Un solo Essere (1)

Abhinavagupta«Il fatto che ogni essere individuale sia “altro” è causato solo da circostanze accidentali quali il corpo (ed anche le sensazioni e gli stati mentali). Quando però si esaminano tali circostanze, esse non sono “altre” (rispetto al “Sé”, cioè alla coscienza, poiché non si manifestano in modo indipendente da essa). La totalità dei soggetti è in realtà un unico Soggetto. Lui solo “esiste”.

Come afferma Utpaladeva (2):

Esiste solo la Luce/coscienza che si manifesta come ‘sé’ e come ‘gli altri’”.

Quindi, dall’Essere Supremo fino all’insetto c’è in realtà un solo Soggetto che percepisce (identificandosi con questi corpi e con le loro determinazioni). Analogamente per l’Agente (i.e. sono “Io” colui che compie ogni cosa, dalle opere di Dio a quelle degli insetti)». (3)

Abhinavagupta, Meditazione sul Riconoscimento, I, 1, 4.    (4)

Note (a c. di Panurge):

(1) Traduzione dal sanscrito di David Dubois:

 http://shivaisme-cachemire.blogspot.it/2016/04/un-seul-etre.html

(2) Maestro kashmiro del decimo secolo, autore di un’opera che s’intitola Îśvarapratyabhijñâkârikâ (“Le strofe del riconoscimento del Signore”), una fra le opere fondamentali della scuola shivaita del Kashmir. L’insegnamento evocato con il termine “riconoscimento” (pratyabhijñâ) si riferisce al fatto che ogni essere manifestato non è che l’espressione di un’unica Coscienza/Luce: la realizzazione metafisica consiste dunque ‘semplicemente’ nel “riconoscere” questa realtà. «Utpaladeva intese l’esperienza ultima dell’illuminazione come consistente in un profondo e irreversibile riconoscimento dell’identità del proprio sé autentico con Śiva. Dice infatti: “L’uomo accecato dall’ignoranza (Mâyâ) e vincolato dalle sue azioni (karma) è aggiogato al ciclo di nascita e morte, ma quando la conoscenza ispira il riconoscimento della sua divina sovranità e del suo potere (aiśvarya), egli, pieno solo di coscienza, diviene un’anima liberata» (Mark S. G. Dyczkowski, La dottrina della vibrazione nello śivaismo tantrico del Kashmir, Milano: Adelphi 2013, p.36).

(3)   Contrariamente a quello che molti potrebbero pensare, questa dottrina non tratta di ciò che nella filosofia occidentale corrisponde al cosiddetto “panteismo”, poiché nella metafisica orientale il rapporto fra l’Essere Supremo (unico esistente) e “gli esseri contingenti” è totalmente asimmetrico: se l’Essere è la Realtà effettiva di tutte le cose, queste ultime non hanno alcuna realtà se non quella che viene conferita loro dal Principio. A questo proposito esistono prospettive differenti nelle varie scuole orientali per cui il Vedânta, ad es., insiste sulla “illusorietà” del mondo, mentre le scuole tantriche del Kashmir ne affermano la “divina realtà”. Un’analoga dottrina è espressa in ambito islamico, dove si introduce il concetto di “teofania” (tajallî). Si veda il seguente passo dello shaykh Ibn ‘Arabî:  «L’Esistenza universale è unica nella sua essenza e “niente è con essa”. A questo proposito si può trovare una sottile indicazione nelle parole della Legge sacra: “In verità in questo c’è un avvertimento per colui che possiede un ‘cuore’ o che risveglierà il suo ‘udito’ mentre è ‘testimone’ ” (Corano, 50:37). Colui che è ‘Testimone’ è Lui, come Egli è pure il ‘cuore’ e l’ ‘udito’ poiché il hadîth dice: “Allâh era e niente era con Lui”. Gli iniziati hanno completato questa formula aggiungendo: “Ed Egli è adesso come era allora”. Da cui risulta che ‘adesso’ Egli è Lui come Egli ‘era’ Lui. Così non c’è che Lui, nonostante il fatto che siamo esistenti; però è certo che lo stato contingente (al-hâl) è uno stato contingente, mentre la realtà essenziale (al-‘ayn) è realtà essenziale. Non c’è che un non-manifestato che appare e una manifestazione che scompare; in seguito essa riapparirà, per sparire nuovamente e ancora apparire e sparire …  puoi continuare finché vuoi. Se segui il Libro e la Sunna non trovi altro che un Unico che è Lui (Huwa): Huwa non cessa mai di essere nella non-manifestazione». (Muhyî al-Dîn Ibn al-‘Arabî, Kitâb al-Jalâla wa huwa kalimatu-Llâh, (“Libro del nome di Maestà: ‘Allâh’”), trad. dall’arabo di Michel Vâlsan, Etudes Traditionnelles, juillet-août 1948, n. 269, p. 213.

