Simboli dell’essenza truffaldina del “libero mercato”

di Enrico Galoppini

Chi abita nelle città avrà avuto a che fare con quei ragazzotti che suonano ai campanelli presentandosi come “addetti del gas” o alla “lettura dei contatori”.

Si presentano tutti “leccati” bene, anche con giacca e cravatta, ma basta un’occhiata per sgamare che sono improbabili teatranti d’una messinscena pietosa. Non si sa se sia più pietosa la loro condizione (dis)umana o tutto il meccanismo di cui sono parte marginale e comunque importante. Perché, si sa, la pubblicità, pardon la truffa, è l’anima del commercio in regime di “libero mercato”.

Di questo cosiddetto commercio (attività necessaria e a suo modo dignitosa nel senso letterale del termine) nel quale non si ha rispetto per niente e nessuno, tanto l’importante è intascare la “provvigione” (leggasi: metterlo nel culo al prossimo).

Questi giovanotti, preparati dai loro superiori ad aggirare qualsiasi obiezione (di gente perlopiù ingenua e “sempliciotta”), se n’inventano di tutti i colori pur di giungere allo scopo: “mi faccia vedere la bolletta” è lo stratagemma più usato. A quel punto la “preda” è caduta nella trappola dei progressivi rincari delle forniture dopo essere entrato nel “mercato libero” (dei “cartelli” che s’accordano tra di loro) lasciando il regime contrattuale di “maggior tutela” (che mette al sicuro anche in caso di difficoltà a pagare le bollette).

Mentre scrivo, sento lo scampanellio di questi filibustieri e le risposte talvolta disarmanti, talaltra “incazzose”, dei candidati alla “predazione”. Mi domando una serie di cose, tra le quali ne scelgo una: se sia davvero necessario tutto questo spreco di energie di ragazzi che potrebbero fare altro di più costruttivo nella vita che non il “piazzista”, e se non sarebbe più rilassante per tutti che lo Stato avocasse a sé, fornendoli a prezzi calmierati, i servizi essenziali quali sono l’erogazione di energia elettrica e gas.

 

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