San Francesco, il faqîr degli Italiani

di Enrico Galoppini

san_francesco1Oggi è la Festa di S. Francesco, Patrono d’Italia, e da modesto “arabista” vorrei condividere qualche considerazione riguardante il concetto di “povertà”.

I termini arabi per indicare “povertà” e “povero” sono rispettivamente faqr e faqîr. Dal secondo origina – per vie che ora non sto a spiegare – il nostro “fachiro”, ma l’idea di “povero” veicolata da faqîr (e dal verbo iftaqara: “essere carente”, “privo di”) è molto diversa da quella che, affidandosi alla sola spiegazione economico-sociale, si è fatta oggigiorno la maggior parte delle persone.

Il “povero”francescanamente inteso è il “povero di Spirito”. È “povera” infatti la condizione umana ordinaria, in quanto mancante di quella Verità “vista”, “udita” e “gustata” da Francesco (i sensi non sono altro che un’immagine di altri e più elevati mezzi per attingere la Verità, ma anche questo, nell’era di continui programmi dedicati al “buon cibo”, è alquanto frainteso…).

Il santo è dunque colui che ha chiara come il sole la condizione di “povertà”, di “miseria” dell’uomo rispetto al suo Signore, di fronte al quale è nulla e senza il quale è nulla. “Ricco” (ghaniyy), invece, è colui che può “fare a meno di”, che può “prescindere da”. Ed ecco così spiegato perché al-Ghaniyy è uno dei nomi divini (Iddio non ha bisogno di nulla essendo assolutamente autosufficiente e sussistente per Se stesso), mentre i fuqarâ’ (pl. di faqîr), che corrispondono esattamente ai “poverelli” di Assisi, sono coloro che dedicano la loro vita alla ricerca costante di Dio impegnandosi, sforzandosi senza sosta (gihâd) in vista dell’unico obiettivo sensato di questa vita che, confrontata al Reale, assume le sembianze di un’ombra o di un sogno.

vacca_sheikh_musulmaniLa celebre arabista ed islamologa Virginia Vacca, nella sua traduzione delle Vite di Sheikh Musulmani del “santo musulmano” ‘abd al-Wahhâb ash-Sha‘rânî (Edizioni Paoline, Milano 1960) optò – in luogo di altri termini, pure diffusi nelle traduzioni di opere simili, quali sûfî o murîd -proprio per il termine “poverelli” al fine di rendere l’arabo fuqarâ’ usato per i “cercatori di Verità” dell’Islâm. Una scelta a nostro avviso molto appropriata, perché dà la misura dell’analogia facilmente ravvisabile (sempre che non si sia animati da un pregiudizio settario ed esclusivista) tra la “cerca” spirituale degli “uomini di buona volontà” di questa o quella religione.

Ed è pure il caso di notare che murîd significa letteralmente “colui che vuole”, essendo la parola in questione il participio attivo del verbo arâda (“volere”). Si comprende così per il tramite della lingua araba che la “via spirituale” è un percorso lungo il rafforzamento della volontà, perché l’uomo ordinario che citavamo all’inizio, quello cioè soddisfatto della sua condizione “normale”, non sa nemmeno cosa sia la volontà, scambiandola di continuo con le pulsioni ed i desideri dettatigli dal suo ego (nafs).

La povertà anche materiale (San Francesco si spogliò di tutto quel che possedeva, come il Buddha e come tutti gli Inviati d’Iddio) può essere un segno della lampante consapevolezza realizzata intimamente che questa cosiddetta “realtà” è solo una parvenza della Realtà Suprema, ma guai a chi – in tempi di esagerazioni economico-sociali – intendesse vedere nella mera indigenza materiale una condizione che, automaticamente, fa spuntare l’aureola in capo, come purtroppo anche troppi religiosi fan credere a masse di cui cercano un consenso a buon mercato.

san_francesco_cantico_creatureLa povertà materiale, difatti, quando non è gradita ed anzi è una sorta di una camicia di forza non piace a nessuno, né può costituire un deterministico punto di partenza per una “vittoria” spirituale. Sia il ricco che il povero (ancora intesi dal punto di vista del tenore di vita materiale) hanno le medesime possibilità di seguire la Via. Tutto dipende dal valore che danno a questo mondo, che non va disprezzato, ma certo va relativizzato per quello che è, ovvero una “possibilità”.

