Il grande sconfitto del referendum greco: la cricca degli “opinionisti”

di Enrico Galoppini

referendum_greciaC’è un esito sicuro ed indiscutibile del recente referendum tenutosi in Grecia: i famosi ed “autorevoli” opinionisti hanno fatto una figura di merda colossale.

Prima tutti assicuravano che beh, sì, comunque, il “sì” avrebbe prevalso, seppur di poco. Che avrebbero vinto “il buon senso” e la “moderazione”. Che le ragioni dei “conti ben in ordine” avrebbero avuto la meglio sulle spinte “demagogiche” e “populiste”. Che la paura del “salto nel buio” si sarebbe imposta sulla rabbia verso “questa Europa”.

Non ci avevano capito nulla. Oppure erano in malafede totale.

C’è stato uno di questi “opinionisti” che prima del voto, dando sfoggio di “equilibrio” ed “obiettività”, infarciva i suoi discorsi di accuse al governo greco di ogni tipo di sotterfugi, ed attribuiva ai greci l’inveterata abitudine a vivere in una specie di “sindrome del complotto” ai loro danni. Roba che se lo dici degli ebrei ti saltano al collo in diretta e non t’invitano più. L’hanno intervistato di nuovo dopo la sonora mazzata ed appariva stravolto: i greci, a suo dire, si erano praticamente suicidati, Tsipras non si fa problemi a votare “come Alba Dorata”, il ministro della Difesa sarebbe un nostalgico del regime dei Colonnelli, e via calunniando; senza risparmiare a chi pendeva dalle sue labbra, tanta era “l’autorevolezza”, il pistolotto già sfoderato prima del voto sul “complottismo” inguaribile dei greci.

ft-greeceTutti questi pappagalli non han fatto che ripetere da mane a sera le menzogne dell’organo della City, il Financial Times, che ventilava chissà quali catastrofi (il prelievo forzoso) se avesse vinto il “no”. E ora che il “no” ha vinto e che i (pochi) soldi in banca dei greci non sono toccati, rosicano, schiumano di rabbia, studiano la vendetta più sanguinosa. Il pitocco che conta i suoi danari dalla mattina alla sera non sopporta che esista gente che preferisce vivere nella dignità piuttosto che prostituirsi all’infinito.

Chissà perché se un politico perde, deve dimettersi, mentre questi stessi giornalisti, “opinionisti” ed “esperti”, anche se prendono lucciole per lanterne verranno ancora considerati degli oracoli e saranno invitati alle trasmissioni “di approfondimento” (del solco tra la realtà e le loro frottole), quando si tratterà di commentare le prossime fasi della demolizione del moloch finanziario messo in piedi dai loro padroni usurai.

Quando si andrà al voto in Francia, li sentiremo ancora vomitare il loro fiele sul Front National e la Le Pen (per la quale non vi sarà alcuna simpatia, anche se “donna”). Lo stesso fiele che sputano in faccia a Orban. Qua li abbiamo visti all’opera cantando le lodi dei “governi tecnici”. Hanno in orrore la politica, a favore della ragionieristica applicata allo Stato. Non vedono più popoli, stati e nazioni, ma solo “contribuenti” e rating.

In una situazione che un giorno, prima o poi, dovrà essere ricondotta alla normalità su tutti i fronti, non ci dovrà più essere spazio per questi propalatori di menzogne e fomentatori di scoraggiamento. Se proprio dovrà esistere un “sistema mediatico”, conditio sine qua non per poter accedere alla professione di giornalista dovrà essere la fedeltà alla propria nazione e l’anelito a servire, col proprio sapere, il proprio Stato.

Non come quella pletora di succursali del Financial Times, che riprendono acriticamente l’imbeccata di quello perché il loro compito statutario è servire interessi stranieri. Uno scandalo che deve finire.

Abbiamo sentito professoroni titolatissimi i quali, a caldo, parlavano come al bar, senza alcuna attenzione per i “tecnicismi” e il “parlar cauto”, tanta era la loro rabbia dopo il 61% delle preferenze per il “no”.

pagliacciStudiano, studiano e studiano così tanto che non sono in grado di andare oltre “la Merkel” e “Hollande”, come se tutto dipendesse dagli umori di questi due figuranti. Potevamo risparmiarci gli sforzi e le spese per la loro “specializzazione”. Non uno straccio di analisi geopolitica, geoeconomica. Niente di niente.

Frasi fatte e parole d’ordine nella speranza che le cose andassero come volevano quelli che li pagano profumatamente. La “democrazia” che improvvisamente comincia a non piacergli più tanto.

In realtà non gli è mai piaciuta, perché se credessero alle vuote parole che mettono in circolazione si sarebbero finalmente fatti da parte, tante sono le cantonate che hanno preso su una miriade di argomenti. Ma sono inamovibili perché indispensabili.

Alcuni giorni fa, migliaia di giovani hanno partecipato ad un “concorsone” per giornalisti in Rai. Che cosa muoverà costoro? Il miraggio del posto fisso? Una vita “interessante” ed “eccitante”? Mettersi al servizio del primo caporedattore ormai navigato per imparare “il mestiere”? Trasformarsi lentamente, ogni giorno che passa, in un ripetitore automatico delle veline dei “poteri forti”? Tradire letteralmente, raggirandoli sistematicamente, i loro connazionali?

Perché in ciò consiste l’invitare solo e sempre i soliti “opinionisti” ed “esperti” che ancora per un po’, se non aggiorneranno il loro vetusto e stantio armamentario, continueranno a prendere sonore batoste come quella sul referendum greco.

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