Fenomenologia (o psicopatologia?) dell’“amico” di Facebook

di Enrico Galoppini

Facebook, come altre reti sociali ma forse più di altre, non è poi così diverso dalla vita ordinaria. I rapporti che s’instaurano su questa piattaforma telematica nascono, si sviluppano e, talvolta, muoiono. Perché gli esseri umani son fatti così. Sono “animali sociali”, ma l’incomprensione e il bisticcio sono perennemente dietro l’angolo.

Con Facebook, poi, l’epilogo di una relazione è anche più facile, perché il mezzo la facilita. Come ne facilita l’inizio, perché non c’è bisogno di conoscersi di persona lì per diventare “amici”.

Gli “amici” di Facebook possono essere migliaia. C’è chi conosci per davvero, ma i più non li hai mai incontrati, e probabilmente mai l’incontrerai. E che problema c’è? Anzi, con molti di questi ultimi ti trovi molto d’accordo, perché se ti hanno chiesto “l’amicizia” l’han fatto perché gli piace il tuo “profilo”, cioè la tua immagine pubblica. Insomma, sono attratti dalla tua persona virtuale che traspare da Facebook. O da ciò che scrivi ed hai scritto in altre sedi. Si tratta di una versione aggiornata e riprodotta su scala maggiore di quello che per gli scrittori d’un tempo erano i “rapporti epistolari”. Negli scambi di lettere tra pensatori si trovano spunti interessantissimi, al pari di quelli contenuti nelle loro opere. Quindi non è strano avere “amici” su una rete sociale per veicolare idee e riflessioni.

Il problema è semmai un altro. Che Facebook e simili sono democratici. Chiunque dice la sua. Ma non sulla sua “bacheca”, ché questo è uno degli scopi, se non il principale, di questo speaker’s corner elettronico. No, il problema sono i commenti e la possibilità d’intervenire su quel che qualcuno ha pubblicato.

Di fatto, su Facebook va in scena la democrazia dei saperi e dei punti di vista. A parte i “mi piace”, che possono confluire a caterve su contenuti discutibili e/o futili, il problema vero, dicevo, sono i commenti. Alcuni dei quali sono pertinenti, compresi quelli di coloro  che non ti danno ragione, beninteso. Altri sembrano scritti solo per sfogarsi (e ci può stare, anche con qualche parola sopra le righe). Altri ancora sono senza capo né coda, fuori luogo, usciti persino tra quelli che sono d’accordo con te.

E sopra tutto questo mondo di ciarle, che però il mio amico Aliotta considera giustamente un ‘barometro’ della società utile per misurarne il polso, c’è “l’amicizia”. Una cosa talmente nobile perché se è vera è totalmente disinteressata, ma qui svilita ad un quotidiano democratico plebiscito sul gradimento o meno delle tue opinioni.

Ed è qui che vorrei sviluppare un discorso sulla fenomenologia, se non proprio la psicopatologia che governa questo tipo di “amicizia”, che in più d’una circostanza percepisco attaccata a un filo perché condizionata a ciò che vi è di più mutevole nel sentimento degli uomini: il consenso.

Questo lo sanno bene i cacciatori di followers, perché quelli sono come le galline dalle uova d’oro. Ogni clic sono monete sonanti, ancorché scritturali. Pertanto nessuno di questi influencer si sognerà mai di pubblicare un qualche cosa suscettibile di rovinare il consenso certosinamente raccolto. Ma ai comuni mortali come il sottoscritto che cosa può interessare del consenso su Facebook, tanto più che non facendo politica in senso stretto non sono interessato ad avere dei seguaci?

Da quando ho deciso di trastullarmi con questo gingillo mi sono posto nella medesima posizione che ho sempre assunto da quando scrivo: esprimere ciò che penso, nella maniera più precisa possibile, cercando di rendere un servizio alla Verità. Che poi ci sia mai riuscito fino ad ora è un altro paio di maniche, ma questo ad ogni modo è il mio intendimento.

Non m’interessa dunque tenermi stretto Tizio, Caio o Sempronio evitandogli qualche cosa di “sgradevole”. Chi mi ama (o meglio, chi mi capisce) mi segua.

Sì, perché il problema, collegato a quello dei commenti, è proprio quello di capire.

La comunicazione scritta, più di quella verbale, ha dei limiti, chiaramente (mancano l’espressione del volto, il tono eccetera). Ma se uno compie la fatica di usare le parole più atte ad esprimere il suo pensiero, le cose sono due: o si fa lo sforzo di capire oppure si prende atto che non si capisce e si tace.

Da qui la sensazione che quella della “amicizia” su Facebook sia una questione da analizzare secondo una chiave di lettura psicologica.

