Il “Grande Medio Oriente” e il momento anti-islamico dello “scontro di civiltà” (il caso italiano)*
di Enrico Galoppini
Fonte: Cese-m.eu, 30 agosto 2014 (
Nella presente fase storica post-bipolare, che presenta il tentativo degli Stati Uniti d’imporre un mondo a guida unipolare, nel cosiddetto «Occidente»[1] l’Islàm viene incessantemente presentato alla stregua di un «problema» politico, sociale, religioso, talvolta addirittura d’ordine pubblico. Tale immagine volta a creare allarmismo e preoccupazione attorno all’Islàm, agli Stati a maggioranza musulmana e ai singoli musulmani – sfruttando stereotipi sedimentati e riattivabili, ma anche facendo appello agli umori più viscerali (v. «l’emergenza sicurezza») – viene creata attraverso un apparato mediatico totalitario e autoreferenziale perché refrattario ad ogni vero contraddittorio, allo scopo di agevolare, estorcendo un ampio consenso, la realizzazione di un mondo, appunto, «unipolare».
Per definire questo mondo forzatamente ridotto sotto un’unica superpotenza e, soprattutto, il suo «modello», taluni utilizzano il termine «Globalizzazione», altri «Mondialismo». Il primo ben s’addice alla prescrizione che impone il «libero mercato» e la «libera circolazione degli uomini», mentre il secondo attiene alla costituzione di un «governo mondiale» (di cui l’Onu è una prima prefigurazione), di una «giustizia mondiale» (v. i tribunali speciali per «crimini di guerra», o «contro l’umanità», ovviamente addebitati solo agli sconfitti), di una «religione mondiale» (con un’unica morale, quella «occidentale» dei «diritti umani»), di un’unica «memoria condivisa», di un unico tipo umano («democratico»), con le differenze ridotte a folclore (mentre le si elogia a parole) di un mondo forzatamente unificato, illusoriamente «pacificato» e ridotto a «mercato».
Ma se l’Europa, sin dal 1945, è stata posta sotto un parziale controllo di chi auspica tale esito (e l’UE, con la progressiva esautorazione del potere degli Stati che vi aderiscono, si prefigge di completare l’opera avviata con l’occupazione della parte occidentale), la Russia e la Cina non prendono ordini dalle sue centrali decisionali[2]: per raggiungere il controllo del «cuore dell’Eurasia» è dunque necessario occupare – anche per prevenire l’autonomia energetica dell’Eurasia – quella «cintura» di Stati immediatamente a ridosso della Russia e della Cina, molti dei quali sono a maggioranza musulmana. Si tratta del famoso «Asse del male», che difatti includeva l’Iraq, poi invaso, e comprende ancora l’Iran, il Sudan la Siria (e potenzialmente altri Stati), ma anche la Corea del Nord, posta all’altro estremo della «cintura». Questi «Stati canaglia», dopo il preteso ‘Big bang del XXI secolo’ dell’11 settembre 2001[3] (non si dimentichi che l’aggressione della Nato a Belgrado è del 1999…), devono essere associati agli autori ufficiali (cioè «islamici») degli attentati negli Stati Uniti, in Europa e nel resto del mondo.
A seguito di tali atti terroristici e al martellamento mediatico che ne è conseguito, in settori consistenti delle opinioni pubbliche occidentali s’è introdotta l’idea che se «non è vero che tutti i musulmani sono terroristi», vi è però da riflettere sul fatto che «tutti i terroristi sono musulmani». Ovverosia, che se di «terrorismo islamico» trattasi, l’identità «islamica» degli attentatori – di cui è stata rilevata la familiarità coi «valori dell’Occidente» (si pensi a tal Mohamed Atta che viveva in Germania ecc.) – pone un serio problema di «convivenza» e di «integrazione» dei musulmani in seno all’«Occidente democratico». La domanda che spesso sentiamo porre è: «Come creare dei buoni cittadini europei (o occidentali) musulmani?»; tradotto in parole semplici: «Ci possiamo fidare dei musulmani che vivono tra noi?».
Il «problema» finisce quindi per diventare «di civiltà». Ed è così facile alimentare le preoccupazioni delle popolazioni europee legate ai considerevoli flussi migratori di musulmani, che vengono gonfiate a livelli parossistici, fornendo la scusa per un continuo allarmismo da addebitare alla presenza, in casa, di «cellule terroristiche islamiche in sonno», di «quinte colonne di al-Qâ‘ida», salvo poi scoprire che trattasi di regolari bufale[4] mirate a creare uno stato d’animo funzionale alle strategie militari e geopolitiche da perseguire nelle aree oggetto delle mire atlantiche: il «nemico» – dipinto come mero malvivente, per il quale scattano le operazioni di «polizia internazionale» (la «guerra», ufficialmente, non la si fa più a nessuno) – diventa così interno ed esterno.
La preoccupazione che viene diffusa a dosi da cavallo (ci sono spesso gli estremi per il reato di procurato allarme) è quella di essere invasi e dominati dall’Islàm e dai musulmani[5]. Di qui l’errata interpretazione di massa della «guerra preventiva», che non è «guerra a chi sta per farcela» (l’Iran con la sua «atomica», ci viene detto), ma prevenzione, da parte degli Stati Uniti, dell’emersione di eventuali nuove potenze politiche, economiche, culturali e militari capaci d’insidiare l’unipolarismo statunitense e, perciò, per la loro stessa esistenza, d’imporre un multipolarismo nelle relazioni internazionali e nella gestione delle risorse del pianeta secondo i principi naturali della libertà, dell’indipendenza, dell’autodeterminazione e della sovranità per tutti i popoli-nazione del mondo, che in tale prospettiva aborrita dai fautori della Globalizzazione e del Mondialismo sarebbero liberi di scegliere, gestire ed orientare il proprio futuro, scegliendo di cooperare per il bene comune.
Ma la diffusione dell’idea dell’Islàm come «problema» ha buon esito perché si nutre di un’ignoranza abissale, a partire dal significato stesso delle parole «Islâm», «Arabi», «jihâd». A seminare confusione, oltre ad alcuni «esperti» ben poco preparati e/o in malafede, sono soprattutto i giornalisti, più precisamente i «corrispondenti» (quindi i loro direttori), del tutto a digiuno – giusto per rilevare un’incredibile lacuna – di lingua araba (quando non si tratta di personaggi che, perfettamente integrati, conducono a tutti gli effetti una «guerra dell’informazione»).
L’apparato mediatico, dunque, in-forma, cioè dà forma alla mente delle persone, incapaci di rendersi conto della dimensione e del crimine in atto e della truffa cui vengono sottoposte in occasione delle invasioni di Paesi a maggioranza musulmana, del loro scempio e, quel che è peggio (per un mondo che salmodia incessantemente le virtù dell’«antirazzismo»), del massacro di esseri umani (i parenti degli immigrati che dovremmo «rispettare»!) rei di non essere – secondo la vulgata imperante – «laici», «democratici» ecc.
