Diego Fusaro, vittima dell’estremismo “progressista”

di Enrico Galoppini

diego-fusaro-da-casapound1Alla fine doveva aspettarselo. Diego Fusaro, “filosofo” emergente d’area marxista, o meglio neo-marxista o post-marxista, s’è beccato una bella lavata di capo da parte di un esponente della casa-madre cui, in un qualche modo, a torto o a ragione, gli si imputa di appartenere.

E che lavata di capo! Un massacro, almeno nelle intenzioni dell’estensore di queste velenosissime considerazioni.

Il peccato di Diego Fusaro? Ovvio e facilmente preventivabile: l’aver guardato “oltre” il recinto della “sinistra”. Di quell’area di pensiero, molto simile ad una “chiesa”, alla quale “La Repubblica” si pregia ancora di attribuire un’indiscutibile “superiorità culturale”.

E da lì alla “superiorità morale” il passo è breve.

Insomma, Fusaro ha commesso un grave peccato, forse il più grave di tutti, secondo i chierici che custodiscono la parodistica ortodossia “di sinistra”. Quello di “contaminazione”. È diventato “impuro”.

Ma potrà fare quello che gli pare, il povero Fusaro? Eh no, perché ormai, essendo diventato piuttosto celebre, anche grazie a qualche apparizione televisiva, non può andarsene in giro a sostenere idee “eretiche” e, allo stesso tempo, far credere al gregge dei “fedeli” che le idee che professa provengano da una mente abbeveratasi alla fonte dei “sacri testi” del pensiero “progressista”.

Tuttavia Fusaro ci sembra assolutamente in grado di difendersi da solo, e tutt’al più prenderà atto che “la sinistra” – come affermava uno dei suoi “maestri”, Costanzo Preve – è completamente decotta, non esistendo più in essa alcun elemento tra quelli che l’hanno contraddistinta tra Otto e Novecento; ed essendo anzi andata in bancarotta totale dopo aver abbracciato in toto le varie ideologie della “liberazione” che postulano un individuo completamente scisso da ogni altro legame che non sia il suo puro semplice ego.

Detto questo, poiché a noi della “sinistra” e della “destra” in fondo interessa assai poco, bisogna assolutamente togliersi dalla testa che persone con idee a qualsiasi titolo “progressiste” (e con ciò abbiamo incluso anche ogni “sinistra”), possano apportare alcunché di valido al mulino dell’unica preoccupazione che dovrebbe albergare nella mente e nel cuore di ogni “filosofo” che intenda “applicare” le sue idee all’agone politico e sociale.

Attenzione però ad un particolare di rilievo: non ho detto “persone di sinistra”, ma “persone con idee progressiste”.

La storia, infatti, ci ha dimostrato che dai ranghi della sinistra possono uscire fior di politici: ovviamente il primo pensiero va a Mussolini, ma penso anche a Bombacci, che fu tra i fondatori del PCd’I. E la lista è discretamente lunga.

Il problema è che uno “di sinistra” (e all’epoca comunque si definivano principalmente “socialisti” o “comunisti”, non “di sinistra”, perché “la sinistra” era quella post-risorgimentale di Depretis, Costa, Crispi ecc.), per poter diventare accettabile, ma soprattutto utile ai fini del ristabilimento di una minima normalità mentre tutto se ne va a scatafascio, deve venire su posizioni che non sono affatto “progressiste”. Non dico di sposarle in toto, ma almeno di fare lo sforzo di uscire da una specie di incantesimo che è il “pensiero progressista”, cioè quello che si autoattribuisce, nella ridicola e boriosa persona dei suoi rappresentanti, la patente di “superiorità”.

Ma quello è per l’appunto il “peccato capitale” che può commettere uno – a qualsivoglia titolo – “di sinistra”. Ed è proprio quello che a Fusaro (e a Preve ecc.) non perdonano, da sempre.

citta_fioritaDico “da sempre” perché proprio la vicenda umana e politica mussoliniana è assai esemplificativa. Ancora oggi “a sinistra” lo bollano come un “traditore”, quando invece egli fece l’unica cosa possibile per dare una possibilità all’idea socialista di inverarsi (in base alle condizioni dell’epoca, in Italia). E a quanto mi consta, l’unico tentativo al mondo sinora riuscito, che tutti quanti poi hanno scopiazzato, è stato il suo, perché lungi dal voler imporre un’ideologia a tutti costi cercò costantemente di contemperare i differenti interessi (che esiteranno sempre, mettiamocelo in testa) al fine di elevare la nazione intera.

Attenzione anche a non fare un altro errore di valutazione: non ho detto che un “progressista” deve diventare l’esatto opposto, cioè un “reazionario” (o “di destra”, per dirla con Evola e non certo con Vittorio Feltri).

Penso che alla fine “la quadra” stia nel saggio ma difficilissimo equilibrio tra “modernità” e “tradizione”. Tutte le forme (o anche solo le manifestazioni particolari) tradizionali si mantengono grazie al mantenimento di questo equilibrio (chi conosce il Palio di Siena comprenderà bene a cosa mi riferisco).

Infatti il Fascismo, alla fine, nel suo tentativo di stabilire finalmente un equilibrio (non tutto dalla parte dei “lavoratori”; non tutto dalla parte dei “padroni”; non tutto dalla parte della Chiesa, malgrado il Concordato; eccetera), può a pieno titolo essere definito “rivoluzionario”. Non a caso mantenne la monarchia; non a caso stabilì un modus vivendi con la Chiesa cattolica; non a caso stabilì – seppure con un certo ritardo – un ordinamento corporativo; non a caso mantenne l’iniziativa privata ma nazionalizzò di fatto la politica monetaria; non a caso inglobò nella sua azione sensibilità politiche e culturali d’ogni provenienza, compresa una fronda “antifascista” o comunque “afascista”.

Il resto, e cioè tutte le cosiddette “rivoluzioni”, con annesse ghigliottine e stragi senza pietà degli avversari sconfitti, sono nient’altro che “sovversioni”.

Ed è questa differenza capitale tra “rivoluzione” e “sovversione” che – grazie alle provvidenziali bordate che gli vengono scagliate da parte “progressista” – si spera possa comprendere anche Diego Fusaro per approdare non “a destra” o trasformarsi in un ingessato e sclerotico “reazionario”, bensì per comprendere come alla fine, nella ricerca sia filosofica quanto nell’azione politica, l’atteggiamento da seguire sia quello della ricerca dell’equilibrio che ogni tradizione regolare ha definito come “il giusto mezzo” o aurea mediocritas.

Che è quanto di più distante possa esistere da ogni estremismo ideologico, compreso quello “progressista” di cui Fusaro avrà modo di saggiare, chissà quante altre volte, la virulenza e la tendenza ad accusare di chissà quale “peccato” per il fatto di aver, col tempo, semplicemente cambiato idea.

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There is 1 comment for this article
  1. Backward at 11:04 pm

    “…le cosiddette “rivoluzioni”, con annesse ghigliottine e stragi senza pietà degli avversari sconfitti, sono nient’altro che “sovversioni”.”

    Per dirla con Nicolas Gomez Davila, “Le rivoluzioni non sono le locomotive, ma i deragliamenti della storia”.

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