Il Fascismo e l’Islam – Introduzione di Franco Cardini

A distanza di oltre quindici anni, ripubblichiamo qui, per la prima volta su internet, l’Introduzione scritta da Franco Cardini per il libro Il Fascismo e l’Islam, di Enrico Galoppini.

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Introduzione

di Franco Cardini

fascismoeislamPuò darsi che il talora vago, talaltra più preciso interesse di Mussolini per l’Islam – un interesse che prendeva qua e là i colori della simpatia, mentre spesso aveva un tono più scopertamente pratico se non opportunistico – avesse le sue più lontane ed autentiche radici nelle celebri pagine di elogio dell’Islam vergate da Nietzsche. L’interesse e l’attrazione reciproca, fra Mussolini e il fascismo da una parte, il mondo arabo e islamico dall’altra, ci sono senza dubbio stati. Fino ad alcuni decenni fa il turista italiano che sostasse sul Haram ash-Sharif di Gerusalemme, la splendida spianata fra la Cupola della Roccia e la Moschea di al-Aqsa, poteva venir salutato – gli facesse piacere o no – da sonori “Viva il Duce!” proferiti dai vecchi palestinesi in kefiyyeh che sedevano lì presso; e visitando la Moschea di al-Aqsa veniva puntualmente informato dalla guida araba che le grandi colonne di marmo candido che sostengono il soffitto sono “un regalo del Duce”. I lettori di Harem di Vittoria Alliata ricorderanno il vivido profilo dell’arabo che aveva combattuto volontario in camicia nera.

Contrariamente a quel che una superficiale e non innocente “vulgata” tenderebbe a far credere, queste sia pur vaghe simpatie reciproche non ebbero mai nulla a che fare con l’antisemitismo, che non è mai stato proprio né di arabi né di musulmani e che, per il fascismo, fu il tardivo, strumentale e sciagurato frutto dell’alleanza politica col nazismo. Un frutto, del resto, inghiottito di malavoglia, tra il cinismo della politique d’abord e le riserve di chi pensava che tutto si sarebbe risolto nella solita commedia all’italiana.

fascio_200Il libro di Enrico Galoppini ricostruisce alcune delle vicende che accompagnarono lo sviluppo del filoarabismo e del filoislamismo di Mussolini e del fascismo, cui fece riscontro un sia pur eterogeneo filoitalianismo e filofascismo da parte araba e musulmana. I due termini del discorso, il mondo arabo e l’Islam, vanno beninteso tenuti distinti: Mussolini destò l’interesse – e per qualche verso servì da modello – di statisti musulmani occidentalizzanti, riformatori e progressisti, come Mustafà Kemal Ataturk e Reza Shah. Un riflesso di questo interesse e di questa assunzione a modello si coglie ancora, negli Anni Cinquanta, in esponenti del “socialismo arabo”.

Questo rapporto tra fascismo e forze interessate alla modernizzazione dell’Islam – che aveva senza dubbio un risvolto interno al “sistema imperiale” italiano: sudditi e/o cittadini di fede musulmana numerosi in Libia, in Eritrea, in Somalia, in Etiopia, più tardi in Albania – nasceva anzitutto e soprattutto nell’ambito della politica mediterranea e dell’equilibrio di influenze e di potere rispetto alla potenza coloniale britannica: avvertita almeno fino al 1935 come un’amica ma al tempo stesso una concorrente-avversaria su un piano che l’Italia fascista giudicava “vocazionisticamente” suo: quello dell’egemonia mediterranea.

avvenire_araboLa scelta di configurare la politica mediterranea del fascismo, dal 1935-36 in poi, come un duello tra Italia e Gran Bretagna per l’egemonia sullo Specchio d’Acqua tra Gibilterra e Suez, conferì al filoarabismo e al filoislamismo fascista un carattere più preciso e aggressivo. Si trattava, ora, di presentare l’Italia come la garante di un programma revisionistico nei confronti dei trattati di Versailles, che avevano disatteso e frustrato le speranze d’indipendenza dei popoli arabi e musulmani a vantaggio delle pretese postcolonialistiche della Francia e, soprattutto, della Gran Bretagna.

Fu una politica portata avanti in termini in gran parte approssimativi e velleitari. Nella sostanza, l’azione italiana non riuscì a provocare risultati apprezzabili sul piano degli esiti del conflitto. Rimase nell’aria il senso di un’occasione perduta, l’eco del fallimento d’un progetto forse poco robustamente sostenuto, forse troppo scopertamente strumentale. Eppure, la scia di quel lontano proposito, di quel sogno inappagato, durò nella memoria del mondo arabo fino agli Anni Cinquanta.

(Introduzione a Enrico Galoppini, Il Fascismo e l’Islam, Edizioni All’insegna del Veltro, Parma 2001 – Pagg. 156, euro 13,00)

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