(4)    Sommo maestro della tradizione tantrica shivaita del Kashmir (XI sec.), autore di numerose opere nelle quali sviluppa ampiamente non solo i vari aspetti della dottrina metafisica, ma anche importanti teorizzazioni nel campo della creazione artistica, come quella famosa in cui tratta della teoria del rasa (“gusto”). Il testo da cui è estratto il brano qui presentato è un commento all’opera citata di Utpaladeva.

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There are 5 comments for this article
  1. Salvatore Penzone at 3:31 pm

    Questo è un commento a un articolo su Krishnamurti che avevo postato, tempo fa, su un altro blog. Approfitto per proporlo anche qua perché ben si adatta all’argomento e perché offre ulteriori spunti che possono interessare i lettori e gli autori del sito dato che la discussione era orientata sulle implicazioni “politiche” che una certa visione spirituale poteva avere rispetto alla decadenza del mondo occidentale e rispetto alla destrutturazione delle coscienze condotta da un relativismo imperante che cancella le identità e attacca la coesione sociale.
    Scritto il 21-09-2014
    Il buddismo tratta del conseguimento del darmadhatu-jnana anche detto Grande Sigillo dalla scuola Karma Kagyu, o Veicolo di Diamante da quella vajrayana. E’ quello che viene chiamato corpo della realtà, intendendo con ciò la base stessa della realtà cioè la nostra coscienza descritta come “limpido vuoto”, unione della chiara e assoluta coscienza di sé e della assenza di qualsiasi identificazione, determinazione e origine di questa stessa coscienza. Si tratta, in realtà, di quello che nella nostra tradizione umanistica viene chiamata innocenza. In un bellissimo vangelo apocrifo, il Vangelo Della Verità, si dice che dio non sia altro che Innocenza Assoluta. Krishnamurti è solo un Uomo che ha fatto esperienza diretta della realtà del proprio essere. Chi tocca con mano la materia che ha dato origine a tutte le tradizioni spirituali, ai movimenti religiosi e ai dibattiti filosofici, si distingue dalla tradizione di riferimento e nello stesso tempo la porta a compimento, e, inoltre, prende le distanze da tutte le possibili manipolazioni. Nella sua esperienza diretta Krishnamurti mette a fuoco la necessità di una presenza totale di emozioni e sensi nella percezione della realtà presente, il ché comporta l’assenza della paura e delle descrizioni della realtà che ci vengono fornite da terzi, che siano essi tradizioni culturali, religiose o altro. Nella nostra tradizione alchemica ed ermetica si parla di Morte Filosofica. E’ un vuoto che serve a creare dentro ognuno lo spazio necessario per una crescita che possa condurci oltre il dualismo tra lo spirito e la materia, che non comporta l’azzeramento della propria esperienza di vita, ma solo l’abbandono degli attaccamenti e il prendere le distanze da quello in cui ci si identifica. Questo “limpido vuoto” è alla base di qualsiasi possibile evoluzione della coscienza. E’ evidente che, per chi ha intenzione di conseguire un potere sull’uomo, diventa indispensabile poterne gestire e, quindi, manipolare il processo evolutivo. A questo scopo hanno utilizzato la base stessa di questo processo, la necessaria condizione di “vacuità”, che investe però la singola persona solo quando questa è pronta, come principio a fondamento della cancellazione della memoria storica o la sua banalizzazione, come fa la cultura di massa e il cinema olliwudiano, in modo da creare un vuoto progettuale. La memoria per la collettività, che necessariamente si muove con un passo più lento, è, fondamentalmente, la base da cui partire per progettare il futuro. Senza una propria esperienza maturata, per una società non si può delineare nessuna strada, e senza memoria il progetto per il futuro delle nostre società sarà dettato da altri. Ecco, lo scopo è soprattutto questo: spogliarci della sovranità che abbiamo come popoli e come individui e costringerci a subire un futuro scritto da altri.
    Ciò detto però ci tengo a sottolineare che, aldilà delle differenze che il ritmo dell’evoluzione può assumere rispetto al singolo e alla società nel suo insieme, la possibilità di una “elevazione” della coscienza va offerta a tutti per cui sarebbe giusto e utile introdurre nelle scuole questi argomenti come materia di “riflessione”.

