Dalla, Guccini e i giovani “di destra”

di Giulio Aicardi

dalla_gucciniDa parte di alcuni settori della “destra radicale” (scriviamo “destra” tra virgolette poiché il termine è molto convenzionale, in quanto su molte cose le persone interessate sono tutto fuorché “di destra”) c’è stata una forte critica nei riguardi dei cantautori emiliani Lucio Dalla e Francesco Guccini.

Ora, comprendiamo l’astio dal loro punto di vista verso il primo.

Non tanto perché Dalla sia stato una “checca” (de gustibus!), ma semmai le critiche verso di lui sono ben altre. A partire, ad esempio, dalla celeberrima canzone, che tanto piace alle masse mentecatte, dove si esalta un bombardatore americano che mette incinta la madre di Lucio, e quindi lui viene al mondo, quasi vantandosi di essere figlio del bombardatore medesimo (si tenga presente che nel 1944, persino le “repubblichine” Edizioni Popolari di Venezia davano atto a PCI/ PSI di avere condannato i bombardamenti indiscriminati sull’Italia e le violenze dei “mammalucchi” in Ciociaria, ben descritte nel film “La Ciociara” di Vittorio De Sica, con la grande Sofia Loren, tratto dal romanzo di Alberto Moravia (che di certo, quando nel dopoguerra scrisse l’opera, non poteva certo essere accusato di “fascismo”).  Il merito di condannare certi metodi degli Alleati invece non lo ebbero i partiti democratici e moderati (né l’Azionismo ufficiale, che si rese corresponsabile dei bombardamenti su Milano e non solo… ma neppure i cristianissimi DC, visto che è provato che Mr. Alcide Mc Gasperi segnalò agli angloamericani gli “obiettivi” dal suo comodo rifugio in Vaticano).

Dalla inoltre è oggettivamente responsabile quale mandante “morale” della morte di centinaia di giovani Kretini (con la K) e neo-Ecce Bombi in Piazza Grande, il più delle volte con l’ago confikkato nelle vene in nome di non si sa bene quale “trasgressione” al Sistema (come se questo non traesse vantaggio dal traffico di eroina!), mentre il Nostro, che possedeva ville in diverse parti dell’ Itaglietta, non ha certo fatto la fine che diceva di desiderare nella libellosa “Piazza Grande”.

Funerali-Lucio-Dalla-4Altre critiche a Dalla si devono fare, in quanto dopo essere apparso quasi un “anarca” antisistema, un epigono della Beat Generation (alla quale Evola, in “Cavalcare la Tigre”, riconosce meriti di rottura con il mondo moderno, tecnologico ed alienante), ha finito per essere riassorbito dal Sistema stesso (addirittura la Banda della Benemerita, ha eseguito, nel corso delle esequie in quel di Piazza San Petronio, la già citata canzone, nella quale si esalta il Bombardatore, di cui il Nostro si vanta di essere figlio). Certamente il Dalla aveva tutto il diritto di essere credente, ma in tal caso sarebbe stato più consono un modesto funerale celebrato magari da un prete emarginato e “dissenziente” dalla linea ufficiale. E invece (a meno che la stessa Chiesa si sia appropriata post mortem del corpo e dell’ anima del Nostro), Lucio sembra aver preferito una Chiesa che in altri tempi avrà certamente definito “autoritaria”, “gerarchica”, “sessuofoba” ,”reazionaria” e chi più ne ha più ne metta, e che ha poi celebrato solenni funerali quasi si trattasse di un’eminente personalità politica o comunque pubblica. Il che ci appare, anche solo marxisticamente analizzando, una contraddizione in termini.

Nulla da eccepire invece sul suo stare dalla parte degli ultimi (esattamente come don Andrea Gallo a Genova), sul venire incontro ai più bisognosi, a prescindere dalle sue valutazioni ideologiche, politiche, filosofiche eccetera (chi aiuta il prossimo è già in sé stesso positivo, al di là di qualsiasi idea da lui professata). Piena ottima valutazione per certi suoi veri e propri capolavori come “Nuvolari” o “Come è profondo il mar…”. Simpatiche anche “Ma dove vanno i Marinai?” (eseguita insieme a Francesco De Gregori, che costerà loro una denuncia da parte del Sindacato Marittimi della CGIL di Genova, per “vilipendio” della categoria (…come fanno i marinai a baciarsi tra di loro/ e a rimanere veri uomini…). A quanto pare gli austeri dirigenti sindacali del capoluogo ligustico non brillano certo per senso dello humor!), e la sfigatissima “Disperato erotico stromp”, o ancora “La ragazza dalle grandi Tette”, che gli costerà l’ accusa moralistica, da parte di alcune femministe, di “libidinoso”, “maschilista” o più semplicemente “stronzo”.

