Comprendere la “rabbia musulmana” non significa accettare il male che ci viene fatto
di Enrico Galoppini
Quando si prova a capire (che non vuol dire “condividere”) quella che un orientalista a servizio di Sua maestà britannica, Bernard Lewis, ha definito “la rabbia musulmana”, prima di bollare l’Islam e i musulmani in toto come “fanatici” e “sanguinari” si dovrebbe ricordare che tra le cause della situazione complessa, difficile e preoccupante che stiamo vivendo (e che comprende i nostri rapporti col mondo islamico e viceversa) vi è da annoverare anche il non indifferente fatto che se – da circa due secoli – non fossimo andati a ficcare il naso in “casa loro” in maniera invasiva e pesante non ci troveremmo con l’incubo del cosiddetto “terrorismo islamico”.
Quella delle ingerenze e delle prevaricazioni operate dalle potenze coloniali a partire dall’Ottocento per via indiretta (progressivo indebolimento dell’Impero Ottomano e annessioni de facto e conquiste dirette come in Egitto ed Algeria), proseguite dopo la Prima guerra mondiale con l’annessione pura e semplice, seppur camuffata da “mandati”, di tutto il Levante arabo, e culminate con la concessione al movimento sionista della terra di Palestina, non è questione da ignorare per una valutazione complessiva dell’attuale situazione che vede individui di religione islamica rendersi protagonisti di atti di terrorismo in territorio europeo.
Lasciamo stare per questa volta la fondamentale e nient’affatto “dietrologica” domanda su chi e perché utilizza degli utili idioti, sovente indottrinatisi in men che non si dica dopo anni d’indifferenza verso la religione, e concentriamoci sulle radici profonde di quella “rabbia”, che ha trovato uno sfogo anche nelle cosiddette “primavere arabe”, in più d’un caso trasformatesi in un bagno di sangue la cui scia s’è allungata anche nelle nostre città.
Purtroppo (ma non credo vi siano alternative, la massa essendo per sua natura ottusa e amante delle semplificazioni), ogni volta che si verifica un episodio (vero o inventato) di “terrorismo islamico” in Europa la propaganda di regime (il nostro, beninteso) ha buon gioco nell’infervorare pletore di tele-sudditi contro l’Islam, invitandoli a stringersi tutti attorno a quelle medesime istituzioni che dovrebbero difenderli ma che in realtà han fatto di tutto per preparare le condizioni dell’insicurezza. Primo, andando a ficcare il naso in casa altrui, com’è ormai evidente anche ai sassi se si pensa alla Siria e al suo martirio quinquennale. Recentissimo, addirittura in corso, non d’epoca coloniale e dunque “roba passata”. Secondo, “accogliendo” indiscriminatamente, dopo aver armato e sostenuto mediaticamente i “ribelli”, frotte di “profughi” fatti entrare senza alcun controllo scrupoloso sulle loro reali identità ed intenzioni.
A proposito dell’immigrazione di massa dall’Africa e dall’Asia, verificatasi inizialmente in Francia e Regno Unito perché quelle erano le maggiori (e di gran lunga) potenze coloniali, vi è chi ha parlato, già da decenni ed in tempi dunque non sospetti, di una “nemesi”: l’esito eguale e contrario all’azione intrapresa col colonialismo, sovente accompagnato da una migrazione di coloni europei. Non per niente – com’è noto – l’aristocratico Julius Evola, esponente di spicco di una “destra” irriducibile al “mondo moderno”, aborriva il colonialismo, il quale ha alla sua base motivazioni “progressiste” e “democratiche”, e dunque “plebee”, più di quanto si pensi comunemente.
Ma il male che è stato disseminato dai dominatori colonialisti presso le sole popolazioni di lingua araba – tanto per fare un esempio che conosco discretamente – è qualcosa di praticamente incalcolabile. Che non può non avere un suo peso anche oggi, dato che l’essere umano è anche il risultato della storia delle generazioni che l’hanno preceduto.
