Gli “schiavi cinesi” vittime del… ‘furbocapitalismo’!

di Enrico Galoppini

laboratorio_cineseOgni tanto ricomincia il piagnisteo. Stipati come topi nella stiva e costretti a ritmi di lavoro degni di uno schiavo. Condizioni disumane, e noi, “insensibili”, consumatori finali dei prodotti finiti di quella “fabbrica-del-mondo” che è diventata la Cina.

Ci sbattono in faccia la disperazione praticamente senza vie d’uscita di poveracci che per la classica “ciotola di riso” lavorano e basta, per farci sentire come al solito cattivi. “Occidentali cattivi” che se n’approfittano per il loro egoistico “benessere”.

Persino sotto Natale, perché “si scopre” che anche gli addobbi, le luci e le palline dell’albero provengono da là; da quei gironi danteschi del lavoratore.

Che cos’è che oggigiorno non proviene dalla Cina? Praticamente quasi tutto.

Il guaio è proprio questo. Prima hanno creato le condizioni affinché la produzione industriale e manifatturiera di moltissimi beni di consumo si concentrasse in Cina, ed ora ci vogliono impietosire con queste “scene”, che vengono replicate anche in Italia quando ogni tanto salta fuori qualche “laboratorio” non proprio rispettoso dei “diritti dei lavoratori”…

Ma se si fosse protetta la produzione nazionale così com’era ancora fino agli anni Settanta-Ottanta, oggi non staremmo a commentare lo sfruttamento del povero operaio cinese.

Tutto ciò è doppiamente ipocrita: primo perché dello sfruttamento di chicchessia non è mai fregato nulla a nessuno; secondo perché se si cercano a tutti i costi il “profitto” e la “competitività”, assieme al “risparmio” dal lato del consumatore, non si può far finta che questo non provochi fenomeni raccapriccianti e scandalosi come quelli periodicamente mostrati nei vari tg di prima serata.

Che cosa dovremmo fare ora che “sappiamo” delle lacrime e del sangue che stanno dietro il nostro albero di Natale? Guardarlo con altri occhi? Smettere di farlo? Odiare il Natale?

Perché, piuttosto, nessuno si chiede come mai le palline e gli addobbi non si fanno più in Italia? Se fino a pochi decenni fa era così, che cosa lo impedisce oggi? Perché se era possibile produrre praticamente quasi tutto in Italia, oggi il cosiddetto “made in Italy”, quando è davvero italiano, riguarda più che altro settori merceologici che si prestano all’esportazione? Che cosa vieta – se non un assurdo appiattimento sulle parole d’ordine della “globalizzazione” e del “libero mercato” – che in Italia si produca, dal settore agro-alimentare fino, appunto, alle palline dell’albero di Natale, anche e soprattutto per il mercato interno?

Misteri di questo capitalismo che qualcuno ha definito “turbo”, ma che a noi, più che altro, pare solo e sempre insopportabilmente “furbo”!

Gli articoli de Il Discrimine possono essere ripubblicati, integralmente e senza modifiche (compreso il titolo), citando la fonte originale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*