Ma all’antirazzismo di maniera, evidentemente, non corrisponde alcun rispetto né degli esseri umani né della varietà delle culture e della loro continua rielaborazione: è questo il vero razzismo, che riduce a contabilità (quando è corretta!) lo sterminio di uomini, donne, bambini demonizzati in blocco («il musulmano» è per definizione paradigmatico, non un essere reale), con buona pace dell’Islàm «moderato», una specie di coniglio di pezza posto davanti ad una pletora di utili idioti (tra cui gli «intellettuali», alcuni dei quali ‘esotici’) e del pubblico che gli dà credito.
Due sono perciò i punti da capire bene:
1 – La disinformazione sull’Islàm[6] è mirata a dividere, dal punto di vista della psicologia collettiva, le popolazioni europee e quelle arabo-musulmane, separare le sponde del Mediterraneo, procrastinare all’infinito la dicotomia «Oriente / Occidente» («l’Oriente» è il ‘luogo’ della «barbarie», della «tirannia», ad esempio, mentre «l’Occidente» è «LA Civiltà»), con l’Europa che, anziché trovare il suo naturale complemento politico, economico e culturale nell’Asia e nell’Africa, svanisce nell’abbraccio mortale della pseudocultura della Globalizzazione e del Mondialismo[7].
I burattinai di questa manovra, se si pensa che l’Italia, nello specifico, è occupata da oltre 100 (cento) basi militari statunitensi[8], sono facilmente individuabili. Tra i due litiganti il terzo gode, e se Cristianesimo ed Islàm vengono idealmente contrapposti, a beneficiare di ciò sono i padroni dell’Europa e i destabilizzatori – da sessant’anni ed oltre – del Vicino Oriente, che allo scopo hanno creato una base territoriale (lo «Stato d’Israele») al Sionismo, che è la vera ideologia in cui devono dar mostra di credere le élite occidentali[9].
Tuttavia, a tale risultato si perviene non per il lavorio di una sorta di «centrale operativa» con un’unica volontà, bensì per l’azione incrociata e nient’affatto coordinata – almeno su un certo piano – di tutta una serie di soggetti: quel che maggiormente impressiona se si considerano gli attori della campagna islamofoba in atto nei media italiani e, più in generale, «occidentali», è la loro straordinaria eterogeneità[10]. Difatti, classificandoli secondo le consuete categorie filosofico-politiche ci si trova in un certo imbarazzo perché vi si trova tutto e il contrario di tutto e, quel che è più notevole, famiglie politiche e di pensiero tradizionalmente contrapposte su tutto o quasi.
Di prim’acchito si potrebbe quindi ritenere che l’agitazione di un «problema Islam» sia per questi soggetti solo un dettaglio, uno dei pochi elementi che per una fortuita coincidenza costoro condividono. Ma tale considerazione astrarrebbe da un’analisi di che cosa è l’Italia oggi, o meglio di quale sia il ceto politico, intellettuale e mediatico che questo Paese esprime e a quali sollecitazioni esso risponde nel quadro geopolitico mondiale inaugurato negli anni Novanta.
Per la valutazione di ogni fenomeno politico, intellettuale e mediatico di una certa rilevanza che si verifica in Italia si parta sempre dal presupposto che l’Italia non è un Paese libero, sovrano e indipendente. Non lo è da tempo immemore (nel senso che la maggior parte degli italiani – lobotomizzata sin dalla scuola – non ha letteralmente «memoria» di quel che è successo sessant’anni fa), e progressivamente, fino allo ‘spettacolo’ di «Mani Pulite» che ha fatto fuori anche le ultime figure di statisti degni di questo nome, è avvenuta una progressiva fagocitazione degli ultimi elementi – anche culturali – che connotano la libertà, la sovranità e l’indipendenza di un Paese. Di lì in poi, l’Italia, ridotta alla metternichiana «espressione geografica», ha sfornato un ceto politico di nessuno spessore, col contorno dell’immancabile pletora di «intellettuali» organici ed «opinionisti» tuttologi dai cui ranghi sono stati epurati tutti quelli che – per la verità non molti anche prima – non erano disposti ad adeguarsi al ruolo di «fabbricanti di consenso» nell’ambito della nuova puntata della partita tra Stati Uniti e Russia, che vede l’Italia privata di quella posizione privilegiata di confine goduta sino alla caduta del Muro di Berlino. A partire da quel momento, non essendo più l’anticomunismo il motivo guida della propaganda atlantica, è avvenuto un repentino riciclaggio di molti «intellettuali» ed «opinionisti» (oltre che il prorompere sulla scena di nuovi evanescenti personaggi prodotti dai summenzionati sessant’anni di ‘smemoratezza’) su posizioni che, in un modo o nell’altro, confluiscono nella creazione di uno stato d’animo per cui l’Islàm (sia come fede che come civiltà), gli arabi ed i musulmani devono essere percepiti come un «problema», o «il problema dei problemi».
Il perché è semplice. L’anticomunismo poteva avere un senso fintanto che sussisteva una grande potenza «comunista» (ma non ce l’aveva, poiché gli Stati Uniti hanno imbastito una messa in scena colossale per coinvolgere individui altrimenti poco motivati, facendoli sentire «in pericolo»), ma con la Russia che ha dismesso i panni dell’Urss e la Cina che al «comunismo» pare preferire la competizione sui «mercati globali», c’era bisogno, nel quadro di un rinnovato slancio da parte delle potenze mercantilistiche del mare (Usa e Gran Bretagna, con l’appendice Sionista quale avamposto del cosiddetto «Occidente») in direzione del controllo dell’Eurasia (imperniata sulla Russia), di una nuova ‘grande narrazione’ utile al ricompattamento dei sudditi dell’Occidente, in primis gli europei, che sostanzialmente non devono capire chi sono per abdicare ad un ruolo attivo ed autonomo, imbarcati in un’impresa contraria al loro naturale interesse che la storia, la geografia e lo sviluppo delle civiltà indicano proteso verso la direzione dell’Eurasia (che comprende anche il Mediterraneo) e non verso la pseudocultura della Globalizzazione (economica ed antropica) e del Mondialismo (culturale e valoriale). In questa nuova fase di una grande ‘partita a scacchi’, la fascia di Paesi a maggioranza arabo-musulmana, che in precedenza era soggetta all’influenza dell’uno o dell’altro contendente, è diventata il primo ostacolo da neutralizzare per aggredire in seguito l’obiettivo principale posto al di là di essa. La creazione del «problema islamico» è perciò in funzione di uno scopo preciso: la demonizzazione delle popolazioni che abitano l’area vicino e mediorientale e della loro civiltà allo scopo di destabilizzare tutta una serie di Stati, alcuni dei quali ricchi di risorse energetiche[11].
