Gli americani, maestri della recitazione
di Enrico Galoppini
Tra le doti degli americani, individuali e collettive, che solitamente gli vengono riconosciute si annoverano, tra le altre, il senso pratico, l’intraprendenza, la competitività, l’ottimismo, il patriottismo e finanche una loro “religiosità”. E queste, direi, son qualità che se considerate dal loro punto di vista, per i benefici che apportano a loro stessi quando non si trasformano in un eccesso, non possono che essere considerate positivamente.
Ma vi sono poi altre caratteristiche salienti dell’americano, le quali servono esclusivamente alla competizione che egli ha stabilito fin dall’inizio della sua breve storia con tutti gli altri popoli della Terra, trattandosi – papale papale – di fregare il prossimo in ogni modo, giustificandosi con la storiella del “popolo eletto” e della “unica nazione indispensabile”.
Tra queste peculiarità caratteriali e comportamentali degli americani, una delle più evidenti è una propensione alla teatralità che non è riscontrabile in nessun altro popolo. Se poi la si considera alimentata a dismisura dall’alleanza di ferro con un certo elemento ebraico (che non a caso detiene quasi il monopolio dell’industria del cinema holliwoodiano), col suo umorismo corrosivo e dissacrante, a tratti blasfemo, il quadro si delinea per quel che è: gli americani sono i maestri mondiali della recitazione.
Ma di una recitazione tutta particolare, non mirata a rendere su un palcoscenico, a beneficio dell’intera comunità, perle di saggezza universale e perciò eterne in rappresentazioni a tutti gli effetti sacre. No, niente di tutto questo, come del resto è il tanto strombazzato “amore per l’arte” degli americani, della quale essi non capiscono assolutamente nulla anche se si circondano di musei e sfornano sempre nuovi inutili ed insopportabili “critici”.
L’americano, come dicevamo ascrivendo tale caratteristica tra le qualità che comunque giocano a suo vantaggio, è essenzialmente pratico, dunque per raggiungere il suo obiettivo non si ferma davanti a nulla.
Tra gli artifici atti a ciò, vi è senza ombra di dubbio un apparato mediatico e di “intrattenimento” davvero formidabile, se si considerano gli sforzi che gli americani stessi (assieme ai suddetti “alleati di ferro”) profondono nel creare e ricreare continuamente la “realtà” ad uso e consumo del pubblico beota che si beve ogni panzana.
E a proposito di panzane, non si può non rilevarne la clamorosa abbondanza per ciò che concerne gli arabi e i musulmani, che da un po’ di tempo sono assurti a nuovo “male assoluto”.
Che cosa pensare, altrimenti, di fronte ad un figlio di Bin Laden, ritratto in età preadolescenziale che dovrebbe togliere il sonno a tutti gli occidentali? Una cosa davvero comica, come da operetta buffa fu la cosiddetta “fine” del padre, fatto sparire alla chetichella, senza mostrarlo in diretta, cadavere o meno, e solo in seguito mostrato, sulla medesima scena del “blitz”, vecchio e malaticcio, intento a cambiare canale in un miserando salottino come uno dei tanti pensionati abbandonati delle nostre città…
E come reagire – se non sbellicandosi dalle risate – davanti all’ennesima saga dell’orrore targato Isis, il cui “califfo” avrebbe stuprato e poi fatto uccidere un’americana che si riteneva morta sotto i bombardamenti dell’aviazione giordana?
Che cos’altro si devono inventare per far arrivare l’esasperazione degli occidentali ad un punto oltre il quale c’è solo il massacro, con gusto sadico e vendicativo, del primo arabo-musulmano che passa per strada?
Al di là di ciò che si può legittimamente criticare di questo cosiddetto “Islam” tutto “lettera” e nulla “spirito”, resta il fatto che oltre ad essere fondamentalmente eterodiretto (torneremo sul punto), questo spauracchio coi suoi dettagli “terrificanti” sparati nelle case degli occidentali a dosi massicce svolge perfettamente la funzione (cinematografica) del “pericolo” che incombe su un “pacifico” Occidente, che altrimenti se ne starebbe tranquillo ed in pace, senza doversi imbarcare di continuo in qualche impresa nella quale, controvoglia ma per spirito di servizio (sempre secondo la sceneggiatura made in Usa), gli americani si devono imbarcare per salvare non solo l’Occidente (cioè quelli sotto il loro dominio) ma addirittura l’intero genere umano e quindi i musulmani stessi. Che da soli non riescono a venire a capo dei loro problemi, tanto sono “medievali” e “fanatici”.
Peccato che per uno “stupro del califfo” che diventerà vero nella misura in cui il SITE ne diffonderà la “notizia” e farà imbestialire tutti quanti, pochi svolgeranno un elementare esercizio di memoria, provando a ricordare come l’Iraq, oggi teatro delle peggiori nefandezze che fan gridare vendetta, abbia dovuto patire, principalmente per colpa di questi artisti della manipolazione e della contraffazione, almeno venticinque anni di sofferenze, in mezzo alle quali c’è stata una vera e propria sagra della bufala, tra cormorani impiastricciati (ma rigorosamente “d’archivio”) e incubatrici spente, con altre piccole creature infilzate, negli ospedali del Kuwayt, dalle baionette del “quarto esercito più potente del mondo”… Che poi tutto fosse rigorosamente falso, e pilotato da una cabina di regia ubicata negli Usa (che comprendeva anche la figlia dello stesso ambasciatore del Kuwayt), che cosa importa? L’importante era ciò che era stato fatto credere, ed in quel preciso momento serviva far odiare come un novello Hitler il presidente iracheno. Che non sarà stato uno stinco di santo, ma almeno ebbe il merito, come il suo omologo siriano, di far convivere su un’unica terra, i cui confini erano stati tracciati dai colonialisti, etnie e religioni le più diverse. Con quei costumi “barbari” e “medievali” che oggi devono toglierci il sonno i quali – udite udite – erano non solo scoraggiati ma talvolta banditi dall’odioso dittatore.
Nessuno o quasi, oggi, è in grado di riportare alla mente l’immane strage che, nel giorno di Purim, venne compiuta ai danni delle colonne motorizzate irachene, in rotta dal Kuwayt, nel febbraio del 1991. Una fila chilometrica di mezzi bruciati e di corpi abbrustoliti, disciolti e resi come pezzi di carbone dalla “vendetta” che, inesorabile, doveva aver ragione di chi aveva “impiastricciato il cormorano” e “squartato i neonati”.
A questo serve, infatti, quest’infame propaganda per dementi: a giustificare ogni atrocità dei “buoni”, tra l’altro mai commisurata a quelle vere o presunte che i “cattivi” avrebbero commesso, a danno degli americani o no, non importa, perché l’America ha il monopolio della vendetta universale, col compito, non negoziabile né rimandabile, di ripristinare la “giustizia” ovunque questa venga infranta.
E così, tra Bin Laden II ed un califfo dedito al lenocinio, ci si tenga pronti ad un nuovo scatenamento di potenza bellica “purificatrice”, accanto alla quale, un’altra potenza di fuoco, quella mediatica, non mancherà di fare le sue vittime tra i molti, troppi deficienti sempre pronti ad abboccare.