Partiamo da quelli che sono sempre d’accordo con te. Potresti anche scrivere: “Ora scendo in strada e ammazzo il primo che passa” e quelli ti mettono il like e pure commentano “bravo!”. Questi indubbiamente ti riempiono l’ego di orgoglio, ma a pensarci bene sono anche un po’ inquietanti, perché tu pensi di essere unico e originale, mentre invece in giro esistono dei tuoi cloni! Scherzi a parte, dai fedelissimi mediamente non c’è da temere niente: sono la tua guardia del corpo su Facebook e se arriva un “intruso” puoi lasciare a loro l’onere e il gusto di sbranarlo.

Poi ci sono quelli che la maggior parte delle volte gradiscono quel che hai pubblicato. Al che ti prende il dubbio su come mai altre volte non approvano. Che cosa mai gli sarà andato di traverso (sempre che non abbiano avuto di meglio da fare che stare su Facebook)? Avendo però capito come la intendono, uno per uno, puoi immaginare il perché… Ma sono persone garbate e intelligenti quanto basta per non puntare i piedi quelle poche volte che non sono d’accordo con te. Ti stimano lo stesso anche nella divergenza d’opinioni, e non è poco di questi tempi. Qui siamo senza dubbio ancora nell’ambito di coloro che elargiscono un consenso, ma bisogna stare attenti che ogni tanto qualcuno si potrebbe indispettire perché il livello di ‘clonazione’ non è completo come per i fedelissimi.

Chiariamo però una cosa, prima di proseguire: il gradimento di un pensiero espresso con una certa articolazione esprime anche e soprattutto il riconoscimento della capacità di aver sistematizzato ciò che ronzava in maniera ancora disarticolata nella mente del lettore. Dunque un certo consenso deriva da coloro che approvando quel che scrivi sono in una certa qual misura riconoscenti del fatto di averli aiutati a dare forma ad un loro pensiero più strutturato e solido. Che è cosa diversa dal “pensare per gli altri”, anche se c’è chi, passivamente, s’accontenta di questo.

Gli “amici” di Facebook li possiamo classificare inoltre in quelli che sono amici per davvero o che comunque conosci (anche solo per averli incontrati una volta) ed in quelli che non hai mai visto in faccia. Tra i primi ci sono gli amici di vecchia data, ma anche i più recenti, che ti hanno conosciuto nel tuo successivo sviluppo intellettuale. I primi sono solitamente i più restii ad ammettere che tu ti sia un minimo evoluto dai tempi della scuola, mentre i secondi, al contrario, vedono in te solo quel che sei diventato. Anche qui bisogna stare attenti, sia con gli uni che con gli altri. I vecchi amici del bar (che talvolta spuntano su Facebook come dall’armadio dei ricordi) dovrebbero avere la creanza di considerare il tempo che è passato, mentre a quelli nuovi è richiesto di considerare che hanno conosciuto una persona con tutto il suo passato, non una maschera pirandelliana. E poi ci sono gli “amici” che ti ritrovi su Facebook per vie professionali: qui la trappola del litigio è talmente tesa bene, che si esita, spesso, nel concedere a costoro il privilegio di essere “amici” anche in questo frullatore d’idee. Chi te lo dice che poi quello non ti pianta un casino sul lavoro? Infatti succede, e ti penti amaramente d’aver cliccato su “accetta”. Di nuovo, ci ritroviamo a scontarci coi limiti della psiche umana: chi t’aveva assicurato che io e te fossimo d’accordo su questo, quello e quell’altro? Certo, se uno pubblica le foto dei bimbi, delle vacanze e dei manicaretti del ristorante di fiducia, problemi non se ne creano. Ma se si fa un uso un tantino più complesso di questo strumento, il patatrac è dietro l’angolo, con possibili catastrofi a livello professionale se la tua posizione è passibile d’essere attaccata in qualche modo.

Tra i secondi, invece, distinguiamo tra 1) chi, per non avendolo mai visto in carne ed ossa, sai comunque chi è perché la sua ‘fama’ lo precede; 2) chi t’ispira fiducia dopo aver dato una rapida scorsa ai contatti condivisi ed ai suoi post; 3) i veri e propri Mister X. Se i primi non sono problematici sotto l’aspetto dell’accettazione della “richiesta d’amicizia”, al riguardo delle categorie 2 e 3 vi è da dire che possono riservare delle sorprese, sia positive che negative. Non esiste effettivamente un numero minimo di “amici in comune” che valga come criterio infallibile. Forse più che il numero vale la qualità di tali “amici”. Quanto ai perfetti sconosciuti, il consiglio è quantomeno quello di mandargli un messaggio per chiedere lumi, sempre che non si tratti della solita “puppona” o del tizio ubicato in all’altro capo del mondo che scrive in una lingua incomprensibile.

