“Lezioni di giornalismo”: quando le opinioni personali sono “la notizia”
di Enrico Galoppini
Un giornalismo serio – ci viene ricordato spesso – dovrebbe basarsi sui “fatti”. Dopo di che – come ripetono gli ammiratori dello “stile anglosassone” – potrebbero fare la loro comparsa i commenti. E comunque – sempre secondo i ferventi estimatori di Bbc e dintorni – fatti e commenti se ne dovrebbero stare rigidamente separati.
A me sinceramente non m’interessa un tubo di questa pretesa “regola”, tuttavia la ricordo per il semplice motivo che sono gli stessi giornalisti del Bel Paese, stregati da quello d’Oltremanica, ad ammorbarci continuamente con questa storia.
Ecco, la separazione dei fatti dalle opinioni personali non è propriamente quello che ha operato l’estensore di questo dispaccio dell’Ansa, che in appena cinque righe e mezza ha avuto l’ardire di qualificare il partito ungherese Jobbik con ben tre attributi a raffica: “radicalnazionalista”, “razzista” e “antisemita”.
Davvero troppo – crediamo – anche per un fautore della commistione tra i fatti (l’affermazione elettorale del partito) e le idee personali (con tutta evidenza nettamente avverse a quelle di Jobbik).
Si dirà che quelli sono gli attribuiti necessari per permettere al “lettore medio” una rapida identificazione dell’oggetto della notizia. Uno, infatti, potrebbe non sapere nulla al riguardo di Jobbik (e forse dell’intera Ungheria), quindi la sequenza di aggettivazioni servirebbe a collocare il partito ungherese in una precisa posizione dello spettro di posizioni politiche con le quali i più hanno familiarità.
Ma ci vuol poco a capire che non è questa la finalità di un simile modo di fare giornalismo.
Quando si tratta di definire un partito israeliano analogo per molti aspetti all’ungherese Jobbik, gli stessi prodighi elargitori di attributi negativi azzardano al massimo “ultra-conservatore” o “ultra-ortodosso”.
“Estrema destra” è già qualcosa che viene dosato con maggior cautela a seconda di chi si deve colorare a tinte fosche.
Non sia mai detto poi che un partito nazionalista, o nazional-religioso, venga qualificato come “patriottico”, tanto l’idea di patria deve svanire dall’orizzonte mentale del bravo “cittadino democratico”.
E non parliamo del trattamento con guanti di velluto riservato a certi partiti che, sebbene risultino estremisti in tendenze assai pericolose per la maggioranza della popolazione (come il “liberismo”, le “privatizzazioni” e le politiche definite della “tolleranza” e della “accoglienza”), riscuotono l’unanime consenso della cosiddetta “stampa autorevole”, la quale li omaggia di attributi lusinghieri atti ad estorcere un consenso bovino.
Un consenso che, piaccia o no, anche Jobbik ha riscosso, e che pertanto andrebbe rispettato in nome delle tanto declamate “regole democratiche” che conterebbero, tra le altre cose, il rispetto di coloro che hanno votato il partito “radicalnazionalista”, “razzista” e “antisemita”.
In questo modo, in maniera assai scorretta e poco attenta al “codice deontologico”, un intero elettorato viene implicitamente marchiato coi medesimi attributi infamanti. Senza che sia stato reso un minino servizio informativo sul perché un numero rilevante di elettori magiari ha premiato quel partito e non un altro.
Col che viene dimostrato ancora una volta che la “democrazia” delle elezioni e dei partiti altro non è se non un enorme equivoco, o imbroglio, nel quale solo alcuni (quelli “buoni” per definizione) meritano rispetto, mentre sul conto dei loro avversari (i “cattivi”, secondo un ragionamento degno d’un bambino di tre anni) può essere riversata ogni infamia e malignità.