Non sono invece d’accordo con chi ritiene, follemente, che siccome “noi” abbiamo fatto del male a “loro”, adesso dovremmo starcene zitti e subire ogni cosa dal primo “profugo” squinternato che passa. Questo per due motivi. Il primo, elementare, è che io, tu che stai leggendo e tutti i nostri contemporanei non siamo in alcun motivo corresponsabili di crimini ed atrocità commesse dalle generazioni che ci hanno preceduto (per non considerare il fatto che le responsabilità, oltre che non essere ereditarie, non sono mai collettive). Il secondo è che del “male” – se volessimo scendere su questo piano – ce ne hanno fatto (o hanno provato a fercene) anche “loro”.
Penso, tra gli esempi che si possono fare, alla pirateria nel Mediterraneo che per secoli, dal Cinquecento, flagellò a partire da Algeri, Tunisi e Tripoli (a servizio della Sublime Porta), tutte le nostre coste con razzie e rapimenti. Dalla costa marocchina saccheggiavano persino le coste britanniche e finanche l’Islanda! Si trattava, è bene sottolinearlo, di sistemi – quelli delle “reggenze barbaresche” – che si fondavano quasi esclusivamente sulla guerra “di corsa” e dunque sulla predazione e lo sfruttamento degli schiavi. Per questo che cosa dobbiamo fare, allora? Mettere sul “libro nero” tutti i maghrebini? Sarebbe un’assurdità. Per questo a mio parere è da rigettare la moralina di chi mostra lo scheletro nell’armadio del colonialismo europeo nelle sue versioni vecchie e nuove per ridurre al silenzio tutte le voci contrarie alle recenti “rivolte arabe” e alle conseguenze delle “migrazioni” da quelle indotte.
Ma non è ancora tutto per poter dare una valutazione complessiva della situazione.
Lo stato di prostrazione, sfruttamento e di servaggio di quasi tutta l’Africa e l’Asia a partire dall’Ottocento è stato determinato dall’espansione dell’industria moderna occidentale (coadiuvata dalla grande finanza speculatrice) che a un certo punto ha preso la forma, colà, del colonialismo (diretto e indiretto). Alcune realtà, con un loro sviluppo specifico che avrebbero potuto seguire un percorso auto-centrato ed originale, sono state brutalmente massacrate e ridotte ad una landa di disperazione (si pensi all’India, il cuore dell’Impero britannico). Tra l’altro è uscito di recente, di John Newsinger, Il libro nero dell’imperialismo britannico (il più sanguinario e bestiale di tutti), nel quale è ben evidenziato il nessun rispetto finanche per la semplice natura umana dei colonizzati. Le varie teorie “razziste” (sempre made in England) facevano da contorno e supporto all’impresa. Ma la massa ottusa summenzionata ha sempre in testa “il nazismo” e così è soddisfatta ed in pace con la sua coscienza sempliciotta.
A voler rendere più ricca e articolata questa disamina, si dovrebbe poi riconoscere che in varie realtà colonizzate era in atto un’involuzione su vari piani, non ultimo quello cultural-religioso, tanto che qualcuno (Sergio Noja) – sempre per parlare di ciò che conosco meglio – ha parlato di Islam dell’immobilismo riferendosi al pensiero islamico a partire almeno dalla razzia mongola di Baghdad (1258), tanto per fissare una data, anche se a mio avviso la decadenza vera e propria ha avuto avvio più tardi, dalla metà del XVII secolo. Fatto sta che se ad un certo momento, di fronte ad un maggior dinamismo economico e – diciamolo francamente – ad una superiore forza materiale, i popoli arabi e musulmani soccombono, lo si deve anche ad una staticità e ad un “immobilismo”, appunto, che non era quello né dei califfati omayyade e abbaside, né degli Ottomani almeno fino a tutto il Seicento.