Apro una parentesi. Molti musulmani sono inclini a leggere l’islamofobia mediatica occidentale con le lenti dell’ideologia, utilizzando parametri riduzionisti: «l’Occidente (cristiano) ci odia in quanto musulmani». In ciò si configura una posizione eguale e contraria a quella di chi alimenta la propaganda anti-islamica, poiché si pone sul piano dello scontro ideologico (quand’anche è ‘tinto’ di «religione»), ovvero quello del conflitto tra il Bene (l’Islàm) e il Male (chi l’attacca). In buona sostanza, vi è in molti musulmani la tendenza al vittimismo, a rappresentarsi come oggetto di «razzismo» e «discriminazione»; le stesse di cui sarebbero oggetto altre categorie, diciamo, ‘svantaggiate’… La questione è invece un tantino più complessa, poiché, a prescindere dal variegato parterre di ‘attori’ che alimentano un sentimento islamofobo (che di seguito andiamo ad analizzare uno ad uno), vi è da dire che dietro la diffusione della «paura dell’Islàm» vi sono «forze» anti-tradizionali[12] che sfruttando la potenza economico-finanziaria, propagandistica e militare dell’Occidente puntano a nuocere all’Islàm poiché in esso risiede l’ultimo baluardo della Tradizione in grado di opporsi alle forze dissolutrici della «fine di un ciclo».
Non va dunque affatto escluso – come fanno certi analisti accademici – che a manovrare le campagne anti-islamiche siano impegnati ambienti «anti-tradizionali», «contro-iniziatici», adusi a ‘camuffarsi’ dietro le spoglie di un partito o di un ente culturale.
Su un piano meno ‘sottile’, subordinato però, è evidente che va individuato in motivazioni d’ordine geopolitico il movente principale di chi ha interesse a presentare di fronte alle opinioni pubbliche l’Islàm come un «problema».
Detto questo, vediamo chi sono i vari ‘attori’ impegnati, più o meno consapevolmente, nella disinformazione sull’Islàm e i musulmani. Naturalmente, essendo la cosiddetta «opinione pubblica» la sommatoria (e il risultato dell’interazione) di una serie indefinita di «opinioni», per creare uno stato d’animo funzionale allo scopo è stata per così dire differenziata l’offerta propagandistica, per cui si spiega la variegata composizione della schiera di coloro che, in (talvolta feroce) disaccordo su altri punti, compongono il fronte dei Crociati dello Zio Sam. Stabilita per principio la loro buonafede (quand’anche è il caso d’individui strapagati, che non sono pochi), passiamoli in rassegna:
a) Gli americani in pectore ed i campioni del pregiudizio filo-americano, ovvero gli «americanisti» (gli stessi che tacciano di «antiamericanismo» tutto ciò che detestano, fornendone una caricatura per non affrontarne razionalmente gli argomenti)[13]. Possono appartenere sia alla «destra» che alla «sinistra» poiché siamo in presenza di esponenti dei due schieramenti che condividono il ‘monoteismo del mercato’ e il discorso sull’Islàm (e tutto il mondo extra-occidentale) portato avanti dai Radicali, ma per il fanatismo che tipicamente contraddistingue il neofita vi si distinguono gli ex sessantottini orfani della «rivoluzione», oggi coerentemente impegnati nel «liberare la donna» e formare la «società civile» (come se gli uomini e le donne che compongono le società islamiche meritassero rispetto solo nella misura in cui si adeguano ad un modello «democratico»). In questo senso, la Fallaci non s’era bevuta il cervello, individuando nell’Islàm una visione del mondo che stabilendo ruoli distinti per maschi e femmine fa risaltare il carattere di dis-ordine della cosiddetta «eguaglianza» postulata dalle femministe (di ogni colore politico) e dai maschi adagiatisi su questa posizione irresponsabilmente di comodo. Tra i fautori di questa posizione si trovano varie gradazioni, sia per la posizione da assumere nei confronti dei Paesi arabo-islamici (ad es. non tutti sono per l’utilizzo dello strumento militare) sia per quella da tenere verso le comunità di musulmani immigrati (la Fallaci, com’è noto, ne predicava l’espulsione, ma altri «americani» con la K tipo Veltroni si ergono ad aedi della «società multiculturale»).
In questo campo spicca inoltre l’attivismo «bipartisan» di chi, vedendo nell’Occidente l’approdo inevitabile ed auspicabile della «libertà», o quanto meno il «sistema con meno difetti», sponsorizza le tournée di «dissidenti» di questo o quel Paese arabo-musulmano o lancia dalle radio e dalle tv campagne di «sensibilizzazione» su questioni varie che spaziano da quella sulla «somala che verrà lapidata a breve» all’«afghano condannato a morte perché convertito al Cristianesimo».
b) Con molti più punti condivisi coi suddetti di quanti ce ne potremmo attendere, troviamo poi i cantori dell’ottimismo new global, gli attivisti della «controinformazione» in rete, delle marce Perugia-Assisi e dei Social Forum («un altro mondo è possibile»!), più gli addetti delle ONG che sostengono le «rivoluzioni arancioni» ed una «esportazione della democrazia» su scala planetaria[14]. Si tratta di sensibilità che non gradiscono l’economicismo e la riduzione del mondo a «mercato», però sulla «democrazia» e la «società civile» da sviluppare ad ogni latitudine sono d’accordo coi soggetti del punto a), proponendone però un’attuazione «dal basso».
Li troviamo perciò in prima fila tra coloro che spingono per una «democratizzazione» delle società musulmane (in ciò possono interagire con soggetti trasversali come i Radicali) e nella sensibilizzazione su «questioni» lette, dal loro punto di vista, come «emergenze umanitarie» (v. il caso del Darfur e, di nuovo, delle «donne da liberare»).
Un tempo li si sarebbe indicati come «cattocomunisti», senonché il comunismo non c’è più, ma essendo i loro punti di riferimento ancora di carattere «globalista» (in parte si tratta di «cattolici di sinistra») finiscono – anche se non si dichiarano volentieri «americani» – per remare nella stessa direzione, ovvero quella dell’imposizione di un «modello unico» laicista, con la religione ridotta ad orpello di tipo intimistico e «sociale». Il loro monoteismo è quello dei «diritti umani» (ecco perché sono per i «diritti dei gay» ecc.). Insomma, fondamentalmente, non credono ‘misticamente’ all’Occidente come vi credono quelli del punto a), ma credono nella fondamentale bontà dell’idea (occidentale) di «Progresso» in versione «equa e solidale».