Una possibilità che San Francesco, il nostro faqîr in quanto italiani, indica ancora a tutti, senza distinzione alcuna.

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There are 2 comments for this article
  1. BENNATO BENNATI at 1:41 pm

    Povertà materiale, povertà ontologica, povertà spirituale corrispondono ciascuna a concetti distinti ( che non sono sicuro che gli stessi rappresentanti ufficiali delle religioni abbiano sempre molto chiari ) , la povertà materiale corrispondendo alla mancanza o alla scarsa disponibilità di beni materiali , quantitativamente valutabili; la povertà ontologica corrispondendo alla mancanza in sé stessi del principio di ragione sufficiente, la propria esistenza dipendendo da un altro ( ogni essere essendo uno stato di manifestazione di un altro essere ontologicamente maggiore di lui , e tutti essendolo rispetto all’Essere ); la povertà spirituale consistendo nella consapevolezza della proprio povertà ontologica e nel conseguente sforzo, come si esprimeva uno Sheick ( magrebino o andaluso, non ricordo, vado a memoria ), di cancellare [quanto a sé stessi e al cosmo ] ciò che non è mai esistito, facendo sussistere ciò che invece da sempre e per sempre esiste , cioè il Principio, l’Essere , come termine finale di un percorso iniziatico .
    La povertà materiale, contrariamente alla importanza che le viene data oggigiorno , ben lungi dall’essere il presupposto di una maturazione spirituale, può esserne un ostacolo , nella misura in cui il ” povero” inseguendo la ricchezza , il possesso dei beni materiali, invidiando, se non odiando, coloro che, diversamente da esso , tali beni possiedono, anziché serenamente accettare la propria condizione sociale , quale espressione che lo concerne direttamente della più radicale e generale povertà ontologica (cosa che però non escluderebbe che pacatamente e con mezzi leciti tale condizione sociale cercasse di migliorare), non vi si rassegni, trascorrendo il più o meno lungo tratto di vita assegnatogli, alla loro ricerca , obliando del tutto ( è il caso di quasi tutti i nostri contemporanei , ed ovviamente anche di quelli che poveri affatto non sono ), la ricerca, e conseguente realizzazione, spirituale, così rinunciando allo scambio dell’ effimero e del provvisorio con il duraturo e l’eterno ( donde si vede il guasto collettivamente apportato dalle moderne ideologie umanistiche, razionalistiche, socialistiche ecc. riducenti il Reale alla quantità e alla storia e quest’ultima alla storia dei bisogni materiali dell’uomo , questi , a sua volta, considerato esclusivamente nella sua dimensione terrestre ).

  2. Umar A.F. at 3:21 pm

    A proposito del valore di questo basso mondo (dunyà):
    Si tramanda da Al-Mustawrid che l’Inviato di Dio (pace e benedizioni su di lui) disse: “La relazione che c’è tra questo basso mondo (dunyà) e l’Altra vita (akhira) è ben esemplificata dal caso di uno di voi che metta un dito nel mare : guardi con che cosa esso riemerge! ” (lo riporta Muslim)
    Ed ancora:
    Si tramanda da ‘Uthmàn ben ‘Affàn che il Profeta (pace e benedizioni su di lui ) disse: “Il figlio di Adamo non ha diritto (haqq) che a quattro cose: una casa in cui abitare, un abito che copra le sue nudità, un tozzo di pane e dell’acqua” (lo riporta At-Thirmidhì).

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