Gli stessi Ottomani che – com’è noto – tentarono a più riprese la conquista dell’Europa. Col che siamo ricondotti alla domanda iniziale. Il “male” (sempre che le conquiste – si pensi a quelle dell’Impero Romano – siano un “male” e basta!) viene tutto da una parte sola? Possibile che solo gli europei e “i bianchi” debbano fare perennemente ammenda delle loro “colpe” e gli altri, invece, possano andare fieri ed orgogliosi della loro storia (giustamente, aggiungo) anche quando è costruita (nella fase in cui c’è poco da andare per il sottile) su cumuli di teste mozzate?
Già da queste brevi considerazioni si comprende dunque che se non va sottovalutato il peso della storia coi suoi “conti in sospeso”, è fin troppo semplicistico e ingiusto (nei nostri confronti) affrontare temi come quello dell’attuale situazione internazionale, ed in particolare quella che coinvolge i Paesi arabi e musulmani, il “terrorismo islamico” e le migrazioni di “profughi” veri e presunti, con argomenti di tipo moralistico e ricattatorio, che se potevano andar bene quando il “terzomondismo” era sulla cresta dell’onda non sono più accettabili, nella loro unilateralità, alla prova dei fatti quando essi ci toccano da vicino. Quando cioè non si tratta più della “liberazione” dal colonialismo (guidata da giganti come Nasser ed i suoi epigoni), ma della pura e semplice preservazione della nostra incolumità in quanto esseri umani e comunità che, in via di principio, non sono da considerare – in base ad una sorta di “razzismo al contrario” – indegne di sicurezza e difesa da chi, in questo momento, quale che sia il motivo accampato, è intenzionato a farci del male.
Quale rabbia musulmena. Si tratta di rabbia occidentale che non vuol scendere dal trono che ci tiene legati con pratiche illegali e trucchi politici.
La rabbia è rabbia, non altro. Quella occidentale sarà quel che si vuole (perfidia, inganno, sfruttamento ecc.), ma non rabbia.
A proposito di Rabbia, Collera, Ira, andiamo a leggere alcuni insegnamenti dell’Islàm:
“Un uomo disse al Profeta Muhammad (benedizioni e pace su di lui): «Dammi un consiglio! Egli rispose: “Non lasciarti andare in collera”. L’uomo ripeté più volte la domanda, e il Profeta rispose: “Non lasciarti andare in collera”». (hadîth riferito da al-Bukhari)
L’Imam Ahmad tramanda da Abu Dhar (…): «L’inviato di Dio ci disse: «Se qualcuno di voi va in collera mentre è in piedi, allora si metta a sedere. E se passa la collera, bene, altrimenti si sdrai» (trasmesso anche da Abu Dàwùd).
L’Inviato di Dio (benedizioni e pace su di lui) ha detto: «L’ira viene dal demonio (saytàn): il demonio è stato creato da fuoco, e il fuoco si spegne con l’acqua. Dunque, quando qualcun di voi monta in collera, compia l’abluzione! (il lavaggio con l’acqua)» (da Abù Dàwùd).
Il Profeta (benedizioni e pace su di lui) ha lodato colui che è in grado di controllare se stesso nel momento della rabbia, con questo dialogo fatto ai suoi Compagni ai quali ha posto questa domanda: «”Chi è forte?” Risposero “colui che non viene mai battuto dagli altri”. “No” replicò: “colui che monta in collera e la rabbia, aumenta a tal punto che diventa tutto rosso in viso e gli si accapponano i peli del corpo, ma nonostante ciò forza e reprime la sua rabbia: questi è davvero forte» (da Imam Ahmad).
Dio dice nel Corano: «…coloro che reprimono la collera (al-kàzimina l-ghayz) e sono indulgenti (al-àfìna) con la gente, ché Dio ama quanti contemplando agiscono in perfetta bontà (al-muhsinin)» [Corano Sura Imran 3:134].
Si tramanda da un hadîth: «Dio Altissimo dice: “Oh figlio di Adamo, ricordaMi quando vai in collera, e Io non ti annienterò assieme a coloro che anniento”».
