Immigrazione: perché non facciamo decidere agli italiani?
di Michele Rallo
Primo scenario, comunitario. Invece di difendere le proprie frontiere, l’Europa buonista ha deciso di fare come se nulla fosse, con il solo correttivo di distribuire i migranti nei vari paesi dell’Unione, secondo “quote” prestabilite. Ma qui è arrivata la prima grana: alcune nazioni hanno dichiarato di non voler accogliere alcuna quota. Motivo (ufficioso): in quei paesi ci saranno elezioni a breve scadenza, e i rispettivi partiti di governo (di qualunque colore) non vogliono perdere voti.
Secondo scenario, tutto italiano. La Sicilia non è più in grado di accogliere un solo “profugo” (vero o falso), e il governo centrale ha chiesto alle altre regioni di ospitare un certo numero di migranti. Seconda grana: alcune regioni hanno detto no. Quali regioni? Guarda caso, le regioni dove domenica prossima si andrà a votare. Motivo (sempre ufficioso): nessuno vuole perdere voti.
Terzo scenario, regionale. Anche alcuni Comuni siciliani hanno fatto sapere di non potere accogliere nessuno. Indovinate quali? I Comuni che andranno al voto domenica. Sui motivi, inutile dilungarsi.
Tutto ciò premesso, pongo una domanda: i siciliani, gli italiani, gli europei sono favorevoli o contrari alla politica cosiddetta “di accoglienza”? È chiaro che sono contrari. Ed è chiaro altresì che le classi dirigenti, ai vari livelli, sono ben coscienti di questa contrarietà. Senonché, quelle classi dirigenti continuano imperterrite a seguire, in materia di immigrazione, una politica che sanno essere contraria al volere del popolo. Domanda: si tratta di classi dirigenti (di cosiddetta destra o cosiddetta sinistra, non fa differenza) che possano ancòra essere considerate democratiche? La risposta è NO.
Naturalmente, le sullodate classi dirigenti non lo ammettono (e non lo ammetteranno mai). Continuano a sostenere che la stragrande maggioranza della popolazione è favorevole ad una politica di accoglienza, solidarietà, integrazione e baggianate varie, e che i contrari sono solamente una minoranza, sprezzantemente definita populista. Certo – però – che, quando si avvicinano le elezioni, i partiti responsabili e moderati, quelli al passo con i tempi e fedeli ai “valori dell’Europa” qualche dubbio devono pur averlo, almeno a giudicare dai tre scenari di cui parlavo in apertura.
In verità, un sistema per avere la certificazione notarile di quel che pensa effettivamente la popolazione ci sarebbe: il referendum, strumento-principe della democrazia diretta, con il quale gli elettori vengono chiamati a pronunciarsi su materie di rilevante importanza. In Italia lo abbiamo già fatto – tra l’altro – per il divorzio, in Irlanda lo hanno appena fatto per le nozze gay. Non capisco perché non lo si possa fare anche per l’immigrazione. Perché – risponderebbero prontamente i soliti avvocati d’ufficio – “la Costituzione più bella del mondo” è così democratica da ammettere soltanto i referendum confermativi e abrogativi, cioè quelli che servono ad avallare o a cassare un provvedimento di legge già votato dal Parlamento. Sono invece escluse tutte le tipologie di referendum che configurerebbero una democrazia attiva, espressione di un’autentica volontà popolare che possa fornire input legislativi autonomi rispetto a quelli voluti dalla classe politica; non sono quindi ammessi i referendum propositivi e consultivi, con cui i cittadini elettori potrebbero esprimersi autonomamente (anche in maniera non vincolante) su argomenti di particolare rilevanza.
Un perfetto esempio di referendum propositivo è quello svoltosi in Svizzera, nel 2014, giustappunto in materia di immigrazione. In quell’occasione – si ricorderà – il popolo svizzero ebbe a pronunziarsi contro l’immigrazione selvaggia. Così come in precedenza, con altro referendum, si era pronunziato contro l’adesione mascherata all’Unione Europea.
In Italia, invece, non abbiamo questa libertà. Per avere un pronunciamento democratico pro o contro la permanenza del nostro paese nella zona euro, il buon Grillo è dovuto ricorrere ad una raccolta di firme per presentare una proposta di legge costituzionale d’iniziativa popolare attraverso la quale venga indetto un referendum consultivo su tale argomento.
Probabilmente, per avere il bene di pronunciarsi pro o contro l’invasione migratoria si dovrà attendere un’iniziativa analoga. Viceversa, il governo dei boy-scout, che avrebbe il dovere morale di interpellare i cittadini proprio sui temi che sono più importanti per l’avvenire della nazione (immigrazione e Unione Europea), si guarderà bene dal farlo. Lor signori sanno perfettamente che, se dovesse avere la possibilità di esprimersi liberamente, il popolo italiano li seppellirebbe sotto una valanga di NO.
In compenso, il Vispo Tereso progetta un referendum confermativo sulla sue illuminate “riforme”. Un modo come un altro per distogliere l’attenzione del popolo dalle cose importanti. Cose che devono essere lasciate alle decisioni dall’alto, senza alcun vaglio democratico, senza alcuna intromissione “dal basso”. Semmai, i cittadini potranno pronunciarsi sulla riforma cafona del Senato. D’alto canto, è risaputo che gli italiani mangiano pane e riforme.
Fonte: “Social”, 29 mag. 2015 (per gentile concessione dell’Autore)
io penso che dovremmo essere noi cittadini italiani a decidere se continuare a fare entrare gli immigrati e non più chi ci comanda.
Perchè non allestiamo nelle piazze, un sabato ed una domenica dei gazebo dove possiamo firmare se continuare a far entrare gli immigrati oppure no; portarlo poi alla visione di chi ci governa?
Non possono (chi ci governa) continuare a non ascoltarci, dobbiamo far sentire la nostra voce, la voce dei cittadini.
Il governo ci tappa la bocca, governo dittatoriale che si maschera dietro una finta democrazia, dove il popolo come nei paesi sudamericani ed in altri non ha voce in capitolo.
A loro servono le elezioni per governarci e nulla più.
Facciamoci sentire, allestiamo dei gazebo e vediamo quello che accade.
Devono ascoltarci.
Penso sia l’unica cosa da fare prima che scoppi una bomba italiana.
Roberto