Chi ha paura delle moschee?

di Enrico Galoppini

moschea_blu_interno Tra gli ingredienti indispensabili di quei polpettoni allarmistico-scandalistici chiamati talk show dedicati al “terrorismo islamico” rientra la questione delle moschee in Italia.

“Moschee pericolose”, “moschee inquiete”, “moschee clandestine”. Moschee camuffate da “centri culturali”, come denunciano i vari Crociati dello Zio Sam da salotto.

Moschee dove non si tengono i sermoni in Italiano. Moschee con “imam fai da te”. Moschee fastidiose, losche, da cui entra ed esce un sacco di gente strana e minacciosa per il solo fatto di pregare dove pregare è già di per sé un “atto rivoluzionario”.

Pare, insomma, che il problema dei problemi che dovrebbe togliere il sonno al perfetto “cittadino occidentale” fiero di esserlo sia la presenza di luoghi adibiti al culto islamico.

Questa cosa ha un fondamento o è l’ennesima presa in giro per sviare l’attenzione della gente su un “problema” che prende la scena solo perché tutta la questione è posta male?

Cerchiamo dunque di capire, per prima cosa, che cosa è una moschea.

In lingua araba, sono due le parole che designano per l’appunto una moschea.

istanbul_moschea_bluLa prima è jâmi‘ (lett. “raccoglitrice”, “raggruppante”), da una radice triconsonantica (jîmmîm‘ayn) che implica i significati di radunare, riunire, raccogliere, mettere insieme. Dalla stessa radice: jam‘ (“plurale”), jam‘iyya (“associazione”), jamî‘ (“tutti quanti”), jamâ‘a (“gruppo”), ijtimâ‘ (“riunione”), mujtama‘ (“società”) eccetera. Yawm al-Jum‘a (“il giorno dell’Adunanza”) è il venerdì, che, com’è noto, è il giorno della preghiera congregazionale del mezzodì (zhuhr) che si tiene, nei paesi a maggioranza islamica, in un jâmi‘ che per le sue dimensioni e perciò per la sua rilevanza è destinata anche allo svolgimento di questa preghiera particolarmente frequentata poiché trattasi di “obbligo collettivo”.

La seconda parola traducibile con “moschea” è masjid. Da questa, attraverso varie ‘corruzioni’, provengono, tra le altre, le parole europee più note quali mezquita, mosque, moschée e, quindi, moschea (i paesi che hanno conosciuto i musulmani attraverso i turchi Ottomani, per lo più usano invece ‘corruzioni’ del precedente termine, jâmi‘, perché quella – cami – è la parola più usata in turco, accanto a mescit). La radice di riferimento di masjid rimanda al concetto di sajda, o sujûd, in Italiano reso con “prosternazione” e che consiste nella posizione, tra le quattro dell’orazione rituale islamica, nella quale l’orante, tra le altre parti del corpo (palmi delle mani, ginocchia e falangi dei piedi), pone la fronte sul terreno, col che la “mente” finisce per stare più in basso rispetto al “cuore”. Un masjid è dunque, propriamente, un luogo deputato allo svolgimento del sujûd.

Ogni jâmi‘ è di per sé anche un masjid, ma non tutti i masjid (pl. masâjid) possono essere considerate jâmi‘ (jawâmi‘). Al-masjid al-jâmi‘ è, perciò, una sorta di “moschea cattedrale”.

C’è poi la parola musallâ (pl. musallayât), della stessa radice di salât (l’orazione rituale da svolgersi cinque volte al dì), che indica la vera e propria sala di preghiera (lett. “oratorio”) all’interno di una moschea, jâmi‘ o masjid che sia, quando essa è fornita di altri locali, porticati, cortili eccetera. Anche in un luogo di lavoro una stanza può essere riservata – esclusivamente o meno – alle preghiere, così come a casa propria, pertanto quella potrà essere considerata una musallâ.

mihrab2Elemento essenziale affinché un ambiente possa essere definito “moschea”, o semplice “sala di preghiera”, è la presenza di un’indicazione chiara su dove rivolgersi per assolvere all’orazione stessa. Nelle moschee più importanti tale elemento è il mihrâb: una nicchia, spesso riccamente decorata, indicante la qibla, la direzione verso la Ka‘ba ubicata a Mecca nella quale è incastonata la Pietra Nera (al-Hajar al-Aswad). Nelle moschee nelle quali si tiene anche l’allocuzione (khutba) del venerdì si trova anche un pulpito (minbar), che come minimo deve consistere in tre gradini che permettano a chi pronuncia il sermone – parte integrante di quella salât – di essere visto e ben udito dagli astanti.