Contrari alla guerra fintanto che questa viene preparata e minacciata, una volta che c’è si dissolvono come nebbia al sole, poiché a quel punto il «né né» non ha più senso. Poco male: presto verrà imposto dagli aggressori un governo fantoccio, nella cui critica potranno continuare a ‘distinguersi’; ma l’unica cosa che non faranno mai è la difesa di un legittimo governo, «laico» (l’Iraq ba‘thista) o «islamico» (Hamas, l’Iran) che sia, poiché tra costoro aleggia sempre un fondo d’anarchismo e d’avversione aprioristica per il «potere», il che rende la loro posizione di fatto ‘impolitica’ e poco incisiva quando c’è, politicamente, da prendere posizione scegliendo il «nemico principale».
c) Come ulteriore determinazione del punto a) abbiamo poi i «liberali» alla Pera e alla Ferrara che declinano il Cristianesimo in senso identitario. A questi ‘convertiti’ dell’ultim’ora non interessa minimamente la «fede», ma se si tratta di dare addosso all’Islàm prendono strumentalmente ad oracolo il Papa e le alte gerarchie vaticane, le quali non trovano alcun imbarazzo nel fatto che questi loro nuovi seguaci dimostrino nella loro vita concreta un totale disinteresse per i «valori cristiani» e, in qualche caso, esibiscano il loro ateismo (sono i cosiddetti «atei devoti»). Questi ambienti, che imbarcano anche transfughi della ‘diaspora’ socialista e comunista (dirsi «liberali» fa molto chic), non vedono di buon occhio i soggetti del punto b) (le «anime belle»), poiché per essi il metodo più adeguato per risolvere il «problema» resta quello militare (magari preceduto da «sanzioni», che verranno criticate da quelli del punto b) ma solo per le «sofferenze imposte ai civili»). Tuttavia, gli uni belando «né Bush né Saddam», «né Sharon né Hamas» e via cerchiobottando, gli altri invocando la destituzione dell’«Hitler» di turno, svolgono due azioni che si completano a vicenda[15], poiché i primi gestiscono parte del malcontento che inevitabilmente una guerra ingenera, gli altri danno libero sfogo alle pulsioni ‘piccolo borghesi’ di un nazionalismo da pezzenti che inalbera il tricolore sulle basi delle truppe coloniali italiane al seguito degli angloamericani[16]. Va anche rilevato che questi «liberali», grazie al lavorio congiunto di think tank della Curia, raccontano una Storia romanzata dei rapporti tra l’Europa e il mondo arabo-musulmano caratterizzata solo da alcuni ‘momenti clou’ (Lepanto, ad esempio, o gli assedi di Vienna), con buona pace di tutto il resto.
Per essi vale l’epiteto di «cristianisti», che mentre perorano la menzione delle «radici giudaico-cristiane dell’Europa» (mai di quelle greco-romane!) nel preambolo della Costituzione dell’UE[17], vedono ovunque (tranne che in Palestina…)[18] «cristiani perseguitati (dai musulmani)», puntando perciò ad escludere l’Islàm dall’immaginario europeo, rendendolo ‘alieno’ e quindi pericoloso[19].
d) A questo punto non può non essere menzionato il Vaticano, che non può non controllare l’opera dei suddetti ‘pensatoi’ che si definiscono «cattolici»; alcuni, apparentemente in maniera contraddittoria, veicolano un’immagine positiva della multiforme religiosità americana, delle sue forme d’aggregazione e dei rapporti che queste instaurano con lo Stato: pare che anche da queste parti il monoteismo del «mercato» abbia fatto digerire la presenza delle «sette» e del «supermercato delle religioni»…[20].
Ma ben più grave è stato l’esempio di Papa Wojtyla, che prima «condannò» la guerra all’Iraq, poi ricevette Bush che gli conferì la massima onorificenza della Casa Bianca (come al Dalai Lama…), mentre il successore Benedetto XVI va proclamando la necessità di diffondere nel mondo i «diritti umani», quando a rigor di logica i «diritti umani», concepiti in ambienti «laici», non sono esattamente i «diritti» che una fede in Dio dovrebbe postulare e difendere[21]. Ecco che si delinea una «ideologia occidentale» che in altra sede avevo definito un “intruglio progressista mal digerito di religione cristiana, liberismo economico e diritti umani, con vari religiosi fattisi paladini di questi ultimi e un numero non meno considerevole di laici ex tutto improvvisamente scopertisi cattolici ferventi”[22]. Ma avevo dimenticato una cosa: il Sionismo e l’Olocausto, che ogni buon «occidentale» deve idolatrare[23]. In questo senso, l’esempio è stato dato dai Pontefici, genuflessi verso i «fratelli maggiori» della Lobby impegnata nella Crociata dello Zio Sam (v. le continue polemiche mediatiche contro la Chiesa cattolica condotte da tale lobby, dai «silenzi di Pio XII» al nuovo messale «irrispettoso» verso gli ebrei ecc.).
All’interno del mondo cattolico più intransigente, esistono poi alcuni ambienti «tradizionalisti» parimenti avversi all’Ebraismo (e al Sionismo) e all’Islàm, in nome della «vera religione»; è questa una posizione che – nella sua grave incomprensione della «unità trascendente delle religioni»[24] – almeno ha una sua coerenza, che non esclude una critica delle guerre condotte dagli angloamericani (visti come portatori di una civiltà «atea» e «materialista») in giro per il mondo islamico; tuttavia solo una parte di questo settore evita di prendere parte alla Crociata dello Zio Sam (è la differenza che intercorre tra la San Pio X, che pubblica «Sodalitium», ed Alleanza Cattolica, con la seconda soltanto che fornisce ‘truppe intellettuali’ alla «destra» filo-sionista e amerikana)[25].
e) Abbiamo poi una presenza trasversale, quella dei giudeofili e giudeolatri (di comodo e/o convinti) che difendendo l’Entità Sionista[26] ne esaltano la funzione di avamposto della «Civiltà» («giudeo-cristiana occidentale») in mezzo alla «barbarie» («islamica orientale»), anche se non tutti hanno il coraggio di ammetterlo. Sensibilità di questo tipo sono ravvisabili un po’ dappertutto, da un amerikano Guzzanti che compone ‘odi alla guerra’ alla vista dei corpi straziati dei bambini libanesi[27], fino a chi, individuando nel cosiddetto Stato d’Israele la giusta compensazione dell’«Olocausto», ritiene che sebbene in mezzo a numerosi «errori» e «atti di forza» ingiustificati, esso abbia diritto alla propria «sicurezza»: il «diritto di esistere di Israele» è così un modo indiretto per dichiarare la propria appartenenza allo schieramento anti-islamico, poiché una volta assunta questa posizione non si può non «condannare» Hamas (vincitore di «elezioni democratiche»!) per tutto quel che fa e «prendere le distanze» da Ahmadinejad, «negatore dell’Olocausto»[28]. Ecco perché tra questi soggetti si annoverano i professionisti dell’«amicizia per la Palestina» e dei «due Stati per due popoli», che vorrebbero una Palestina «laica» e non «islamica» a fianco di un «Israele» chissà per quale miracolo diventato pacifico e desideroso di convivere coi vicini arabo-musulmani[29].