Per quanto concerne Francesco Guccini, gli “attacchi” da destra appaiono ancor più ingiustificati. È probabile che il cantautore modenese abbia preso, a sedici anni, la tessera della F.G.C.I. come la maggior parte dei giovani emiliani degli anni Cinquanta, ma in ogni caso se ne staccò presto, tanto da essere tacciato un decennio dopo di “qualunquismo” e addirittura di “fascismo” come poi ricorderà altri dieci anni dopo ne “L’Avvelenata” (“io anarchico/ io fascista…”), per avere ricordato gli eccessi commessi da diversi partigiani dalle sue parti (“…’45, finì la guerra / ma in questa terra pace non c’è/ i parabelli fanno cantare/ per festeggiare la libertà…) e il camaleontismo di sua madre (leggi l’Italia, dove viene paragonata a un’emerita ‘miniotta’): “…mia madre allora/ che fiutò l’aria / fu proletaria / e si sposò / un pezzo grosso del CLN e io divenni Bersky- Stalin…”). Vedi il suo primo long play “Folk Beat”, del 1967.

lineaAlla fine degli anni Settanta viene intervistato da “Linea”, il settimanale fondato e diretto da Pino Rauti (nell’intenzione di questi di “sfondare a sinistra”, dove gli si riconoscono tratti “aristocratici” e di “uomo differenziato”, in una rubrica che farà conoscere ai giovani lettori anche Lucio Battisti, Edoardo Bennato, Pierangelo Bertoli e Angelo Branduardi con le sue canzoni “medioevali”.

Nella canzone “Pennsylvania Station” Guccini polemizza con la ex cantautrice americana Deborah Kooperman, la quale, dopo la protesta degli anni precedenti, diventa una buonista d.o.c. e si ritira nel Maine a insegnare l’ecologia agli Indiani (come se costoro non la conoscessero prima che arrivassero gli anglosassoni!), quasi che i Nativi fossero dei deficienti bisognosi della Maestra; ed accusa la Kooperman di dimenticarsi tutto il pericolo che la C.I.A. costituisce per i Popoli di tutto il mondo. E non crediamo che Guccini fosse allora “Al servizio dell’URSS”, visto che aveva precedentemente scritto “Primavera di Praga”, dove ricordava il sacrificio di Ian Palach, che i suoi dischi erano proibiti in Unione Sovietica, e che in altri testi non era certo tenero col c.d. “socialismo reale”.

Poco dopo Guccini scrive un articolo su “Il Sabato”, il settimanale vicino a Comunione Liberazione. “Di centro”, si dirà: Ma fatto è che su tal settimanale scrissero anche autori quali Giano Accame, Fausto Gianfranceschi e Franco Cardini, il cui “tradizionalismo” cattolico andava ben oltre il tiepido integralismo di C.L.

Nel 1982 (se non andiamo errati), un suo saggio è ospitato nel volume “C’ eravamo tanto a(r)mati”, edito dalle edizioni “I Sette Colori” di Vibo Valenzia (CS) e vicina alla c.d. “nuova destra” di Marco Tarchi e Alain De Benoist. In tale opera il suo nome si confonde, tra gli altri, con quelli di Gianpiero Mughini (ex direttore di “Lotta Continua”), Massimo Cacciari (il filosofo “marxista” che anticipando Preve di decenni si recherà ai convegni della “ND”), Giuseppe Del Ninno (un critico cinematografico nostalgico del Regno delle Due Sicilie), Stella Pende, Gianni Brera, Stenio Solinas e Maurizio Cabona.

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There are 2 comments for this article
  1. Bennnato Bennati at 7:22 am

    Se è per questo, anche un noto giornalista ( di cui non credo occorra fare il nome, ché comparendo un pò in tutti i programmi , presumo notissimo ) che funge da storico ufficiale della Tv ( è lui che generalmente fa l’introduzione ai filmati sul fascismo, la seconda guerra mondiale ecc. ) in un programma che vidi un mesetto fa , se ne uscì col dire che era un bene che l’Italia abbia perso la guerra ( perché così è caduto il fascismo, capito ?).
    Mi chiedo che cosa il predetto giornalista ( è mai passato per esempio davanti a Camp Darby, fra Livorno e Pisa ? ) pensi della occupazione dell’Italia da parte degli Usa che dura ininterrottamente a tutt’oggi a partire appunto da quella sconfitta.

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