Alla bocca dell’Inferno

Le nuove generazioni sono in pericolo e, di conseguenza, il mondo

di Loris B. Emanuel

Vedi la bestia per cu’ io mi volsi;

aiutami da lei, famoso saggio,

ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi.

Dante, Divina Commedia, Inferno, I, 88-90

orcoTermino di scrivere alcune considerazioni sul graffitaro ventenne morto ad Arona e subito mi ritrovo sotto gli occhi altre tristi notizie. «Trova una pistola e spara all’amico per errore», «Un ragazzo di 19 anni muore dopo una serata in discoteca in Salento», «Muore a 16 anni dopo l’ecstasy in discoteca».

Cos’hanno in comune queste notizie, morte a parte? L’età, anzitutto, delle vittime. Giovani e giovanissimi, caratteristica proditoriamente sottolineata dalla stampa giovanilistica (in tempi di renzismo figurarsi il contrario è impossibile). In secondo luogo la violenza del tipo di morte. Terzo, ed è il punto cruciale, la presunta imprevedibilità di un gesto. Prendiamo la prima notizia: trattasi di un quindicenne, che trova in terra una pistola, la maneggia e inavvertitamente esplode un colpo contro un amico. Ora, uno dei principi base che distinguono uomini e animali dalle pietre e dai corpi inerti è quello di causa-effetto. Lo scrivente maneggiava armi cariche alla stessa età, le montava, le puliva e le rimontava e non è mai accaduto il benché minimo incidente. Il motivo non è tanto in quella minima attenzione che impiegavo naturalmente, quanto soprattutto perché avevo ricevuto precise istruzioni su come e dove armeggiare con quei marchingegni pericolosetti. Ma poniamo anche il caso che un genitore sia in tutto e per tutto ligio al proprio dovere, assennato e fornisca tutte le indicazioni al pargolo per vivere nel mondo senza che né lui, né il mondo, possano patir danno. Ecco, posto questo, c’è tutto il resto, ossia che i giovani, come mi riferisce la stragrande maggioranza dei genitori amici miei, semplicemente non ascolta i buoni consigli, se ne frega persino, tanto son parole «di vecchi». Quindi le conseguenze dei gesti vanno a farsi benedire: il genitore, l’adulto in genere, avvisa, ammonisce, ma il giovane si sente Iron Man e sfila sui binari, gioca con pistole cariche, ingolla qualsiasi liquido o sostanza che gli offrano e via discorrendo, facendo in tutto questo la felicità dei giornalisti cialtroni e del popolino che si nutre di cronaca nera.

Dissoluzione+9519Anni fa una ragazzina, sorella di un mio amico, venne a chiedermi aiuto: era la classica giovane sgallettata, senza arte né parte, che aveva provato di tutto (letteralmente) e che ora, svuotata di ogni cosa, non sapeva più dove sbattere la testa. Era venuta da me più volte ma quella decisiva segnava una situazione disperante: per esempio la cosa meno idiota che avesse fatto nei giorni avanti, era stato stazionare per un intero pomeriggio nel parcheggio d’un ipermercato di periferia a chiacchierare con una sua amica. Io che non sono mai stato un viveur pur vivendo nel secolo, optai per l’unica soluzione che mi parve sensata: essendo stata battezzata nella Chiesa ortodossa (era di padre italiano e di madre russa), telefonai a un prete russo mio amico e gli dissi che gli avrei mandato qualcuno. Era l’unico ambiente sano e riequilibrante adatto a lei. Ci andò apparentemente volentieri e fu accolta non come una ragazza da riconvertire ma come una persona da capire, ascoltare e instradare sulla retta via della responsabilizzazione e, magari, dello studio e di un lavoro; l’aspetto confessionale sarebbe, a Dio piacendo, arrivato dopo (la ragazza d’altra parte aveva chiesto anche questo tipo di sostegno). Purtroppo la giovane frequentò la chiesa solo un paio di volte poi mollò tutto e ripiombò in quel niente in cui aveva sguazzato tristissima lungo tutti i suoi diciassett’anni. Tempo dopo si rifece di nuovo viva per chiedere aiuto: era soltanto peggiorata e qualsiasi indicazione era vana, da parte di chiunque.

Casi del genere sono all’ordine del giorno e denunciano una sola cosa: che ogni sistema educativo, fosse anche il migliore, oggi non è in grado di sortire alcun positivo effetto. E ciò non perché esso abbia perso l’efficacia, bensì poiché le nuove generazioni, tanto esaltate da certi intellettuali dei miei stivali, sono del tutto impermeabili a qualsiasi impulso edificante. Non parliamo poi se su di essi si applica la pedagogia democratica e progressista: il risultato sarà ancor peggiore della presunta cura.

donboscoeragazziLa pedagogia, per esempio, di un san Giovanni Bosco o di un san de La Salle – tanto amore, tanto buon senso e qualche ceffone senza assistenti sociali e insegnanti cgiellini e genitori mitragliati di panzane ideologiche tra le scatole – diede frutti eccellenti, ma non possiamo aspettare sempre che intervengano i santi per risolvere le questioni. E allora però non c’è più niente da fare, perché, al netto dell’intervento divino, nessun metodo umano ha ancora effetto su almeno due generazioni di giovani completamente alla deriva, smarriti in un mondo che li coglie sempre incapaci di farvi fronte e a cui loro non intendono piegare il capo in tema di doveri e responsabilità, volentieri però assecondandone, tutte e indistintamente, le tendenze più corrosive. E dico corrosive perché è questo il pare inevitabile destino delle nuove generazioni: la dissoluzione. Osserviamo con attenzione l’andazzo. Nel corso degli ultimi cinquant’anni, a fare conto pertanto dagli anni Sessanta, è stato provato di tutto, anche in questo caso letteralmente: ogni tipo di droga, il sesso selvaggio (titolo d’un benemerito, profetico libro di Vance Packard), il sesso di gruppo, il sesso misto, il sesso con animali e coi i morti, gli sport estremi, ogni sorta di violenza che coinvolga tutti e cinque i nostri sensi – la violenza inferta al prossimo e quella autolesionista –, il carcere per reati comuni e quello per reati politici, ai quali ultimi è ovviamente associata la lotta armata, l’occultismo e il satanismo; il tutto con la complicità di chi avrebbe dovuto vigilare. E cosa resta quando si è arrivati a esaurire tutte le possibilità disgregative? Due sono le possibilità: o tentare una reintegrazione imboccando una via tradizionale – che non può non passare per la fede – oppure compiere il passo estremo, che significa finire polverizzati, nel corpo e nell’anima, con conseguenze inimmaginabili. Oppure talmente immaginabili che il solo pensiero fa appunto «tremar le vene e i polsi».

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