  2. Bennnato Bennati at 6:05 am

    Da “L’enseignament de Ramana Maharshi”, Editions Albin Michel, pag. 155.

    “Ciascuno è cosciente del Sé eterno. L’uomo, benché veda tanta gente morire, continua a credersi eterno. Perché è la Verità. Essendo naturale, la Verità si afferma da essa stessa, involontariamente. L’uomo si illude a causa della confusione del Sé cosciente con il corpo incosciente. Questa illusione deve cessare.
    Come essa prenderà fine?
    Ciò che è nato deve morire. L’illusione è concomitante all’ego che si eleva e scompare. Ma la Realtà non si leva né scompare mai. Essa rimane eterna. Il Maestro che l’ha realizzata dice così: il discepolo ascolta, riflette su queste parole e realizza il Sé. Vi sono due modi per considerare ciò.
    Il Sé sempre presente non necessita di alcun sforzo per essere realizzato. La Realizzazione è di già là. È sufficiente far sparire l’illusione. Alcuni dicono che la parola che viene dalla bocca del Maestro la fa sparire istantaneamente. Altri dicono che la meditazione ed altre pratiche sono necessarie per arrivare alla Realizzazione. Gli uni e gli altri hanno ragione; solo i loro punti di vista differiscono”.

  3. BENNATO BENNATI at 6:04 pm

    “La possibilità di una “elevazione” della coscienza va offerta a tutti per cui sarebbe giusto e utile introdurre nelle scuole questi argomenti come materia di “riflessione”, come scrive Salvatore Penzone, è quanto risulterebbe da una lettura tradizionalmente ” orientata” dell’art. 2 della Costituzione italiana ( chissà in che modo vi sarà entrata una locuzione del genere ? ) per cui ” La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità “, ove per ” personalità” si intendesse non – come di fatto avviene – la semplice individualità umana – nel suo aspetto più banalmente psicologico – pensieri, sentimenti, sensazioni – ( donde il ” diritto” inteso come mero appagamento degli stessi ,di tal che , in questa medesima linea interpretatativa, è prevedibile che, prima poi, dopo i ” gay” , ad esempio anche Leda reclami di potere convolare a giuste nozze col Cigno e chissà che cos’altro ancora, se debbano prendersi sintomaticamente ad indicazione certi ” siti” che si trovano in “rete” ), ma il suo substrato eterno, che le Tradizioni, chiamano il ” Sé”, l'”Atman”, il ” Vuoto “, ” il Centro ” “Huwa ” ( Egli ) ecc. che è l’asse immutabile attorno al quale ruota tutta l’Esistenza impermanente e tribolata e di cui la stessa individualità umana è una ipostasi, con la conseguenza che dovrebbe essere appunto in primis la scuola , rivedendo i suoi programmi , a favorire uno sviluppo della “personalità ” in tal senso, allo scopo non essendo idonei né i contenuti delle abituali materie “umanistiche” ( né , e tanto meno, l’ora di “religione” , impiegata , almeno questo è il mio personale ricordo, a fumare e a discorrere di politica col prete incaricato dell’insegnamento ), né, e sopratutto, la mentalità e la cultura della odierna classe insegnante imbevuta di una educazione improntata al più piatto laicismo ( non esclusa quella di coloro che pure si protestano ” credenti “) se non addiruttura al marxismo, la scuola essendo una casamatta da tempo conquistata dai seguaci della pseudo religione di Marx .
