Donald Trump alla Casa Bianca: «Domani il sole sorgerà di nuovo», Obama dixit

di Luca Bistolfi

trumpInvero non ci sarebbe molto da commentare quest’ultima presidenziale statunitense. Insomma, un fuori categoria schianta al muro la moglie di un ex presidente (quello là, vabbè), Segretario di Stato, potentissima donna della politica Usa a dispetto di qualsiasi previsione, anche della più ottimistica. Basterebbe il dato nudo e crudo per metter a tacere chiunque, in un senso e nell’altro, oppositori e sostenitori di Donald Trump. Non fosse però che qualcosa stona e urta, a cominciare proprio dalle previsioni. Come è noto in Italia la politica estera non è seguita, se non con distrazione e solo quando, ma assai superficialmente, scoppia un conflitto da qualche parte accanto a noi. Pertanto la percezione su quello che sarebbe stato il trionfo del tycoon potrebbe esser stata falsata rispetto a quella degli stessi cittadini Usa.

Oggi tutti i giornali commentano che la vittoria di Trump ha reso inutili, in maniera pressoché definitiva, i sondaggi e ha dimostrato la fallacia di ogni indagine in tal senso. Una storia però già sentita, e che quindi lascia il tempo che trova: nessuno. Il punto invece è un altro. Non è infatti che qualcuno vuol far passare il pilotaggio del voto per previsioni, e far trascorrere il primo nel secondo? Non mi riferisco ai sondaggi falsi o alle false notizie su presunte o reali indagini tra l’elettorato. Parlo invece dei desideri e della volontà di chi da noi ha sostenuto, dall’inizio della campagna elettorale, Hillary Clinton e ha sperato in tutti i modi, adoperando qualsiasi mezzo a propria disposizione per scongiurarne la vittoria, nella sconfitta del magnate.

sondaggi-usa-north-carolina-21-settembreÈ fin troppo chiaro, e lo è stato sino agli ultimi momenti prima che i padroni delle ferriere e i loro tirapiedi fossero tramortiti dai risultati (al plurale: Presidente più Congresso e Senato), che l’indirizzo generale dei mezzi di comunicazione italiani e degli intellettuali fosse netto e supino a favore della Clinton. Se i sondaggi sono pilotati o anche solo tecnicamente incapaci di fare previsioni decenti e un minimo serie (a poche ore dal voto si dava la democratica in vantaggio tra i due e i quattro punti), è altrettanto vero che in Italia sarebbe stato quasi impossibile percepire la realtà della scelta dei cittadini statunitensi, che era ben diversa. Cosa ampiamente dimostrata dall’esito finale. Non si può dar sempre colpa agli algoritmi o ai modelli matematici o alla scienza statistica.

D’altra parte però questa sovrapposizione è piuttosto comprensibile. Una volta stabilito che Trump sarebbe stato il diretto sfidante del… “marito” di Bill Clinton, sono scattate quelle due emozioni che adesso tutti attribuiscono agli elettori di Trump: paura e rabbia. Non c’è commentatore che non riconduca la vittoria del repubblicano ad esse: pare però che ad esser rabbiosi e a farsela sotto siano invece, qui in Italia come in certi circoli internazionali, coloro i quali hanno, in un modo o nell’altro, volenterosamente aiutato la campagna elettorale democratica. Rabbia perché le speranze loro e dei loro padroni sono state disilluse, paura perché (sono farabutti, mica scemi) adesso la musica forse cambierà.

Persino l'Ansa è costretta a riconoscere che in Siria la musica potrebbe cambiare...

Persino l’Ansa è costretta a riconoscere che in Siria la musica potrebbe cambiare…