f) Una presenza pittoresca nel variegato quadro di coloro che in Italia agitano il «pericolo islamico» è quella dei «neofascisti» (o «postfascisti», o «radicalisti di destra», o comunque inscenanti la caricatura del Fascismo secondo il ruolo ad essi riservato dalla retorica dell’antifascismo). Questi soggetti, detestati visceralmente da quelli del punto b) (e viceversa), ma anche dalla componente «di sinistra» dei punti a) ed e), sono particolarmente sensibili al tema delle «nostre radici» e della «nostra identità», etnica e/o religiosa, quindi si trovano in parziale sintonia con i soggetti del punto c) in quanto sostenitori delle «radici cristiane dell’Europa» in senso identitario, ma non nella loro giudeofilia, poiché in un Alemanno che va in vacanza nei kibbutz, innalza la bandiera sionista sul Campidoglio (e passa più tempo con Pacifici che con la moglie!) e nei fautori delle «piccole patrie» alla Borghezio che da islamofili diventano islamofobi, da una parte, e nei seguaci di Forza Nuova ed affini, dall’altra, esiste una comune avversione all’Islàm ma non una posizione unitaria verso «Israele». Tutti questi ambienti, radicalmente ostili alla “Turchia in Europa”[30] e all’immigrazione di musulmani, ed innamorati delle «identità» purché siano inventate a tavolino e poi mummificate[31], si distinguono per manifestazioni d’un’islamofobia grottesca ma, in un certo senso, meno insidiosa di quella dei «cristianisti»: il «Corriere» (che ha ospitato gli articoli della Fallaci) fa certo più danni della «Padania». Tra l’altro, questi ambienti equivoci forniscono l’ennesima caricatura del Fascismo, che non era affatto islamofobo[32], ma – oltre che ad avere una visione geopolitica mediterranea e, perché no, eurasiatica – aveva a cuore la sovranità, l’indipendenza e la libertà dell’Italia da ingerenze straniere ed avrebbe come minimo mandato al confino dei ridicoli Crociati dello Zio Sam da piccolo cabotaggio elettorale di una Repubblica delle Banane!
g) Infine, per correttezza, vanno citati anche alcuni musulmani. In questo ambito si distinguono quelli che volontariamente lavorano per la creazione del «nemico islamico» e quelli che lo fanno involontariamente. Tra i primi si annoverano i cosiddetti ‘musulbuoni’, cioè quei ‘musulmani da salotto’ che solleticati nella loro smania di protagonismo vengono portati in giro (in specie dai soggetti del punto c) come un fenomeno da circo per dimostrare che anche l’Islàm produce «liberali», «musulmani laici», quindi individui «rispettabili» ed «evoluti». Una volta assunto questo ruolo da testimonial dell’Islàm ‘come dovrebbe essere’, i vari Magdi Allam si scatenano in una vera caccia all’untore che impone ad ogni musulmano di non avere più idee su tutto ciò che lo circonda, pena la messa alla gogna come «integralista» e «pericolo pubblico» (l’azione del giornalista egiziano si concentra soprattutto sugli immigrati musulmani e le associazioni islamiche in Italia, ma in pratica non si salva nessuno, compresi alcuni docenti universitari poco allineati con l’«Occidente» e, in particolare, «Israele»)[33]. Un’azione che involontariamente – almeno al livello degli uomini – va comunque nella stessa direzione, è quella degli «islamisti» duri e puri («salafiti», «wahhabiti», «takfiri», «deobandi» eccetera, tutti accomunati dal «modernismo» e dall’avversione per la Metafisica), i quali, tra i musulmani immigrati (e con buona pace di altri musulmani parimenti critici verso la Globalizzazione e il Mondialismo ma attenti agli interessi geopolitici dei loro Paesi)[34], si fanno portabandiera dei movimenti dell’Islàm più politicizzato aventi però (chissà perché…) base a Londra e che, ipermediatizzati da un sistema informativo totalmente subordinato agli interessi atlantici, inscenano alla perfezione lo «scontro di civiltà». Per tali individui, che vanno dall’Imam di Carmagnola al macellaio di Porta Palazzo (tanto ingenui quanto narcisisti) andrebbe coniata la definizione di «Saraceni dello Zio Sam»[35]. Ciò detto, il danno di chi adotta dell’Islàm un’interpretazione minata da riduzionismo (che si sposa col razionalismo in nome della «lotta alla superstizione») e da una fondamentale incomprensione di che cosa sia la «Tradizione», estende la sua azione negativa sulle popolazioni stesse del mondo arabo-islamico, che ‘convertendosi’ in massa ad una ‘ideologia islamica’, da un lato minano ogni possibilità di «incontro» con le altre tradizioni, favorendo perciò lo «scontro di civiltà», dall’altro preparano il terreno, a causa della ‘aridità’ della loro visione e del loro ‘fanatismo’, al progressivo abbandono della religione, producendo perciò un ben curioso esito, quello della «secolarizzazione».
2 – Dopo il primo punto, nel quale sono stati analizzati i vari attori che, con la loro azione combinata (anche i mezzo a contrasti reciproci), producono un sentimento ostile verso l’Islàm presso le popolazioni non musulmane, e, come accennato al termine, il disamoramento dei musulmani stessi verso la religione, veniamo al secondo punto.
Gli europei devono essere distratti dal loro vero problema: il perseguimento della loro libertà, indipendenza, autodeterminazione e sovranità, politica, economica, culturale e militare. Non devono capire chi sono. Per questo devono imbarcarsi in guerre altrui, svolgendo il ruolo di ‘crociati per conto terzi’ (i «Crociati dello Zio Sam»). Questa realtà da incubo può avverarsi anche e soprattutto perché i popoli europei, indottrinati da una propaganda pluridecennale che ne ha infiacchito il carattere e la volontà (il «passato che non passa», ad es.), non esprimono più una classe politica che agisce nel loro interesse, degli statisti degni di tale qualifica: non è un caso che l’attuale sperticata dimostrazione di «amicizia» per «Israele» coincida col punto più basso registrato nelle relazioni, ad ogni livello, tra l’Europa (e l’Italia, nello specifico) e il mondo arabo e islamico, a riprova del ruolo svolto dalla base territoriale del Sionismo quale elemento di destabilizzazione di un’area strategicamente ed economicamente fondamentale (e non il contrario, come alcuni «controinformatori» sogliono vedere: ovvero che «Israele» sarebbe il grande manipolatore di tutto e di tutti…)[36].