    In pratica , i nostri manuali di filosofia, letteratura ecc. dovrebbero essere espunti di tantissimi capitoli di una irrelevanza sovrana, non dico rispetto solo alla Tradizione , ma rispetto alla anche più elementare ” cultura”, per cui in letteratura quando si fosse studiato bene Dante, Petrarca, Boccaccio , i Fedeli d’Amore, Leopardi ( questo Autore ,in particolare, finalmente liberato da tutte le stupidaggini e falsità che si dicono sul suo conto, per esempio in occasione di un viaggio nelle Marche, questa estate, ho scoperto che era uno dei miei, uno di “destra” ,” destrissima” , con molte più affinità col padre il “reazionario ” Monaldo di quanto non ti dicano a scuola ), Manzoni, si sarebbe studiato tutto lo studiabile (salvo qualche appendice ) . In filosofia, studiati (bene ) i presocratici , Socrate, Platone, Aristotele, Pitagora e i pitagorici ( e possibile che a scuola non ci sia mai stato un professore che mi abbia detto ” conosci te stesso”, che poi è il segreto per conoscere l’Atman, il Vuoto, Huwa ecc, ? ) , San Tommaso d’Aquino e la Scolastica, si è praticamente studiato tutta la storia della filosofia ( occidentale) che merita di essere studiata ( salvo anche qui qualche appendice, come ad es. i deliziosi ” Frammenti di Etica” di Benedetto Croce – Laterza 1922, che ho qui davanti a me in questo momento ) , dedicando il resto del tempo non alla storia della filosofia , ma alla filosofia vera e propria, in particolare alla logica ( e Dio solo sa quanto di logica ce n’è bisogno nel mondo di oggi in cui la stupidità collettiva ha raggiunto livelli mai prima raggiunti ) , vale a dire allo studio dei criteri generali di natura ontologica che presiedono al funzionamento dell’intendimento umano e in relazione ai quali mi piace ricordare quello messo a punto per i suoi allievi da René Guénon , che furono pubblicati qualche anno fa dalla rivista francese ” Science Sacrée ” .
    Anche quanto allo studio delle lingue, l’ossessione per l’apprendimento dell’inglese , lingua dei vincitori l’ultimo grande conflitto e lingua del commercio globale, dovrebbe cessare per fare posto allo studio anche ( quanto meno per una minoranza di allievi che potesse esservi interessata ) delle lingue della Tradizione, cinese classico, sanscrito, arabo classico , più il francese che, oltre che essere la lingua di René Guénon , è la lingua, insieme all’arabo, degli ex possedimenti francesi e quindi può servire da ponte fra il nostro Paese le culture tradizionali nord africane ecc.
    Ovviamente, i nomi di René Guénon , Ananda K. Coomaraswamy , dell’Emiro Abdel Kader , Ibn Arabi , Mastro Eckhart ecc. ecc. dovrebbero divenire sempre più familiari per docenti, discenti, studiosi in genere, e con essi i testi taoisti ( ne esiste una egregia traduzione italiana edita dalla casa editrice “Luni” a sua volta basata sulla non meno egregia traduzione del gesuita Padre Wieger), le Upanishad, i Veda, il Corano, ecc. ecc. , né , oltre a questi indicati vedo altri modi , per dare attuazione verace al dettato dell’art. 2 della Costituzione e ai diritti della ” personalità”, ogni altra sua diversa interpretazione essendo truffa e parodia.