Se Trump si muoverà in coerenza con la linea tracciata in campagna elettorale, avremo degli Stati Uniti assai meno interventisti e del tutto collaborativi con quei Paesi, Russia in testa, che solo qualcuno dominato, appunto, da paura e rabbia, può voler contrastare con mezzi più o meno leciti e più o meno ufficiali. Ad esempio in uno dei confronti televisivi tra la Clinton e Trump, quest’ultimo, accusato di flirtare con Mosca per boicottare l’avversaria, oltre ad aver recisamente respinto qualsiasi responsabilità, ha anche aggiunto che «non sarebbe male se andassimo d’accordo con la Russia». Una dichiarazione passata sotto silenzio persino da quei beoti di giornalisti che hanno sempre mostrato simpatia per il tycoon. Ma che, se si è un po’ svegli e seri, ribalta almeno a parole tutta la politica sia degli States, sia del suo avamposto a oriente, vale a dire le democrazie europee. Non credo che qualcuno voglia la guerra in generale e meno ancora la guerra con la Russia, ma questa sarebbe stata pressoché inevitabile con una vittoria della Clinton; e, se non la guerra, avremmo quanto meno visto inasprirsi i rapporti tra Washington e Mosca, in continuità maggiorata con l’atteggiamento di Obama. Pertanto chi ha sostenuto ieri la Clinton e oggi seguita ad avversare Trump o è un pazzo furioso oppure è schizofrenico. E ciò valga per l’idea tutta che ha Trump circa i rapporti che gli Usa debbono mantenere con gli altri Paesi, soprattutto afferenti a quelle zone surriscaldate dalla politica criminale e imperialista statunitense.

Così titola "il manifesto" del 12 nov, 2016

Così titola “il manifesto” del 12 nov, 2016

Ma nell’atteggiamento dei clintoniani «de noantri» si intravvede senza difficoltà una palese malafede o una sciaguratezza ai limiti della delinquenza. È noto infatti – per chi vada un po’ oltre i telegiornali in prima serata, s’intende – che la Clinton ha goduto dell’appoggio di quei poteri forti che non solo hanno fatto e intendono seguitare a far male all’Europa, ma agli stessi cittadini statunitensi.

La dottrina Bush prima e Obama poi hanno portato solo dei danni al loro Paese, rendendolo solo più povero, più pericoloso per sé e per gli altri, più instabile e di fatto meno autorevole e più autoritario. (Per inciso: nessun solone ha avanzato il dubbio che la vittoria di Trump sia stata dovuta anche alla delusione procurata dagli otto anni del “messia negro”). Con Trump ci potrebbe essere un’inversione di tendenza radicale, perché il magnate, sebbene non l’abbia mai detto troppo a chiare lettere, conosce bene i guasti della scelleratezza dei suoi predecessori. E infatti il suo programma di politica estera non fa menzione di guerre preventive, di lotta al terrorismo extra moenia con movimentazione di missili e aerei, di nemici da abbattere o libertà da imporre. Egli, pur cosciente dell’importanza e dell’inevitabilità dell’uso della violenza in taluni frangenti (al contrario dei paci-finti, tutti indignabili non appena si parla per esempio di difesa personale o di pena di morte, ma che hanno orgasmi multipli non appena cade qualche bombetta sulla testa di qualche presunto nemico pubblico)[1], sa bene che non è questa la via per proteggere gli Usa da una qualsivoglia minaccia. Inoltre non ha mire egemoniche. Trump non vuole mantenere gli Stati Uniti al comando del mondo soltanto mostrando i muscoli e scatenando una potenza di fuoco a dritta e a manca, come invece minacciava la Clinton, la quale già anni fa, prima di diventare la candidata ufficiale dei Democratici, fremeva per muover guerra all’Iran. Sebbene Trump non sia certo un pacifista (nonostante tutte le caricature e le deformazioni artatamente acconciate di certune sue dichiarazioni), è certamente un politico che intende anzitutto ricompattare un Paese frammentato e che negli anni si è procurato sin troppi nemici.

protestevstrumpLa facile previsione è che se riuscirà a mettere in atto una pacificazione politica, militare e diplomatica con altri Paesi, troverà maggiori difficoltà nel portare a miti consigli (leggi: a difendersi e quindi a difendere gli Usa e il mondo) i nemici interni. I quali, dopo questa bruciante sconfitta, torneranno presto alla carica ancor più rabbiosi e impauriti di prima. A meno che il neopresidente non inizi sin da subito un’operazione di smantellamento e sostituzione nell’apparato statale[2] e di isolamento di quelle forze che hanno portato il mondo sulla soglia d’un immane conflitto bellico planetario e di una crisi economica esiziale e lentamente corrosiva. Se però dovesse tentare una mediazione con chi ha sino ad oggi spinto in tal direzione, o dovrà essere più astuto degli astuti, e quindi correre il rischio di giocare anche un po’ sporco, oppure gli altri prenderanno inevitabilmente il sopravvento. E allora dovremo tenerci molto stretti alla maniglia o iniziare a correre: perché un animale cattivo e ferito a sangue non ha niente da perdere. E spiccherà il balzo alle nostre gole.