Globalizzazione e Mondialismo, «mercato» come unico destino esistenziale e religione dei «diritti umani» (più quella parodistica dell’«Olocausto»), rappresentano dunque i riferimenti di chi ha interesse a disinformare sull’Islàm e a generare continui allarmi, allo scopo di realizzare obiettivi economici, strategici e geopolitici concreti (altro che «scontro di religioni»!) e, in ultima istanza, escatologici[37]. L’Islàm tradizionale, per la sua refrattarietà al «Mercato» e a tutte le parodie del «Culto sincero» (da quelle «moderniste» allo «spiritualismo New age») è certamente odiato dalle centrali della Globalizzazione e del Mondialismo[38]. I musulmani lo sono nella misura in cui sono fedeli all’Islàm e non adorano il denaro, senza chinare la testa al sistema dell’usura, che non a caso s’impone ovunque giungono le «liberazioni» [si pensi al destino della «nuova Libia», finalmente «indebitata»]. È chiaro che se il punto di riferimento è celeste, la vita su questo mondo non può ridursi ad una continua compravendita su tutti i piani. Un uomo rettamente orientato non può scambiare questo mondo per l’unico orizzonte concepibile, e se si considera la disperazione esistenziale di molti «moderni» vi è da ritenere che dietro la messa in cattiva luce dell’Islàm si nasconde l’intento di precludere l’accesso ad una possibile via d’uscita dalle secche del «mondo moderno».
Gli sforzi per nuocere all’Islàm, e in definitiva all’uomo in cerca di una connessione col divino, operano sui piani più disparati, compresi quelli di chi cerca di convincere anche i musulmani della necessità di un Corano «al passo coi tempi», attraverso una «nuova esegesi» del testo coranico estrapolandone un «Corano spirituale» (quello delle sure meccane) distinto dal resto, «legale» (che «andrebbe abrogato»). Va tuttavia detto che quand’anche sembrassero coronati da successo, questi tentativi sono in realtà illusori poiché la Verità non è scalfita minimamente dall’errore, tuttavia su un piano relativo producono senz’altro dei danni, di cui è bene essere consapevoli.
Il quadro analitico appena esposto si presta ad ulteriori considerazioni ed approfondimenti, ma quello che qui interessava era far comprendere che nell’agitazione del «problema islamico» si adopera una congerie di ambienti politici, mediatici, culturali e religiosi nient’affatto coordinati, tanto che non è infrequente trovarli in contrasto su altri argomenti (si pensi ai Radicali e alla Curia). Eppure, la creazione del problema «islamico» risponde ad un’esigenza della propaganda atlantica, che dopo il successo del «pericolo comunista» (negli Stati Uniti garantiva ondate di epurazioni, mentre all’estero giustificava tutto, dai governi democristiani in Italia al colpo di Stato in Cile con relativo bagno di sangue) arruola il «Partito Americano», questo vero e proprio cancro della Nazione, in una nuova scellerata impresa nella quale gli italiani (e gli europei) svolgono la consueta parte da comparse di un film già visto, il cui finale, però, non è scontato, poiché dall’esito della partita per il controllo dell’Eurasia dipenderanno la libertà, l’indipendenza, l’autodeterminazione e la sovranità politica, economica, culturale e militare degli italiani, degli europei e di tutti i popoli del mondo.
NOTE
* Si tratta di una rielaborazione, alla luce delle successive riflessioni dell’autore, del capitolo finale della raccolta di saggi ed articoli di E. Galoppini, Islamofobia. Attori, tattiche, finalità, Ed. all’Insegna del Veltro, Parma 2008 (http://www.insegnadelveltro.it/catalogo/metropoli/galoppini_islamofobia.htm), presentato in occasione del convegno La frammentazione del pianeta e l’alternativa multipolare organizzato dalla rivista «Eurasia» a Milano il 27 set. 2008. Quest’ultima versione è quella fornita agli studenti del «Master Mattei» dell’Università di Teramo (A.A. 2012-2013).
[1] La letteratura critica sulla nozione di «Occidente» è piuttosto vasta. Si consiglia la lettura del libro di F. Cardini, L’invenzione dell’Occidente, Solfanelli, Chieti 1995 (recentemente ristampato da Il Cerchio).
[2] Cfr. “Eurasia” 2/2005 e “Eurasia” 1/2006, rispettivamente dedicati alla Russia e alla Cina (il sito della Rivista di Studi geopolitici è http://www.eurasia-rivista.org).
[3] La letteratura sull’11/9 è vastissima. Per rendersi conto dell’assurdità della versione ufficiale, basti visitare la relativa sezione del sito www.luogocomune.net e leggere il libro (più dvd) 11 Settembre inganno globale (Macro Edizioni, Diegaro di Cesena, 2006), scritto da Massimo Mazzucco, l’animatore del sito “Luogocomune.net”; Mazzucco è anche autore della prefazione del libro di Alessandro Lattanzio, Terrorismo sintetico (Ed. all’insegna del Veltro, Parma 2007).
[4] Cfr. C. Corbucci, Il terrorismo islamico in Italia: realtà e finzione, Gruppo Editoriale Agorà, Roma 2003 [oggi ampliato in un volume davvero definitivo sull’argomento, di oltre 1700 pp., dal titolo Il terrorismo islamico. Falsità e mistificazione, Gruppo Editoriale Agorà, Roma 2012].
[5] È stato addirittura coniato il termine «Eurabia» per descrivere «la fine che farà» un’Europa «invasa» dagli arabi e dai musulmani. Cfr. L’Europa si chiama Eurabia, intervista a B. Lewis su «La Stampa», 25 giugno 2006; Bat Ye’or, Eurabia, (trad. it.) ed. Lindau, Torino 2007.
[6] Inclusa quella che ricama a non finire sulle «differenze» tra sciiti e sunniti ecc. ed alla quale si prestano anche «esperti» accreditati da alcune università.
[7] Cfr. T. Graziani, La création de l’ennemi islamique dans la le cadre de la géopolitique USA pour la domination mondiale, pubblicato in appendice a T. de la Nive, Les Croisés de l’Oncle Sam, Ed. Avatar, Paris 2003 (in trad. it. su “La Nazione Eurasia”, n. 6, luglio 2004 (http://lanazioneeurasia.altervista.org/archivio/LNE1-6.zip).
[8] Cfr. A. B. Mariantoni, Dal “Mare Nostrum” al “Gallinarium Americanum”. Basi USA in Europa, Mediterraneo e Vicino Oriente, “Eurasia” 3/2005, pp. 81-94. Cfr. inoltre la successiva messa a punto dello stesso Mariantoni: Basi americane in Italia: una messa a punto, “Cpeurasia.org”, 24 feb. 2008 (http://www.cpeurasia.eu/305/basi-americane-in-italia-una-messa-a-punto). Si veda anche il sito http://byebyeunclesam.wordpress.com, dedicato alla presenza delle basi Nato in Italia.
