La “crisi dell’Islam” non è una scusa per deflettere dalla battaglia spirituale
di Enrico Galoppini
Leggendo gli interventi dei miei amici o conoscenti musulmani, mi capita spesso di notare una notevole preoccupazione per la tragica ed ‘ingloriosa’ fine che sta facendo “il mondo islamico”. Una fine in direzione del “nichilismo occidentale”, a colpi di consumismo, individualismo e culto dell’ego. Il tutto eventualmente condito da una religiosità di facciata, tutto fumo e niente arrosto, che recentemente ha preso le sembianze del cosiddetto “fondamentalismo”. La “crisi dell’Islam”, che ha tra l’altro fornito l’occasione a sociologi, storici e studiosi del mondo arabo-musulmano di versare i proverbiali fiumi d’inchiostro.
Sinceramente prenderei tutti questi segnali, tutte queste ‘campane a morto’ capaci d’infondere un senso di spaesamento misto a panico, per quello che sono. Più che di sostanza stiamo parlando di contorno: di gente – simile a quella di qualsiasi altra latitudine – piena di soldi che insegue l’accumulazione di beni e l’ostentazione. Gente innamorata del “mondo” (hubb ad-dunyâ: un punto estremamente squalificante dal punto di vista spirituale) e del loro “io” illusorio. Masse desideranti, che credono di trovare nel “mercato” e nella “politica” la soluzione ai loro problemi di esseri “irrisolti” e soddisfatti di essere riusciti, per il momento, a svicolare dalla famosa “domanda essenziale”.
A me poi della “fine che farà il mondo islamico”, o questo o quello “Stato islamico”, manco dovessimo tutti essere “salvati” da una specie di ente collettivo (tipo l’Urss dei bei tempi andati o la Cina di Mao), non m’interessa francamente un tubo. Detto ancor più brutalmente, “i musulmani” (intesi in senso puramente anagrafico e quantitativo) possono continuare a scannarsi tra di loro in assurde guerre ideologiche, con le relative ‘tifoserie’, ché tanto nessuno trarrà da tutto questo macello alcun beneficio al livello della “domanda” di cui sopra.
La Religione è per prima cosa una “via”, fatta di un credo (îmân), di una pratica rituale (islâm) e di azioni “in ordine” (ihsân) e perciò conformi ai due predetti punti. Il Libro sacro è un testo sapienziale, iniziatico, per prima cosa, e solo in seconda battuta una fonte di spunti da utilizzare eventualmente, ma col discernimento di cui gode solo chi è “illuminato” dalla luce della fede, per scopi “politici”. La Religione, il Libro, persino i Maestri viventi (irrinunciabili, a differenza di ciò che credono le “masse islamiche” istupidite dal Modernismo “fondamentalista”), non sono il fine, bensì lo strumento per coadiuvare il raggiungimento, da parte di ciascuno di noi, del supremo obiettivo che consiste nell’Unione con Dio.
La politica, l’economia, la società, in tutto questo, devono solo ‘apparecchiare’ le condizioni migliori per favorire quest’imprescindibile compito. Solo per questo motivo è da contestare la Liberaldemocrazia o qualsiasi altro “sistema” ideologico: perché non favorisce lo sviluppo spirituale della persona umana, ed anzi pone davanti a quello parecchi ostacoli, ma non per questo chi ha chiaro l’obiettivo supremo di questa vita deve contestarla a favore di altre ideologie che sovvertono i rapporti gerarchici tra i diversi piani delle umane attività.
Il motivo di preoccupazione per “la fine” che fa una società – e nello specifico per “la crisi dell’Islam” – sta unicamente in questo: sostiene il progresso spirituale di ciascuno oppure lo ostacola? Ma senza commettere l’errore di atteggiarsi a “conservatori”, poiché anche quella è una posizione squilibrata, eguale e contraria a quella dei “progressisti”, che non ha nulla a che vedere con quella “tradizionale”, che invece guarda all’essenziale.
In effetti, oggi sembrerebbe tutto “perduto”, eppure, quando tutto frana (e noi “moderni” e “occidentali” ne sappiamo qualcosa) è anche il momento in cui emergono le ‘vocazioni’. Insomma, quando tutto apparentemente “va male”, si è come esortati a sforzarsi in direzione opposta, ad essere migliori. Non esistono dunque mai “scuse” dettate dalla situazione politica, economica o sociale, per deflettere dallo sforzo di volontà che ci vuole per darsi un “carattere”, e finalmente un vero “Io”, anche se tutto quel che ci circonda dovesse andare in “crisi” inducendoci ad un pessimismo cosmico…
“Masse desideranti, che credono di trovare nel “mercato” e nella “politica” la soluzione ai loro problemi di esseri “irrisolti” ” erano anche quelle che affollavano le piazze nelle ” mitiche” campagne elettorali del ’46 e del ’48 , plaudenti i loro beniamini, che si chiamassero De Gasperi, Togliatti, Nenni ecc. tuonanti dall’alto dei podi e loro indicando magnifiche sorti e progressive , che ridotte all’osso , in maniera espressa o inespressa, erano poi nient’altro che il menu della trattoria di sotto casa, antipasto, primo, secondo, dolce, frutta, caffé per tutti ,più volte al giorno (il ” Paese di Cuccagna” , insomma,delle fole popolari ). A rivedere ora, nei filmati di RAI- Storia, quelle folle immense, quegli uomini e quelle donne, col naso volto all’insù , a ricevere il Verbo dei tribuni di allora , vien fatto di immaginarsi i vuoti che presenterebbero quei fotogrammi se potessimo aggiornarli all’oggi. E il cuore prova un moto di compassione : che ne è stato di quegli uomini e di quelle donne , provati dalla falce del tempo ? Poterli interrogare e chiedere loro se tutta quella loro passione era giustificata o se si sentono di essere stati in qualche modo ingannati, sviati su sentieri senza sbocco che non fosse quello del cimitero che attende tutti ! La “politica ” , insieme a ” calcio” e sport in genere , in effetti sono stati e continuano ad essere fra le più pericolose illusioni del nostro tempo , delle illusioni che non danno speranza.
Salvaguardiamo prima di tutto noi stessi e la nostra anima, che è ciò che maggiormente ci riguarda e che ci verrà richiesto da Dio.
La gestione e lo sviluppo delle cose del mondo sono affare di Dio il Creatore.
“Oh mio Dio ecco la mia miseria allo scoperto davanti a Te, ed ecco il mio stato che non Ti è nascosto. A Te chiedo di condurmi a Te, e per mezzo di Te vengo verso di Te. Guidami a Te con la Tua Luce, e fammi stare davanti a Te in sincera servitù (‘ubudiyya)”
(Parole del grande Sufi Shaykh Ibn Atà Allàh scritte nella sua opera Hikam – Saggezze).