Il problema mal posto delle “guerre di religione”
di Enrico Galoppini
Uno dei capisaldi del pensiero moderno occidentale è che “religione” e “politica” debbano restare separate.
Che poi lo siano davvero, e che cosa s’intenda comunemente con “politica” e “religione”, è questione da chiarire prima d’inoltrarci nel prosieguo del nostro ragionamento.
Per dipanare l’equivoco, basti dire che la “separazione tra religione e politica” significa di fatto una sola cosa: la politica non dev’essere in alcun modo influenzata dalla religione, e, più specificatamente, da quelli che tutto un filone di pensiero (che per l’accademia ufficiale praticamente non esiste) definisce “valori tradizionali”. Anzi, ad esser più precisi, si dovrebbe parlare di “principi” e delle loro applicazioni nei differenti domini dell’arte politica.
Una volta raggiunto questo scopo, poiché non è possibile che la politica venga governata dalla pura “prassi” né tantomeno dal “caso”, si perviene alla situazione odierna di tutti i Paesi cosiddetti “moderni”, dove la politica è “informata” secondo pseudo-principi, i quali sono nient’altro che dei “sistemi” basati su un qualche “errore” e dai quali deriva tutta una serie di conseguenze negative alle quali nessun politico, in virtù dell’assoluta ignoranza dei “principi” d’ordine tradizionale, sa porre rimedio.
La “religione”, nel mondo moderno, viene così tollerata come accessorio morale e sociale, e persino i suoi rappresentanti ufficiali sono inadeguati rispetto alla funzione che sarebbero chiamati a svolgere. Ma a certuni, mai abbastanza soddisfatti della “laicizzazione” delle nostre istituzioni, non va bene nemmeno così, e da qui deriva la continua ed inesauribile polemica contro l’eccessivo peso della religione nella politica, ed in particolare quello della Chiesa Cattolica.
La cultura, soprattutto quella divulgativa, ripresa dall’industria dell’intrattenimento più o meno colta, ha poi svolto un lavoro determinante nella formazione del mito dell’influenza nefasta della religione nelle epoche che ci hanno preceduto.
Si va dal pregiudizio sui “secoli bui” del cosiddetto “Medio Evo” alle immagini di preti intenti solo a bruciare “libri” ed “eretici”, fino alle cosiddette “guerre di religione”.
Ora, siccome la nostra è un’epoca nella quale si ha la pretesa di trovarci alle porte di una “pace perpetua” (con l’idea di “pace” ridotta a mera assenza di guerra!), si comprende facilmente il perché, a posteriori, la storia di tutti i popoli e di tutte le ere che hanno preceduto la “Modernità” viene presentata come una tragedia senza fine a motivo della religione.
Gli storici – in parte ‘interessati’ ed in parte vittime essi stessi delle suggestioni del loro tempo – che hanno trattato del rapporto tra religione e guerra, hanno costruito, per ciò che ci riguarda più da vicino, l’idea di una storia d’Europa nella quale, fintanto che la religione ha avuto un peso nella vita dei popoli europei, è il fattore religioso, condizionando quello politico, ad aver causato le “guerre di religione”.
Ma questi stessi storici omettono di sottolineare che se in Europa si è arrivati a delle “guerre di religione” lo si deve in buon parte all’emergere delle istanze “riformiste”, e cioè di quel Protestantesimo che segna uno dei momenti salienti della “Modernità”. Quel Protestantesimo, declinato in svariati modi ma sempre anti-cattolico nella misura in cui è anti-tradizionale, che sarebbe stato alla base della costruzione degli Stati Uniti, i cui “padri fondatori”, com’è noto, emigrarono in una “terra promessa” gettando l’anatema sulla “intollerante” Europa, ripromettendosi di vendicarsi prima o poi. Gli Stati Uniti, non per niente, sono l’entità statuale che ha condotto, in tutto il globo terracqueo, il maggior numero di guerre a partire dalla sua relativamente recente fondazione, tutte in nome della “pace” ed invariabilmente giustificate dalla pretesa di prevenire guai peggiori.
Se di “guerre di religione” pertanto si vuol parlare, lo si dovrebbe fare in relazione agli Stati Uniti d’America e alla sua ideologia fondante. Senonché, sempre gli stessi storici di cui sopra, quand’anche hanno inteso capire la bellicosità americana l’hanno spiegata con categorie quali il “capitalismo” e, peggio ancora, una volontà di “Impero” senza neppure sapere che cosa sia, tradizionalmente, un Impero.
Perché se lo si sapesse si sarebbe condotti inevitabilmente ad individuare nel cosiddetto “Impero americano” una parodia d’Impero, col che si conferma quanto scrivevamo in apertura, e cioè che se una civiltà non è informata secondo i principi tradizionali essa lo sarà secondo degli pseudo-principi.
