Il killer di Pargi: uno dello “ius soli”
di Michele Rallo
In attesa dei primi risultati delle presidenziali francesi, rileggo le cronache dell’ultimo attentato del “multiculturalismo” al nostro stile di vita, quello che è costato la vita a un poliziotto sugli Champs Elysées. Secondo l’agenzia di stampa dell’ISIS, lo avrebbe compiuto tale Abu Yussef al-Belgiki, dove al-Belgiki sta per “il belga”. Errore – strilla la stampa d’Oltralpe, riecheggiata dalla nostra – perché l’assassino del poliziotto “è un francese”.
Avete capito? Ai tempi bui degli Stati Nazionali e delle “società chiuse” i francesi si chiamavano Armand, Michel, Georges, Joseph, eccetera. Oggi – nell’epoca gaia della Open Society, dei miliardari-filantropi e di Papa Bergoglio – i francesi e i belgi posso chiamarsi Abu, Yussef, Alì o Babà. Basta che le loro genitrici li abbiano partoriti qui da noi, e il gioco è fatto: avranno acquisito per sempre il diritto alla cittadinanza (e all’assistenza sanitaria e alla previdenza e all’istruzione e all’edilizia popolare e a tutto il resto) di Francia, Belgio, Italia o Germania. È il meccanismo infame dello ius soli, cioè della cittadinanza acquisita per il semplice fatto di essere nati in un determinato paese. Storicamente, è il metodo adottato dai paesi nati dalla trasformazione post-coloniale in nazioni di nuovo conio, che avevano interesse ad accogliere gli stranieri perché ingrossassero le fila della popolazione bianca per sopravanzare e dominare (se non proprio annientare) quella indigena: fu così che tanti figli di italiani, francesi, irlandesi, polacchi, eccetera divennero cittadini degli Stati Uniti, dell’Australia o del Canada.
In Europa, invece, dove le nostre popolazioni non avevano interesse – per dirla con le stesse parole – a farsi sopravanzare e dominare (se non proprio annientare) da altre genti, continuò a vigere l’antico diritto della nostra civiltà, quello dello ius sanguinis; del diritto – cioè – ad ereditare la cittadinanza dei propri genitori (o di almeno un genitore). Questo fino a non moltissimi anni fa, quando cominciò a manifestarsi la manovra invasiva, sia pur ancora in dimensioni contenute. Incredibilmente, era proprio da quel momento, da quando cioè il pericolo iniziava a materializzarsi, che i partiti di sinistra europei si attivavano per introdurre anche qui da noi quell’americanata dello ius soli. Obbedivano a un input che giungeva dall’estrema destra economica mondialista, come oggi è evidentissimo: basta vedere chi sono i finanziatori delle flotte ONG che svolgono il servizio taxi dalla Libia alla Sicilia. Input – quello della destra più reazionaria – che naturalmente era ammantato di parole d’ordine “progressiste”: buonismo, antirazzismo, “uguali diritti” e tutto l’armamentario delle castronerie veicolate dalla grande stampa posseduta dai poteri forti.
Non mancavano neanche gli interessi per così dire locali. Non ancora il business dell’accoglienza (Buzzi docet), ma fin da allora il cinico calcolo che i voti dei neo-cittadini acquisiti potessero in un domani colmare le defezioni sempre più numerose che l’elettorato tradizionale della sinistra cominciava a registrare. Era il caso, in special modo, del partito laburista inglese, che ha da sempre favorito l’immigrazione di massa per basse alchimie elettoralistiche. E questo fino agli ultimi governi laburisti. Lo hanno detto e scritto qualificati esponenti della sinistra britannica. Per esempio, Andrew Neather, ex consigliere del premier Tony Blair, o lord Peter Mandelson, ex ministro del governo Brown: «Nel 2004, come governo laburista, noi non solo abbiamo accolto a braccia aperte chi veniva qui per lavorare, ma abbiamo mandato procacciatori affinché incoraggiassero gente a immigrare ed a prendersi il lavoro qui.»
Perché ricordo queste cose? Perché sono cose che dovrebbero essere tenute ben presenti ogni qual volta un terrorista “in sonno”, o magari “radicalizzato” nelle nostre carceri, si sveglia e compie stragi a Parigi o a Bruxelles, a Londra o a Berlino o a Stoccolma. Non sono “immigrati” – squittiscono i buonisti di casa nostra – ma “francesi” o “belgi”; ovvero – come preferiscono chiamarli nel Califfato – al-Faransi o al-Belgiki.
Basta questo a far comprendere l’immensa, incommensurabile idiozia dello ius soli. Non è “accoglienza”, non è “salvare vite umane”, ma è trasformare milioni di stranieri in cittadini europei, con tutti i pericoli che ne derivano: da quelli di carattere sociale ed economico, a quelli di natura criminale. In fondo il responsabile vero dell’uccisione del poliziotto parigino non è lo sfigato che pensava di guadagnarsi il “paradiso di Allah” facendo una strage; ma chi, in una comoda aula parlamentare, ha legiferato per consentire a lui e a tanti altri come lui di diventare cittadini francesi.
Il problema non è l’accoglienza, il problema è la permanenza, è la perfida manovra di ingegneria etnica e sociale che sta a monte di una strategia immigrazionista, concepita e messa in opera da chi vuole distruggere l’identità dei popoli europei.