La mania per i record è il riflesso di un infantilismo regressivo

 di Enrico Galoppini

guinness-world-record-logoUno degli indicatori utili per valutare il livello infimo e preoccupante di certa mentalità anglo-americana lo si può individuare nella mania per i record.

Questa vera e propria ossessione, che traduce in termini puramente quantitativi l’umana aspirazione a primeggiare e farsi valere, è plasticamente rappresentata – per di più in qualsiasi cosa, anche le più inutile e demenziale – dal famoso Guinnes dei primati.

Alcuni di questi “primati” (e non ci riferiamo alle scimmie, anche se verrebbe la tentazione di farlo) sono ottenuti in maniera del tutto involontaria: l’uomo più alto del mondo, quello più piccolo, quello più longevo ecc.

In altri casi, che sono la maggioranza, il ‘primate’ di turno ci si mette d’impegno per passare alla storia. C’è chi non si taglia le unghie da vent’anni, quello che ha il 99,99% del corpo tatuato, quell’altro che espone più piercing eccetera, in una fiera dell’orrido e della follia tutt’e due assieme.

Poi ci sono quei record (registrati da un’apposita “commissione”) che somigliano alle prestazioni da circo e che negli ultimi anni hanno fatto la loro comparsa in quei programmi-spazzatura ideati in America e replicati in ogni dove: chi canta per più giorni di fila, chi si mette più vestiti uno sopra l’altro, chi tira coi denti il camion più pesante e via delirando.

Ipizza_recordnfine, ci sono i record di gruppo, quelli cioè che coinvolgono squadre anche parecchio numerose, che a volte si cimentano con una “impresa” dai caratteri campanilistici. È il caso della pizza più lunga del mondo, che non poteva non essere sfornata all’ombra del Vesuvio. Una pizza lunga quasi due chilometri, che almeno, a differenza di quello che non si lava da più anni o quell’altro che divora più hot dog in un’ora, ha avuto almeno un risvolto simpatico, perché di solito, alla fine di queste kermesse, dopo che la “commissione” ha decretato il record, tutti i passanti possono godere di una sana merenda.

C’è da chiedersi tuttavia se tutte queste energie (soldi compresi) che sono servite per mettere insieme un interminabile nastro di “margherita” non potevano essere impiegate meglio. Ma non è nemmeno questo il punto, perché chi più chi meno oggigiorno perde tempo in cose inutili. La cosa più preoccupante di questi “recordman” è il loro infantilismo, ovvero la sensazione di felicità che provano, e forse la fierezza, per aver realizzato una “impresa” completamente insensata.

Dunque, non è tanto la vagonata di pomodoro, di basilico e di farina in un certo senso sprecate che deve far pensare, quanto il fatto che, per restare nella metafora pizzaiola, queste manifestazioni di una superficialità disarmante non sono ‘farina’ del nostro sacco, bensì una delle incalcolabili scemenze d’importazione dall’Angloamerica e dalla sua deprimente mentalità.

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There is 1 comment for this article
  1. Bennnato Bennati at 6:45 pm

    Tutto ciò rientra in quelle che le didascalie a corredo delle tavole di Achille Beltrame sulla ” Domenica del Corriere ” d’antan ( quando l’Italia non aveva ancora perso la guerra e non era ancora materialmente, moralmente e psicologicamente, ridotta ad una colonia d’oltre oceano ) definivano, ironicamente, ” americanate”.

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