Con Trump avremo degli States che con termine denigratorio qualcuno chiama «isolazionisti», ma che invece saranno semplicemente più onestamente patriottici, non chiusi in se stessi (chi lo pensa davvero è un cretino), bensì coscienti, come lo è il nuovo Presidente, che gli Usa sono un grande Paese che si è fatto da sé, che può e deve essere la guida politica e morale del mondo occidentale (e solo di questo), ma che tale primato ha già perso da gran tempo, almeno all’indomani dell’11 Settembre. Oggi come oggi essi hanno del tutto perduto la loro credibilità non solo davanti ad alcuni Paesi africani, asiatici e sudamericani, ma anche euro-orientali (la sunnominata Russia in testa); e lo hanno perduto anche agli occhi di milioni e milioni di statunitensi, che hanno visto in Donald Trump l’unica possibilità di uscire da una empasse stratificata e diffusa, in cui sono piombati nel volger di quindici anni scarsi.

Alla "prima candidata donna alla Casa Bianca" non resta che passeggiare nel bosco. E forse rileggersi un po' di e-mail...

Alla “prima candidata donna alla Casa Bianca” non resta che passeggiare nel bosco. E forse rileggersi un po’ di e-mail…

Non dimentichiamo poi le differenze. Hillary Clinton è una politica di professione nel senso peggiore, una che ha fatto della politica la sua vita privata, un’affarista che per il suo Paese non ha fatto niente di concretamente utile; è una maneggiona incapace e arrogante, presuntuosa sino ai limiti di “sbianchettare” trentamila messaggi di posta elettronica, fregandosene delle conseguenze perché presuntuosamente riteneva che non ve ne sarebbero mai state, troppo potente essendo lei e la sua famiglia.

Donald Trump invece è un autentico americano, uno che si è arricchito grazie al modello americano, all’idea di States originaria. È uno che crede nel suo Paese perché se si guarda attorno vede che le promesse e le premesse che questo gli dava sono state mantenute. È uno che crede nel suo Paese e gli è devoto per profondo convincimento e per gratitudine e non perché è un nano il quale, per ambizione ipertrofica e egomaniaca, deve mettersi sulle spalle del gigante per sentirsi qualcuno. Trump sa che senza tutte le forze sane del Paese egli non sarebbe diventato quel riccastro che è. E visto che non vuol perdere né la propria ricchezza, né la faccia che ora si è guadagnata combattendo una campagna elettorale e paese_pericolosovincendola contro tutto e tutti, dovrà fare del proprio meglio, rispettando quelle idee che lo animano e che lo hanno portato alla Casa Bianca. Non fosse che per questo egli dovrà comportarsi bene, come ha promesso, trasformando il Paese più odiato del mondo in quello ancora sempre antipatico, certo, ma almeno dignitoso e corretto. (Altro inciso: potrebbe rimetterci in prima persona anche se dovesse riuscire nell’impresa: qualche candidato manciuriano si trova sempre, e che Dio ci scampi da questa possibilità).

Detto tutto ciò, non facciamoci ovviamente soverchie illusioni. Intanto contentiamoci di aver scampato il pericolo clintoniano. E pensiamo con fiducia alle parole niente meno che di Barack Obama: «Domani il sole sorgerà di nuovo».

NOTE

[1] Come dice Charles Chaplin in Monsieur Verdoux: se ne ammazzi dieci per sopravvivere è omicidio, se invece ne stermini milioni con una guerra, è statistica.

[2] Invero negli Usa è prassi che il nuovo presidente, chiunque egli sia, inizi subito a rimuovere i burocrati dell’amministrazione precedente e a mettere i propri uomini nei giusti posti di potere. Barack Obama, nei due mesi iniziali del primo mandato, cambiò ben ottomila tra funzionari e dirigenti di Stato. È solo in Italia che la rimozione di un giudice o di un militare suscita indignazione e fa gridare alla deriva fascista.

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