In contrasto con quanto abbiamo argomentato sin qui, si potrebbe tuttavia affermare che prima della Riforma Protestante vi sono state lo stesso guerre in nome della religione, delle quali il classico esempio potrebbero essere le “Crociate”.
Ora, a parte il fatto che – come hanno dimostrato gli studiosi più informati ed onesti (su tutti Franco Cardini) – la Crociata, più che una banale “guerra”, fu un “pellegrinaggio armato” che caratterizzò tutta un’epoca della storia d’Europa, vi è da dire che essa è stata recepita a posteriori – proprio grazie alla divulgazione di certa storiografia – come il paradigma della bellicosità e della volontà di sterminare l’avversario, esattamente come l’insistenza sull’Inquisizione ed i relativi “crimini” servono a delegittimare a senso unico una certa idea di civiltà, al centro della quale c’è la religione.
Non è dunque la “guerra di religione” che si vuole condannare, additando la “Crociata” e la “Inquisizione” come tra le peggiori pagine della nostra storia, bensì un tipo di civiltà nella quale la Tradizione è al centro e tutto il resto le ruota attorno. Almeno come impostazione di fondo, ché la storia poi la fanno gli uomini con le loro limitazioni.
Con la “Modernità”, ragionando in base al paradigma progressista dominante, la “guerra di religione” sembrerebbe scomparsa, quando invece non è affatto vero, ed anzi si assiste ad un proliferare in misura ipertrofica proprio delle guerre di religione propriamente dette. Prima all’interno dei confini di uno stesso territorio (quando alcuni principi si ribellarono all’Imperatore e/o al Papato), e successivamente – a partire dall’emergere degli “Imperi” marittimi e commerciali inglese ed americano – in tutto il mondo dal momento che “l’unica nazione indispensabile” che ha la pretesa di essere stata istituita da Dio ha praticamente dichiarato guerra al “vecchio mondo” (compresa la vecchia idea di religione) per instaurare il “nuovo”.
Ma per il paradigma alimentato dalla cultura dominante, di cui gli storici più in voga ma anche i loro divulgatori sono tributari, la “guerra di religione” si riaffaccia, come un reperto storico, con l’emergere del cosiddetto “Islam politico”, che non a caso viene associato – come del resto l’Islam tout court – al “Medio Evo”, un Medio Evo ovviamente fantastico ed immaginario utile a rinfocolare il pregiudizio progressista moderno.
Il che avrebbe anche una sua plausibilità, se non si confondesse, imperdonabilmente, il modernismo islamico (“riformista” anch’esso!), con l’Islam tradizionale, il quale deve mettersi sulla difensiva così come sulla difensiva s’è dovuto attestare il Cristianesimo tradizionale nel momento in cui le istanze “riformiste” hanno trovato dei governanti che ne hanno fatto la loro ideologia ufficiale.
Si comprende così, tra le altre cose, che l’America e l’Americanismo hanno a che fare molto più con il cosiddetto “fondamentalismo islamico” di quanto non abbiano a che spartire con la più genuina tradizione europea (quella del Medio Evo, per intendersi), della quale, però, gli europei oggi devono vergognarsi affinché possano essere fatti schierare dalla parte dell’America e della sua proiezione ideologica (il Bene) contro il “pericolo islamico” (il Male) in una cosiddetta “guerra di religione” dalla quale ci si dovrebbe piuttosto defilare proprio in nome della religione in quanto espressione della Tradizione una perché la Metafisica è una.
Tutto ciò premesso, si evidenzia l’enorme e dannoso equivoco sulle cosiddette “guerre di religione” del passato e perché il pregiudizio della nefasta influenza della religione nella politica venga alimentato con fervore dalla cultura dominante anche ai nostri giorni.
A parte l’intervento dell’Italia a fianco della Germania nella seconda guerra mondiale che per noi poteva avere un senso come guerra di liberazione del Mediterraneo dal dominio inglese, quella che è stata la peggiore delle ” guerre di religione” , anche se la ” religione” di cui si trattava , era una religione sui generis, una religione deviata , quella dei nazionalismi e del conseguente desiderio di dominio, è stato il primo conflitto mondiale, di cui le celebrazioni del centenario , hanno mostrato, senza più differenze di prospettiva fra ” destra” e ” sinistra” , la totale assurdità, siccome evidente frutto di una suggestione, di un inquinamento psichico collettivo che non risparmiò nessuno dei contendenti ( lo dimostrano le immagini cinematografiche delle folle festeggianti, come se invece della guerra, fosse scoppiata la pace ), una suggestione non dissimile , mutatis mutandis, da quella che vorrebbe oggi dare marito agli uomini e moglie alle donne.
Tutto questo a dimostrazione del fatto che quando si parla di ” guerre di religione” i laicisti in servizio permanente effettivo , hanno poco da fare dei sopracciò.