[9] E in essa sono uniti – è bene ricordarlo – «ebrei» e «non ebrei». Cfr. E. Galoppini, “Stato d’Israele” o “Entità Sionista”?, “Eurasia” 3/2006, pp. 185-195.
[10] Cfr. E. Galoppini, La questione irachena e la crisi politico-morale italiana, «Italicum», set.-ott. 2004.
[11] Secondo il noto islamologo ebreo britannico Bernard Lewis, questa fascia di Paesi avrebbe rappresentato il cosiddetto «Arco della crisi», abitato in prevalenza da musulmani tra i quali sobillare separatismi e guerriglie «islamiche» in funzione anti-sovietica (sfruttando il tema dell’«ateismo» comunista), in realtà anti-russe. Risalta perciò l’importanza della ‘cintura islamica’ che circonda la Russia, prima da utilizzare per alleanze (si pensi al Patto di Baghdad, del 1955, che includeva Turchia, Iraq, Iran e Pakistan), poi da invadere una volta resasi incontrollabile (si pensi all’Iraq ba’thista o all’Iran della Rep. Islamica), sfruttando anche la carta delle guerre tra questi soggetti in modo da sfinirli simultaneamente (è il caso della guerra Iraq-Iran, 1980-88).
[12] Nell’accezione di «Tradizione» fornita da autori come R. Guénon, T. Burckhardt, F. Schuon, M. Vâlsan ed altri, che configurano la ‘corrente’ della «Filosofia Perenne».
[13] Cfr. M. Tarchi, Contro l’americanismo, Laterza, Roma-Bari 2004.
[14] Cfr. E. Galoppini, Quando «controinformazione» fa rima con «confusione», «Aljazira.it», 10 ottobre 2004 (ora alla seg. url: http://www.arabcomint.com/quando.htm).
[15] Tra l’altro, i soggetti del punto b) sono «pacifisti» e «antifascisti», ed avendo introiettato l’immagine del Fascismo quale «Male assoluto» non riescono a dotarsi di argomenti decisivi contro la «hitlerizzazione del nemico», al punto che essi stessi accusano di «fascismo» o di «nazismo» le dirigenze statunitense ed israeliana (non sia mai detto che la chiamino «sionista»), e tutti coloro che non individuano come «progressisti» o «di sinistra».
[16] Ci si faccia furbi: l’insistenza con cui, dopo la «strage di Nassiriyya», venne diffusa l’immagine di una bandiera della Repubblica Sociale Italiana appesa nella camera di una delle vittime, puntava ad indirizzare secondo schemi ‘gestibili’ le critiche verso la partecipazione italiana a guerre altrui.
[17] Un buon antidoto contro simili visioni riduzioniste ci sembra il libro di R. W. Bulliet, La civiltà islamico-cristiana, (trad. it.) Laterza, Roma-Bari 2005, e se poi volessimo ricordarci anche della Romanità… È evidente che chi parla di «radici giudaico-cristiane» punta ad escludere l’Islàm dall’immaginario identitario europeo: in poche parole, insistere sul «giudeo-cristianesimo» serve a tener fuori l’Islàm, da considerare perciò ‘alieno’. Ma questo è ancora solo un aspetto contingente, legato alla «guerra al terrore (islamico)». Un secondo aspetto è invece sostanziale, ed investe il senso che i suoi fautori vogliono imprimere ad un’Europa unita che dovrebbe considerarsi una sorta di Stati Uniti d’Europa: l’idolatria dello «scudo di David» (chiamato comunemente «stella di David»), definito recentemente da Romano Prodi “uno dei simboli di quella cultura e di quella fede che sono la radice più antica dell’identità europea”, sta a ricordare ad ogni cittadino dell’UE che si può essere tali solo se ci si riconosce nella «religione dell’Olocausto», poiché lo «scudo di David» è il simbolo prima scelto dai sionisti, poi adottato dai nazionalsocialisti per discriminare le popolazioni giudaiche ad essi sottoposte ed infine assurto a simbolo della bandiera dello Stato israeliano: secondo tale visione, la nuova «coscienza europea», su cui fondare l’«identità», nascerebbe ad Auschwitz.
[18] Ma in Iraq sì, ovviamente dopo che l’odiato «dittatore» – che garantiva la «convivenza tra musulmani e cristiani» – è stato eliminato!
[19] Su questa specifica categoria si legga L. Copertino, Spaghetticons. La deriva neoconservatrice della destra cattolica italiana, Il Cerchio, Rimini 2008.
[20] Per comprendere tutto ciò è necessario leggere i materiali contenuti in questo sito: http://www.kelebekler.com/cesnur/
[21] Cfr. il fascicolo n. 59 della rivista «Sodalitium», intitolato Joseph Ratzinger… Il Reno si getta del Tevere.
[22] Aspetti in ombra della legge sociale dell’Islàm – recensione dell’omonimo libro di G. Cantoni, «La Porta d’Oriente», n. 5, agosto 2001, pp. 133-138.
[23] Ed anche ogni «musulmano moderato»: da un paio d’anni cercano di far passare in Egitto la «Giornata della memoria», mentre alcuni ‘musulbuoni’, in Italia, si stanno facendo notare per le loro iniziative su «I Giusti dell’Islàm»: finirà che i «migliori musulmani» saranno quelli che hanno «salvato degli ebrei (dall’Olocausto)»! Il colmo è poi raggiunto da una cosiddetta «Carta dei valori» del Min. dell’Interno che, nell’intento di chi l’ha proposta (Giuliano Amato), i musulmani dovrebbero sottoscrivere come un sovrappiù di ‘fedeltà’ rispetto all’accettazione della Costituzione della Repubblica. Tale «Carta dei valori» non è affatto «neutra», ma implica un riconoscimento da parte dei musulmani dell’«Olocausto» come «valore condiviso» e la rinuncia di fatto a sostenere cause da essi sentite come molto vicine, poiché le resistenze (palestinese, irachena, libanese ecc.) vengono implicitamente considerate «terrorismo».
Cfr. Carta dei Valori, della Cittadinnza e dell’Integrazione: http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/sezioni/sala_stampa/notizie/immigrazione/2007_04_23_app_Carta_dei_Valori.html.
[24] Cfr. F. Schuon, Unità trascendente delle religioni, (trad. it.) Edizioni Mediterranee, Roma 1997.
