le conseguenze.
Ecco, se qualcuno in Europa dovrebbe prendersi questi “profughi”, che non saranno tutti in fuga dalla guerra e dalla miseria, ma che certo qualche motivo per non star bene a casa loro ce l’hanno visto quel che gli è stato combinato, quel qualcuno sarebbe la Francia. Non l’Italia, che oltretutto con la Libia vantava un’alleanza a tutto tondo ed ora deve usare, sempre per far piacere all’Europa (cioè anche alla Francia, che conta più di noi), la propria Marina Militare per portare in Italia “profughi” da quell’Africa che il colonnello Gheddafi e, nel suo piccolo, anche Gbagbo volevano fosse per gli africani, così com’è giusto che sia.
Giusta l’analisi, non le conclusioni. Anche l’Italia ha bombardato la Libia. Se una banda fa una rapina tutti i partecipanti sono colpevoli, anche chi fa il palo. Ma l’Italia ha colpe molto più gravi di chi fa il palo perché senza le basi italiane l’aggressione forse non sarebbe stata così distruttiva.
Se l’analisi riportata nell’articolo è giusta, da un punto di vista morale gli immigrati dovrebbero essere ospitati in alberghi di lusso o a casa di coloro che hanno comandato l’intervento e da chi li ha votati.
È verissimo che l’Italia ha dato un contributo decisivo, ma quell’aggressione militare alla Libia è stata subita dal nostro Paese, non ideata… Poi possiamo parlare di tradimento dell’alleato (inveterata abitudine) e di inettitudine dell’Esecutivo, ma non prendiamoci responsabilità che non sono nostre, almeno in sede decisionale. Per quanto riguarda gli immigrati che ora partono come non mai dalla Libia, al limite, per ragioni morali, dovremmo prenderci i libici (e gli africani neri che senza Gheddafi sono diventati dei paria), non tutte le popolazioni del Sahel e del Corno d’Africa!