L’edificante favola del “multiculturalismo” israeliano

di Enrico Galoppini

palestina-israeleMi riferiscono che una giovane italo-israeliana, intervistata dal Tg3, alla domanda perché per una ventunenne è così bello vivere in Israele ha risposto: “Perché Israele è un paese multiculturale”. L’Italia, con tutta evidenza, non lo sarebbe abbastanza, almeno secondo il moderno significato del termine.

Ora, non conosciamo questa ragazza e ci potremmo anche sbagliare, ma considerato che trattasi di una privilegiata (rispetto alla maggioranza degli italiani) con doppio passaporto, sempre utile per svignarsela alla chetichella nel suo amato “paese multiculturale” (tanto multiculturale che molti indigeni li ha rinchiusi nelle “riserve” della Cisgiordania e della Striscia di Gaza), ci sembra di poter affermare con una buona dose di certezza che il “multiculturalismo” israeliano si limita alle differenze tra ebrei: sefarditi, aschenaziti, falascià, yemeniti eccetera.

A noi starebbe pure bene così, se non fosse che in Palestina c’erano e ci sono ancora parecchi indigeni musulmani, cristiani eccetera, eredi delle popolazioni che, dai Filistei ed anche prima, hanno abitato quelle terre che solo una mitologia incessantemente sostenuta da religione (cristiana), cultura (storia e letteratura) e intrattenimento (film) ha fantasiosamente attribuito ai soli “ebrei”, e per giunta quelli calamitati lì da ogni parte del mondo (di qui il “multiculturalismo” israeliano), perché tra l’altro il progetto sionista non è farina del sacco degli ebrei locali.

A questo trattamento speciale degli autoctoni va a sommarsi poi un altro problema: la posizione che molti esponenti del mondo politico e culturale israeliano e filo-israeliano hanno nei confronti del “multiculturalismo” in Italia e in Europa.

La "fortezza Europa"? No, "l'unica democrazia del Medio Oriente"!

La “fortezza Europa”? No, “l’unica democrazia del Medio Oriente”!

Se lo Stato israeliano ha “il diritto” di erigere muri e difendersi dai nemici, veri o presunti, l’Italia e l’Europa non possono fiatare in materia di “accoglienza” che subito il rabbino di turno o il guitto italo-israeliano vanno in agitazione scomposta, con tivù e giornali a disposizione per fungere da cassa di risonanza delle loro “preoccupazioni” ed elevate grida sul “razzismo” ed i “rigurgiti di antisemitismo”. Col plauso dell’ambasciata americana, s’intende, ché senza l’influenza capillare dell’America e della Nato anche tutto questo dare corda a questi personaggi con tribuna assicurata sarebbe finito da un pezzo.

Poi c’è anche un altro aspetto, particolarmente odioso: il doppio passaporto. Personalmente lo trovo ingiusto e discriminatorio, e non solo per l’esistenza degli italo-israeliani cosiddetti. “Cosiddetti” perché a differenza di un italo-marocchino o un italo-peruviano, tanto per fare due esempi, Marocco e Perù hanno una storia millenaria che certo “Israele” non può vantare, pertanto si è assistito al fenomeno, tutto particolare, che automaticamente il neonato Stato israeliano ha riconosciuto la cittadinanza israeliana a tutti gli ebrei della “diaspora” (altra invenzione interessata). Il che – dimostrando che fondamentalmente quella israeliana è un’impresa a sfondo religioso – è come se, allo stesso modo, un Tibet indipendente desse cittadinanza a tutti i buddisti del mondo seguaci del Dalai Lama, o se l’Arabia Saudita, la cui monarchia si vanta di essere la protettrice dei due luoghi sacri dell’Islam, elargisse la cittadinanza a tutti i musulmani del mondo!

Si dirà che è una questione di numeri, e che la storia degli ebrei ha delle peculiarità (anche tragiche, ma non in esclusiva!) che hanno giustificato quest’inedito provvedimento; ma, come che sia, disporre di due o anche più passaporti non è serio nei confronti di chi ne ha solo uno.

"Multiculturalismo" israeliano

“Multiculturalismo” israeliano

Per di più, si dà il caso di giovani italo-israeliani che svolgono il servizio militare in Israele, e, considerata la situazione colà, potrebbero essersi resi colpevoli di reati perseguibili in base alle leggi italiane. Oppure solo i volontari nel Donbass, o peggio ancora quelli che accorrono al richiamo del cosiddetto “Stato Islamico”, sono passibili d’inchiesta da parte della magistratura italiana? La cosa è sinceramente ridicola ed insensata, perché siamo arrivati al punto che se una ragazza va a vivere a Raqqa per fare la massaia torna in Italia e subito viene torchiata, mentre se la ventunenne in questione angaria, pesta o addirittura accoppa dei palestinesi tutto passa in cavalleria.

E non mi si venga a rompere le scatole con “l’abominio” dell’Isis che non permette simili paragoni, primo perché il sottoscritto ha abbondantemente documentato, sotto ogni punto di vista, come quello sia abusivamente un “califfato” e perciò – quand’anche si trattasse di un’iniziativa “spontanea” – in contrasto con tutta la tradizione islamica e per giunta al servizio delle strategie geopolitiche atlantiste, come lo Stato d’Israele; secondo perché i crimini dell’Isis ed affini non mi sembrano più esecrabili di quelli perpetrati nella sua onorata carriera dalla dirigenza del cosiddetto “Stato Ebraico” (“cosiddetto” perché, come lo “Stato Islamico” farlocco, si autorappresenta come l’unica vera patria di tutti coloro che confessano la religione del Giudaismo). E se qualcuno ancora si ostina a non crederci, non ha che da aprire un motore di ricerca e svolgere una ricerca per immagini delle vittime palestinesi, di ogni sesso ed età: il peggior film dell’orrore fa la figura della Bella addormentata nel bosco!

dialetti_italiaFacile, in questa maniera, cantarsi la filastrocca del “multiculturalismo”. Anche l’Italia, se è per questo, era già ‘multiculturale’ prima del “multiculturalismo” moralmente imposto: siciliani, veneti, friulani, lucani, sardi eccetera, per non contare i tedescofoni, i francofoni, i ladini, gli occitani, i grecanici, gli “albanesi”, i “croati” del Molise e tutte le altre minoranze etnico-linguistiche del Bel Paese. L’Europa, poi, col suo spazio relativamente esiguo e le sue “mille patrie”, è il paradigma stesso del “multiculturalismo” ante litteram.

Macché, loro, anche se maltrattano per statuto tutti i non “israeliani”, sono la vetrina del novello “multiculturalismo” riveduto e corretto; noi, già “multiculturali” prima di “Israele”, siamo additati come “etnocentrici” e dipinti come un abisso d’intolleranza… Col colmo dei colmi che dobbiamo pure integrare in questa nuova Europa “multiculturale” quegli stessi individui – palestinesi e genericamente “arabi” – esclusi dal “multiculturalismo” israeliano!

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