Sherlock Holmes aveva ragione: il “NO” ha stravinto
di Michele Rallo
Il “metodo” di sir Arthur Conan-Doyle, il geniale inventore di Sherlock Holmes, funziona anche in politica. E il “metodo” consiste essenzialmente nella deduzione logica, razionale. Non la previsione, troppo spesso viziata da fattori irrazionali, come il pregiudizio politico o come il desiderio che possa verificarsi un determinato risultato. La previsione era che ci fosse un distacco minimo tra NO e SI (in modo da permettere a Renzi di restare al suo posto). La deduzione che logicamente poteva formularsi, invece, era che il fronte del no avrebbe stravinto: «Non il “lieve vantaggio” che tutti i sondaggi riconoscono ai NO – scrivevo la settimana scorsa – ma una vera e propria valanga.»
E la valanga c’è stata: prima di tutto nell’alta affluenza alle urne, e poi nella dimensione del voto contrario alla “riforma”. La gente, per la prima volta dopo decenni di crescente disaffezione al voto, ha voluto partecipare. Ed ha voluto partecipare per mandare Renzi a quel paese, per dirgli che non si lasciava stordire dai toni da bulletto presuntuoso, che non si faceva infinocchiare da una demagogia farlocca, che non ne poteva più di Jobs Act e di buonismo immigrazionista.
Sessanta a quaranta, dunque, con punte di ottanta a venti come – guarda caso – a Lampedusa. E il risultato sarebbe stato ancor più rotondo senza la sfacciata, scandalosa partigianeria di certi organi d’informazione e, soprattutto, senza le diffidenze incrociate di una parte (per fortuna minoritaria) dell’elettorato più politicizzato: i “moderati” che hanno votato SI per paura di Grillo, ed i “sinistri” che hanno fatto altrettanto per non fare un favore a Salvini. Nonostante queste defezioni e nonostante la percentuale fisiologica di gonzi che hanno creduto alla “riduzione dei costi della politica”, il risultato del referendum è stato netto, tale da costringere il Vispo Tereso a riconoscere la sconfitta (bello sforzo!) ed a rassegnare le dimissioni.
Naturalmente, le forze politiche che hanno fatto campagna per il NO cantano vittoria. E, certo, hanno dato tutti il loro contributo: Grillo, il duo Salvini-Meloni, la sinistra dignitosa e la cosiddetta sinistra del PD, il sempre lucido D’Alema e, perfino, un Berlusconi sceso in campo solo quando è stato certo che Renzi (fino ad ieri «l’unico leader») sarebbe stato fatto a fettine. Tutti hanno fatto la loro parte, la loro piccola parte. Perché la parte del leone l’hanno fatta i cittadini, gli elettori, che molto probabilmente – è la mia modesta opinione – avrebbero comunque sommerso di NO il mattacchione-capo e l’allegra brigata dei figli di Leopolda.
Il problema, adesso, è il dopo-referendum. Poiché esiste ancòra una ben delineata maggioranza parlamentare (PD+Alfano+Verdini) sarebbe logico che la legislatura continuasse pur con un nuovo premier (Grasso? Padoan? Delrio?). E ciò per due buoni motivi. In primo luogo, per “il disbrigo degli affari correnti”, che nel nostro caso vanno ben oltre l’approvazione della manovra finanziaria: si pensi – tanto per dirne una – allo stato di crisi del sistema bancario, che è sul punto di esplodere, oltretutto per colpa proprio della gestione renziana. E, in secondo luogo, per riscrivere la legge elettorale; giacché è evidente che l’attuale macedonia di porcellum, consultellum e italicum (potremmo dire: un casinellum) renderebbe di fatto ingovernabile il nuovo parlamento.
Ma la logica, in questo caso, potrebbe essere piegata dai capricci del ragazzino imbronciato. Il quale, dopo la sonora legnata, si è rimangiato l’impegno assunto pubblicamente (che era quello di lasciare la vita politica, non solo il premierato) e vuole farla pagare a quel popolo italiano che ha avuto l’ardire di spernacchiarlo. Come fare? Costringendo il suo partito a rifiutare ogni ipotesi di prosecuzione della legislatura, e lasciando il paese senza un governo nel momento in cui andranno ad esplodere una serie di mine che egli stesso ha disseminato sul terreno: la crisi bancaria, una immigrazione fuori controllo, i conti pubblici disastrati dai suoi mille provvedimenti di bassa cucina elettorale, gli enti locali con l’acqua alla gola, ed una situazione economico-sociale complessiva ai limiti del collasso.
Dopo di che, andare ad elezioni anticipate e “ripartire dal 40% dei SI”, fidando che tutti quei voti possano confluire su una coalizione del PD con Alfano e Verdini (che poi sarebbe il vagheggiato “partito della nazione”). Il 60% dei NO, nella sua azzardatissima analisi, dovrebbe dividersi metà e metà: 30% ai grillini e 30% ai partiti del centro-destra. Ragionamento che non tiene conto del fatto che una parte consistente del “suo” 40% proviene da un elettorato estraneo al PD.
Ma – soprattutto – la sgangherata strategia renziana non considera che, di fronte a un tale gioco allo sfascio, gli elettori possano reagire affossando il PD (dei cespugli contigui non vale neanche la pena di parlare) e trascinandolo in una sconfitta elettorale biblica. O forse il Vispo Tereso se ne rende conto, e non gliene frega niente: che muoia Sansone con tutti i Filistei – come recita un vecchio adagio – così i Filistei saranno puniti per non aver apprezzato abbastanza l’Uomo della Provvidenza che era stato loro inviato dal Cielo.
Decisamente, gli italiani hanno fatto benissimo a negare i poteri costituzionali assoluti a uno come lui.