Tutto il testo, dai minareti alle cupole, dai tappeti agli elementi ornamentali, è assolutamente accessorio. Ovviamente il pavimento del locale dev’essere ricoperto da una tappezzeria pulita (e cioè non insozzata da qualcosa che faccia perdere la purità rituale agli oranti), la quale non è necessariamente consistente in tappeti, tant’è vero che nel nord Africa i pavimenti delle moschee sono ricoperti quasi sempre da stuoie di vario materiale.

Ora, in Italia, gli edifici costruiti ex novo per farne un luogo di culto islamico si contano sulla punta delle dita di una mano. Tutti gli altri sono locali adattati allo scopo, più o meno belli, più o meno accoglienti, più o meno consoni. Tutti questi locali non possono che essere definiti masjid, e per quanto riguarda la forma legale scelta per la loro gestione, di solito si tratta dell’associazione culturale.

Ecco il primo elemento di “scandalo”: un’associazione culturale nella quale si prega??? Ohibò! Eppure esistono in Italia un’infinità di associazioni culturali nei cui locali si svolgono attività riconducibili alla spera della “spiritualità”, dai centri di “discipline olistiche” alle sale delle varie confessioni “evangeliche”, e nessuno ha mai trovato da eccepire. Solo la preghiera islamica ha il privilegio esclusivo d’infondere una serie infinita di preoccupazioni a tutti gli “occidentalisti”, perché sarebbe perennemente in corso una preghiera_bambinosordida attività mirata alla lenta erosione dei “nostri valori” culminante niente meno che nella “fine della Civiltà”. Ammesso che vi sia della buona fede in questi retropensieri, consiglierei a chi ne è affetto d’informarsi meglio sulle attività “religiose” che si svolgono altrove, in certe “chiese” inventate di sana pianta per gabbare le autorità, per poi valutare la “compatibilità” non solo con i “nostri valori” ma anche con l’ordinamento giuridico vigente.

Sulla forma legale della “associazione culturale” che, secondo i polemisti con spada-lingua sfoderata, sarebbe nient’altro che un artificio per raggirare gli italiani, forse è il caso di ricordare quella dei sindacati, che sono strutture enormi e potenti, le quali, per esplicito riferimento costituzionale (art. 39), hanno una forma legale assai ‘fluida’, diciamo così… E non parliamo dei partiti o delle “fondazioni bancarie”, il “sale” di questa cosiddetta democrazia che sarebbe minacciata dalle moschee.

Altri problemi che vengono sollevati da chi s’è incaponito a far la guerra all’Islam senza nemmeno sapere cosa fa, sono quelli relativi alla lingua utilizzata nel corso della preghiera congregazionale. Questi signori intanto dovrebbero informarsi sul fatto che i versetti del Corano da recitare (sottovoce o a voce alta) durante la salât sono in Arabo e che una loro traduzione in qualsiasi altra lingua, a fini rituali, non è ammessa. Iddio “ha parlato” in Arabo: così è se vi pare. Lo so che questa cosa vi fa andare fuori di testa ma dovete farvene una ragione.

Lo stesso Signore, per la cronaca, si è espresso anche in moltissime altre lingue, dato che – come sostiene l’Islam tradizionale non arenatosi nelle secche dell’esclusivismo – nessun popolo è stato lasciato senza una Rivelazione e una Guida. Se poi i popoli che l’avevano ricevuta se ne sono dimenticati, non è certo affare d’Iddio, ché quello che doveva fare l’ha fatto.

spaghetticonsMi si perdoni per il linguaggio diretto e quasi “irriverente”, ma tutti questi pappagalli d’ogni ordine e grado dovrebbero, prima di cianciare a destra e a manca, chiarirsi una volta per tutte (e chiarirlo anche a chi li ascolta) se ammettono in cuor loro che il Re di tutti gli uomini, il Creatore dei Cieli e della Terra, il Signore dei mondi, possa permettersi di “parlare” oppure no.

Se ritengono che questa sia un’impossibilità pura e semplice, allora, anziché prendere in giro se stessi e gli altri dovrebbero riconoscere di essere di fatto degli atei che tifano per qualche ‘squadra’ e non dei cristiani o degli ebrei eccetera.

Perché il punto è proprio questo: attaccano l’Islam e cercano di porlo sotto una cattiva luce per il semplice fatto che o non lo conoscono o avversano qualsiasi religione non ridotta ad ideologia, ad elemento identitario e a strumento per giustificare sempre e comunque ogni errore moderno ed ogni conseguente deviazione nei differenti domini della vita degli uomini. Compresi quelli che la “modernità” ha parcellizzato in tanti compartimenti stagni, come “la politica”, “l’economia”, “la società” eccetera, per ridurre la religione a mera agenzia per la gestione degli “ingenui”.