In un altro detto (hadîth) il Profeta (riferendosi alla decadenza degli uomini degli ultimi tempi, ai quali è destinata la forma tradizionale islamica) a proposito di coloro che “reprimono la loro ira” e “sono indulgenti” dice: “Costoro sono pochi nella mia comunità, ad eccezione di quanti sono preservati da Dio Altissimo. Ma essi erano molti nelle comunità passate. (da Al-Alùsi che riporta da Ad-Dìlamì).
Sempre su questo versetto coranico riporta il grande sufi Ibn ‘Ajiba: «Dice Al-Hasan Al-Basri: “La perfetta bontà è essere buoni in maniera universale, senza comportarsi come il sole, o come il vento, o come la pioggia.” Il sole, il vento o la pioggia, infatti, hanno luogo in un certo paese, e nello stesso tempo ne trascurano altri.”
L’Inviato di Dio (benedizioni e pace su di lui) disse: «Quando Dio ha ultimato la Creazione, si è prescritto nel Suo Libro (cioè Dio ha cosi sentenziato): “La Mia misericordia, prevale sulla Mia collera”» (hadîth qudsì).
(Alcuni spunti sono stati presi dal Libro: “La Sura della Famiglia di Imràn” Ed. Orientamento, di Idris Zamboni, pag.343-348).
La domanda che ci si pone: come preservare la nostra incolumità se il nemico é ben occultato ed incastonato tra le nostre fila? Non esiste rabbia, o “conti in sospeso” da parte degli arabi o africani o asiatici, nei confronti dell’Europa o dei “bianchi” ma un piano ben congeniato allestito dal terrorismo di Stato globale per portare a compimento lo scontro delle civiltà e la nuova costruzione dell’ordine mondiale.
Il nostro “peggior nemico” è molto ben occultato, perché è shaytan (satana) ed è dentro di noi:
Allah (s.w.a.) dice: «In verità Shaytan è vostro nemico, trattatelo da nemico. Egli invita i suoi adepti ad essere i compagni della Fiamma». (Corano Fatir 35:6).
Il Profeta (s.a.) disse: «Shaytan circola nel corpo del figlio di Adamo così come fa il suo sangue». (hadith)
E disse anche: «Shaytan ha disperato d’essere adorato da coloro che pregano nella Penisola Arabica (Hijaz), ma semina l’inimicizia e l’odio tra voi». (da Muslim).
Iblis (shaytan) ha rifiutato di inchinarsi (per orgoglio) davanti ad Adamo come ordinato da Dio, e allora Dio gli dice:
«”Vattene! – disse Allah – Qui non puoi essere orgoglioso. Via! Sarai tra gli abietti”.
– Ma iblis chiede una dilazione a Dio-
“Concedimi una dilazione – disse [Iblis] – fino al giorno in cui saranno risuscitati”.
– Dio gliela concede-
“Sia – disse Allah – ti è concessa la dilazione”.
– La promessa di shaytan di insidiare gli uomini con il permesso di Dio-
«Disse (shaytan): “Dal momento che mi hai sviato, tenderò loro agguati sulla Tua retta Via, e li insidierò da davanti e da dietro, da destra e da sinistra, e la maggior parte di loro non Ti saranno riconoscenti”.» (Corano Al-A’raf, 7:16-17)
La cosa più importante che bisogna dedurre da questi versetti, è che l’ostilità di Shaytan contro l’essere umano non diminuirà, perché egli è convinto che il suo esilio, la sua maledizione e la sua espulsione dal Paradiso siano dovute al nostro padre Adamo (*), ed è deciso a vendicarsi sui suoi discendenti, dopo essersi vendicato su Adamo (*) stesso. E’ per questo che il Corano ci mette continuamente in guardia contro Shaytan:
«O Figli di Adamo, non lasciatevi tentare da Shaytan…» (Corano Al-A’raf, 7:27)
La nostra incolumità è perciò il ricordo continuo di Dio e il rimettersi fiduciosi a Lui, in quanto “non c’è forza e non c’è potenza se non in Allàh”.