  4. BENNATO BENNATI at 7:40 pm

    Al sia pure sommario elenco di Autori di cui sopra, fondamentali per una scuola che non insegni più le solite cose, di una inutilità, in relazione allo sviluppo della persona, e di una pallosità, veramente stratosferiche ( e che dire di tutte quelle “professoresse” che pretendevano che tu ripetessi a memoria la pappardella da esse a loro volta imparata a memoria : e il Russo dice questo e il Binni dice quest’altro e il Badaloni e il Diaz….ed altri che andavano di moda, ça va sans dire tutti rigorosamente – che palle e strapalle !! -comunisti o di sinistra..), vorrei aggiungere la adesso cessata RIVISTA DI STUDI TRADIZIONALI di Torino che a tutti quelli della mia generazione è stata veramente maestra e che adesso è stata integralmente ( 1961-2003 ) ripubblicata in anastatica dalla Editrice Luni ( Giovanni Ponte che della Rivista fu agli esordi uno degli animatori, mi raccontava un mio collega genovese, che, poco più che adolescente, gli dava appuntamento in una caffetteria di Piazza De Ferrari, dove si presentava con un borsone pieno di libri e egli spiegava la Tradizione, lui si che era un vero Maestro ! ).

    • Salvatore Penzone at 2:30 pm

      Mah, io sarei di sinistra, perlomeno è così che ho sempre pensato fosse la giusta definizione
      dell’ orientamento politico che davo al mio “impegno civile”. Con il tempo poi mi è parso sempre più chiaro che quella definizione era solo una veste ideologica, che serviva a giustificare un senso di appartenenza che mi dava sì il conforto e il sostegno che chiedevo ma che mi costringeva anche ad una continua forzatura nel giudizio e nella interpretazione dei fatti perché fossero coerenti con l’ordine delle categorie stabilite da una cappa ideologica.
      Alla fine ho dovuto ammettere a me stesso che l’ideologia era un paravento che aveva nascosto i legami della sinistra con i processi indotti dalla globalizzazione liberista. Prova ne era la svendita dei beni dello stato e l’aver ceduto ad altri la nostra sovranità e via di questo passo, fino alla partecipazione alla grande e ipocrita messa in scena della guerra al terrorismo e alla difesa di una democrazia che mascherava gli interessi di una élite finanziaria che produce armi, che si impossessa delle fonti energetiche, che gestisce il commercio alimentare e impone ai contadini del mondo le sue sementi, che sottrae autonomia e sovranità con istituzioni sovranazionali che ci ingabbiano con le loro regole. “.Così mi è diventato sempre più evidente come le ideologie siano in realtà una vera e propria trappola, una messinscena ben progettata per farci credere che stiamo recitando da protagonisti quando, invece, il nostro è solo un ruolo in un opera dei pupi. E’ come una malerba che si radica nel profondo tanto da confondersi con il nostro sentire. Finiamo per aderire a una identità preconfezionata, fatta di schemi che hanno il solo scopo di metterci gli uni contro gli altri.
      E’ ovvio che ci sono differenze, sono vitali, basta guardare la natura, ma li vi regna il principio della complementarietà e non dell’esclusione. Basterebbe rispettare il ruolo che ognuno ha, le sue capacità e caratteristiche. Se sappiamo di essere utili e rispettati nel ruolo che copriamo, qualsiasi esso sia, non entriamo in dinamiche di insoddisfazione e di conflittualità. Si tratta però dell’applicazione della legge di “equità” e non di un principio di eguaglianza che appiattisce e massifica. Quando poi sono arrivato a spogliarmi dai “panni dell’appartenenza” il risultato ottenuto è stato a tratti sconvolgente. Non avevo più punti di riferimento, il che non mi rendeva incerto come si potrebbe supporre ma neanche certissimo. Il mio giudizio non contava particolarmente, quello che contava era lo sguardo, libero, attento alla sostanza e senza preconcetti. Una condizione che dava piacere e mi faceva sentire maggiormente padrone di se stessi…
      Non è utopia liberarsi dal meccanismo dei diverbi dottrinali, delle differenze ideologiche ma una necessità impellente se vogliamo uscire dalla manipolazione e salvare il salvabile.
      Personalmente voglio che il mio “impegno” abbia il volto semplice di chi ha i piedi per terra e non nega, per partito preso, la realtà dei fatti, di chi concretamente guarda all’interesse generale e tende la mano al di là degli steccati.

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