Detto questo, stabilito che l’orazione rituale è da svolgersi in lingua araba, per ciò che concerne l’allocuzione del venerdì – fatta salva una parte, in Arabo, che non dovrebbe mai essere omessa – si può ammettere senz’altro che essa venga pronunciata in Italiano. Tale soluzione permetterebbe anche a tutti i non arabofoni presenti di poter seguire agilmente il contenuto del discorso, sempre che chi lo tiene sia in grado di esprimersi in Italiano e che l’uditorio prevalente lo comprenda. Vi sono poi situazioni nelle quali il luogo di culto è frequentato quasi esclusivamente da appartenenti ad una determinata nazionalità (somali, bengalesi, turchi ecc., spesso con un livello ancora basso di comprensione dell’Italiano), pertanto in quel caso è ovvio che la lingua usata per la khutba sarà la loro lingua madre.

khutbaMa cosa verrà mai pronunciato in queste famose “prediche”? Così come il sacerdote cattolico commenta il passo domenicale del Vangelo, anche l’imâm, che quasi sempre s’incarica di pronunciare la khutba, sceglie di trattare un argomento consono al periodo dell’anno (lunare) islamico: durante Ramadân tratterà, citando versi coranici e commentandoli, dei benefici spirituali (e non solo) del digiuno; nei giorni dello Hajj, approfondirà il discorso sul significato del Pellegrinaggio alla “Casa d’Iddio”; nel mese del “Natale del Profeta”, esorterà i fedeli a meditare sulle virtù dell’Inviato d’Iddio. In altri momenti dell’anno, nel corso dell’allocuzione del venerdì, saranno trattati argomenti di edificazione morale oppure figure eminenti tra i Compagni del Profeta, sempre alla luce del Corano, delle tradizioni profetiche (hadîth) e delle sentenze degli imâm e degli uomini d’eccezione che hanno posto delle pietre miliari nella storia della spiritualità islamica. Saranno inoltre esortati i presenti a comportarsi in maniera sempre impeccabile nelle società che li hanno accolti, perché per un musulmano è un obbligo individuale quello di testimoniare con la propria condotta l’eccellenza del “carico” che egli si è preso accettando l’Islâm.

Naturalmente, tutte queste cose non vengono dette nei talk show, dove gli spettatori vengono trattati alla stregua di latrine dove sversare i liquami che escono dalla bocca di certi onnipresenti e sedicenti “esperti”.

Invece anche il pubblico di questi “spettacoli” ha tutto il diritto di non essere plagiato in questa maniera vergognosa, e per farla breve col problema della sicurezza basterà rilevare che a fronte di pochissime moschee, peraltro al centro di losche trame di servizi d’intelligence, nelle quali “si predica l’odio”, in tutte le altre (e cioè il 99%) le cose vanno avanti esattamente come ho appena descritto.

Oltretutto, i vari “terroristi islamici” come quelli di Parigi non frequentavano nessuna moschea, ed anzi, fino alla loro sgangherata ed improbabile “conversione” si dedicavano a tutte quelle attività che in ogni moschea vengono marchiate col bollo dell’illiceità, o severamente sconsigliate in quanto, come minimo, sono una perdita di tempo.

islam_europa_mostraSiccome il 99% di quel 99% è rappresentato da moschee che sorgono in locali adattati allo scopo, cioè le cosiddette “moschee clandestine” dei talk show, diciamoci pure francamente che la costruzione di moschee “alla luce del sole” è un falso problema. Certamente, moschee in edifici appositamente costruiti – comprendenti quegli elementi caratteristici come il minareto, adatti anche ad indicare una “presenza”, e soprattutto con un personale competente ed affidabile, alieno da ogni sospetto di “estremismo” (che significa in poche parole: mettersi a disposizione delle trame dei servizi) – non potrebbero che giovare a tutti quanti. Ma appena da qualche parte salta fuori la notizia di un progetto di moschea, ecco che salta in aria la polemica di turno, e tra lungaggini burocratiche, petizioni della cittadinanza “preoccupata” e anche qualche carriola di letame di suino sul terreno adibito ai lavori per il luogo di culto, il più delle volte il risultato è che la moschea resta nel garage o nello “scantinato” che tanto “preoccupa” gli stessi che hanno piantato la grana dal primo minuto.

Questi personaggi da operetta, davvero patetici nella loro “difesa dell’Occidente” (che accanto alle “radici giudaico-cristiane”, contraffazione del genuino spirito del Cristianesimo, comprende il prestito ad interesse, la mercificazione della vita umana, la messa in discussione dell’identità sessuale, la fine di ogni sovranità e, tra le altre delizie, il degradante Charlie Hebdo), hanno buon gioco perché, da un lato, vengono gabellati come rappresentanti e paladini delle “nostre tradizioni”, quando in realtà, ciascuno nei vari ambiti in cui opera, non han fatto altro che demolirle giustificando e rendendo “legale” ciò che è contrario alla natura umana; dall’altro, non trovano nessuno in grado di smascherarli per quello che sono, ma, anzi, sono criticati, in un consumato gioco delle parti, da avversari che fondamentalmente condividono con essi l’essenza della cosiddetta “modernità”, cosicché se la moschea ha per essi tutto il diritto di esistere, in essa non si dovrebbe contestare neanche implicitamente ciò che rappresenta l’architrave della moderna struttura della “Civiltà occidentale”.