[25] Che per il tramite di cattolici dell’area «neofascista» (v. punto f) intesse relazioni privilegiate con quegli ambienti cristiani militanti più accesamente anti-islamici e ‘piccolo-nazionalisti’ (v. le Falangi Libanesi). Una benemerita eccezione tra gli intellettuali cattolici «conservatori» è rappresentata da Maurizio Blondet, che sul sito “Effedieffe.com” ha vergato pagine sull’Islàm animate da sincera ammirazione e rispetto. Cfr., tra gli altri, Un ringraziare islamico, 20 ott. 2007 (http://www.effedieffe.com/index.php?option=com_jcs&view=jcs&layout=form&Itemid=145&aid=1882).
[26] Rimando di nuovo al mio «Stato d’Israele» o «Entità Sionista»?, «Eurasia» 3/2006, pp. 185-195.
[27] P. Guzzanti, Oh Israele, «Essereliberi.it», 16 luglio 2006 (http://www.essereliberi.it/modello_articolo.php?id_artic=634&recordinizio=0).
[28] Un professionista di questo filone propagandistico è Daniel Pipes, “esperto onnipresente degli studi televisivi e commentatore abituale dei più grandi periodici, Daniel Pipes si è convertito nel teorico mondiale dell’islamofobia. Figlio di Richard Pipes, il sovietologo che ridiede fiato alla corsa agli armamenti durante il governo Ford, nonché figlio spirituale di Robert Strausz Hupé, il visionario del nuovo ordine mondiale, Daniel Pipes dirige un’infinità d’istituti strategici. A Lui si devono concetti di moda quali quelli di «nuovo antisemitismo«, «militante dell’Islam» e «cospirazionismo». Sostenitore dell’eliminazione totale dei palestinesi, è stato nominato da George Bush come amministratore dell’istituto Statunitense per la Pace” (dall’introduzione a Daniel Pipes, esperto dell’odio: trad. it., “Comedonchisciotte.org”, 21 agosto 2005 (http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=1307)).
[29] In questi ambienti pesa notevolmente la presenza di gruppi di «ebrei per la pace», i quali, una volta accettati ed accreditatisi, fissano i paletti del «politicamente corretto» all’interno del campo filo-palestinese, costringendone i leader ad un continuo ‘esame di coscienza’.
[30] Posta in questo modo, la questione risulta peraltro falsata, poiché un’associazione dei Paesi europei propriamente detti con la Turchia (per non parlare di una con la Russia) apre le porte ad un soggetto di carattere né «europeo» né «asiatico», bensì eurasiatico. [su tale questione si legga quest’intervista: http://www.eurasia-rivista.org/turchia-nell%E2%80%99unione-europea-%E2%80%9Csi%E2%80%9D-o-%E2%80%9Cno%E2%80%9D/3553/].
[31] Il modello è lo stesso da cui trae linfa l’equivoco per cui in Palestina vivrebbero «due popoli», uno dei quali, quello «israeliano» (autentico ‘precipitato’ di componenti le più disparate che in comune hanno solo la ‘passione per Sion’), per creare una propria «identità» deve porsi in perenne stato d’assedio psicologico rispetto ai vicini. Cfr. E. Galoppini, Sul terrorismo israeliano (recensione), “Eurasia” 1/2005, pp. 219-228 (riprodotto qua: http://www.vho.org/aaargh/ital/EGrecen.html).
[32] Cfr. E. Galoppini, Il Fascismo e l’Islàm, Ed. all’Insegna del Veltro, Parma 2001 (con pref. di F. Cardini) e i vari studi di Stefano Fabei (http://www.stefanofabei.it) sull’argomento, tra cui si segnala Mussolini e la resistenza palestinese, Mursia, Milano 2005.
[33] Su Magdi Allam – che alla vigilia della Pasqua 2008 ha ricevuto uno spettacolare battesimo ‘in mondovisione’ nientemeno che dal Papa [e che in seguito si è progressivamente disinteressato alla polemica antislamica] – si leggano i materiali sostenuti in questo dossier: http://www.kelebekler.com/occ/magdino.htm. Sulla sua conversione al Cristianesimo: Meno male, è solo Magdi Allam, di M. Blondet, “Effedieffe.com”, 23 marzo 2008 (http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=9510&start=0&postdays=0&postorder=asc&highlight=). Quanto alle campagne condotte all’interno delle università per allontanarne i docenti non adeguatamente allineati, si consideri l’esistenza di Campus Watch, una delle molte creazioni di Daniel Pipes (http://www.campus-watch.org). Ad un livello meno specifico, si segnala la maniacale opera di delazione svolta da “Informazione Corretta” (http://www.informazionecorretta.com/), che setaccia ed espone al pubblico ludibrio ogni posizione ritenuta «antisemita» e «antisionista» (che per loro fa lo stesso).
[34] Tra l’altro, il termine arabo ‘awlama, di norma reso con «globalizzazione», avendo la stessa radice di ‘âlam («mondo») andrebbe reso con «mondialismo» (o, almeno, «mondializzazione»).
[35] Tanto per fare alcuni esempi, si tratta di quei musulmani che si schierano incondizionatamente coi bosniaci, coi kosovari dell’Uçk (demonizzando i serbi), coi ceceni di Basaev (demonizzando i russi: curiosamente serbi e russi sono invisi anche all’Occidente) per il semplice fatto che sono musulmani, senza porsi alcun dubbio di carattere geopolitico sugli interessi serviti dalle cause da essi sostenute, tanto sono accecati dal settarismo e dalla partigianeria. Il massimo della cecità (e dell’insipienza geopolitica) è poi raggiunto quando i musulmani non sono disposti ad ammettere che la propaganda occidentale, pur di proporre un «popolo oppresso» – questa volta dalla Cina -, non si perita d’utilizzare dei musulmani quali gli Uighuri della provincia del Xinjiang (o Turkestan cinese): a sollevare il «problema» contribuiscono associazioni di uighuri basate negli Stati Uniti, quali l’Associazione degli Uighuri in America (UAA) e l’Uighur Human Rights Project.
[36] Cfr. E. Galoppini, Note sulla politica islamica degli atlantici, «Eurasia», 3/2005, pp. 223-226. Significativo, rivisto dopo tutto quel che è accaduto con «Mani Pulite», è un intervento dell’allora Presidente del Consiglio, Bettino Craxi, che il 6 nov. 1985, alla Camera, rivendicava la legittimità della lotta armata di liberazione nazionale condotta dai palestinesi: http://www.youtube.com/watch?v=9sDmx01ZNfA.
[37] In questa sede non c’è il tempo per approfondire questo aspetto, ma si legga intanto P. Rumi, L’Islàm nell’istante «unipolare», «Eurasia-rivista.org», 2 agosto 2005 (http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EEkkAAZlEEGytNtwrs.shtml).
[38] Che, come si sarà compreso specialmente dopo la lettura dell’articolo di P. Rumi, manipolano anche i musulmani citati nel paragrafo g) del precedente paragrafo.