Una volta accettati gli uni o gli altri, esistono poi quegli “amici” che non si fanno mai vivi. Li puoi conoscere personalmente come no. I secondi sono decisamente i più inquietanti. Collezionisti di “amicizie” su Facebook? A volte hanno letto una mezza frase a commento del post di un loro “amico” e subito ti chiedono il contatto, senza alcuna preventiva verifica sull’affinità reciproca o comunque sull’assenza di condizioni che pregiudichino la durata di tale rapporto virtuale. Gli uni e gli altri, come che sia, sono dei fantasmi. Li hai in pancia, ma non proferiscono mai un sibilo. Con ogni probabilità, complici gli algoritmi di Facebook che propongono a periodi sempre gli stessi “amici” anche quando non ne puoi più dei loro post, essi perdono le tue tracce e non si ricordano più manco chi sei. Ma chi ti assicura che non stiano in agguato, pronti a colpiti proditoriamente? Lo capisci dal fatto che, tutto d’un botto, dopo un silenzio di tomba pluriennale, se ne escono con qualche strafalcione, o insulto, persino all’indirizzo di un tuo “amico” che avrebbe commentato, a loro parere, in maniera da richiedere un loro inopinato intervento.

Ogni tanto, nei suoi deliri d’onnipotenza, uno s’illude che questa “maggioranza silenziosa” comunque legga e mediti; ma è assai più probabile che alcune centinaia o migliaia di “amici” siano evaporati involontariamente perché Facebook non ti propone mai alla loro attenzione, e tu non sei il Padreterno. Qualcuno però evapora di sua sponte. E sono quelli che ti tolgono “l’amicizia” se fai un passo falso: erano d’accordo con te praticamente su tutto, ma a un certo punto si girano male perché “scoprono” che su quel punto che per loro non ammette negoziazioni non sei allineato con loro. Sono gli stessi che capita facciano cucù sulla tua bacheca dopo eoni di silenzio e poi se ne vanno facendo un gran fracasso. Ma ci sono anche quegli altri che nel tempo mutano idea, il più delle volte ideologicamente su questioni quali fascismo/antifascismo, Islam sì/Islam no ed altre che ingenerano le passioni più vorticose e travolgenti. Questi sono effettivamente dei tipi pericolosi, perché la loro “amicizia” non era basata sulla disposizione ad accettare la tua onestà intellettuale, pur nella divergenza d’opinioni, ma sull’illusione puerile di trovare un loro perfetto alter ego. Al riguardo di questi ultimi, vi è perlomeno da dire che il più delle volte se ne vanno alla chetichella, e solo a distanza di tempo ti accorgi che ti hanno tolto dalle “amicizie” perché “fascista”, “filo-islamico” eccetera, quando fino a poco tempo prima erano dei veri e propri estremisti dell’idea che poi hanno rigettato. C’è del materiale per gli psichiatri!

Ai loro antipodi ci sono infine quelli che, amici veri o no non conta, intervengono tantissimo, ma per criticare e mettere i puntini sulle “i”. Alcuni lo fanno in maniera costruttiva, e allora sono i benvenuti, ed anzi se non ci fossero me l’inventerei perché la loro puntigliosità sbalorditiva ti consente di operare sempre nuove messe a punto. Ma ci sono anche quelli che intervengono per sviare il discorso dove vogliono loro, e quegli altri che, pretescamente, spuntano per farti la moralina o romperti puramente e semplicemente gli zibidei. E questi sinceramente non li capisco, perché a mio avviso sono un po’ masochisti e narcisisti. Non riesco a darmi conto del perché facciano così, anziché togliere il disturbo, o semplicemente andare oltre il tuo “inaccettabile” post, ma qui le mie capacità di sondare l’animo umano si fermano, perché si dev’essere in presenza altri di casi di studio per specialisti.

Col che, senza alcuna pretesa d’aver esaurito un argomento così vasto e variegato, futile quanto si vuole ma che coinvolge quasi tutti noi, concludo questa disamina sulle “amicizie” su Facebook, ringraziandolo, per una volta, sebbene l’abbia già criticato duramente per il “grande fratello” che contribuisce a stabilire, per le amicizie vere che ho potuto stringere grazie a questo incontenibile ed irrinunciabile bla bla dei nostri tempi.

 

Gli articoli de Il Discrimine possono essere ripubblicati, integralmente e senza modifiche (compreso il titolo), citando la fonte originale.

There is 1 comment for this article
  1. Pingback: Fenomenologia (o psicopatologia?) dell’“amico” di Facebook – Sistema Immunitario

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*