Virgin_Mary_and_Jesus_(old_Persian_miniature)È esattamente quel che è accaduto nelle chiese, dove i parroci, anziché “infiammare” i fedeli quando la misura, là fuori nel “mondo”, è colma, svolgono il ruolo istituzionalizzato di imbonitori e di amministratori del disagio montante. Perché mai, quando un sacco di gente si suicida per debiti o per il crac di qualche “finanziaria” un sacerdote non dovrebbe tuonare contro una genia che lo stesso Gesù non aveva propriamente in simpatia? Perché dal pulpito delle chiese non si pronuncia un “sì sì, no no” sul cosiddetto Gender, quando il Signore, lo stesso dei musulmani, ha creato l’uomo in maschi e femmine? Perché stare sempre nel vago quando tutto va a ramengo?

Di fatto, questo Cristianesimo è il cosiddetto “Islam moderato”. Quello che avrebbe diritto di cittadinanza e sfuggirebbe dalla mannaia dei Crociati dello Zio Sam e di chi li manda avanti. Ecco perché questo mondo sedicente cristiano ha paura dell’Islam: ha paura che parli chiaro come Gesù!

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There are 2 comments for this article
  1. BENNATO BENNATI at 2:12 pm

    Tempo fa vidi un plastico della moschea progettata per la Città di Firenze.
    Un bel progetto . a mio avviso, la sua facciata riprendendo in termini ovviamente moderni quella della Chiesa di Santa Maria Novella.
    Una bella ” citazione” insomma , atta a cancellare, se ce ne fosse stato bisogno, i timori già espressi dalla giornalista Fallaci in merito ai ” minareti” la cui forma avrebbe alterato quella dei paesaggi toscani dipinti da Giotto ( così più o meno suonava il suo ” cave”).
    Ma ecco subito il parere contrario di non ricordo quale consesso di architetti , ché non sarebbe più questo il tempo di ” citazioni” del genere , che sarebbero state , per così dure fuori moda, al di fuori delle modalità, dei ” moduli” formali, di assoluta novità insomma , con cui andrebbero oggigiorno concepiti i nuovi edifici.
    Al che ( a me che sono del tutto “profano ” della materia ) la mente mi è corsa alla sinagoga ( si, alla sinagoga ) di Livorno, una orribilissima ( sempre a parer mio, s’intende ) struttura in cemento armato, che dovrebbe avere sostituito la precedente sinagoga andata ( credo ) distrutta dal terribile bombardamento angloamericano ( o americano ) del 1943, struttura, come ho già detto assai brutta, come lo sono in genere tutte quelle in cemento armato sopratutto se lasciato a “faccia vista” e assolutamente fuori posto nel tessuto urbano della vecchia Livorno, pur se a sua volta alterato dal bombardamento terroristico del ’43.
    Non sarà che a Firenze per sdoganare finalmente la moschea ( politica e relativa proipaganda , permettendolo ) si pensi a modelli ( moderni, oh quanto sono moderni ) come il predetto manufatto imbruttente il centro storico della città labronica ?

  2. BENNATO BENNATI at 3:13 pm

    A Grosseto invece la locale comunità musulmana voileva acquistare ( notizia appresa dalla stampa) l’edificio dello storico ex cinema Marraccini ( chiuso ed inutilizzato da anni ) per restaurarlo ed adibirlo a moschea.
    Ma apriti celo, spalancati terra, l’ex cinema , caro alla memoria di intere generazioni di grossetani, cui rappresentò la principale fonte domenicale di svago, quando la tv ancora non c’era o non aveva preso lo sviluppo attuale, consegnato agli “islamici “, a quei ” terroni” ( ma questo lo aggiungo io ) , che parlano quella lingua impossibile ( altra mia aggiunta ) ? Nemmeno che, se invece di essere stati mandati ai pesci, a Lepanto, avessero vinto loro !
    Intervento dunque del Sindaco ( ha un aspetto così rassicurante che potrebbe condurre benissimo i telegiornali dell’ora di cena, quelli più visti , dove si forgia il convincimento di massa ) che assicurò che l’ex cinema Marraccini sarebbe stato acquistato dal Comune, restaurato e riconsegnato ai grossetani.
    E’ già passato qualche anno, la comunità musulmana di Grosseto un luogo di culto adeguato ancora non l’ha, ma l’ex cinema è sempre lì, come prima.

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