Immigrazione: Israele dà l’esempio

di Enrico Galoppini

flotilla_marianne_goteborgAnche se sinceramente questa storia delle romantiche “flotille” ha un po’ stancato, gli “attivisti” filo-palestinesi provano ancora a forzare il blocco imposto dagli israeliani (e dagli egiziani, ad onor del vero) sulla Striscia di Gaza.

È così accaduto che l’ultimo di questi convogli pacifici diretti sulle coste di un fazzoletto di terra sovrappopolato e ridotto da lunghi e penosi anni ad un campo di concentramento è stato bloccato dalla marina israeliana in acque internazionali e condotto nel porto di Ashdod per “accertamenti”.

Quale sarà l’esito di questi controlli è chiaro: tutti gli attivisti verranno espulsi. Senza tanti complimenti. E con sequestri di materiale (comprese le barche), minacce ed umiliazioni personali eccetera.

Con la prima Freedom Flotilla ci andarono giù con la mano pesante: le forze speciali dello “Stato ebraico” assaltarono la Mavi Marmara e uccisero alcuni membri dell’equipaggio turco. Per “legittima difesa”, assicurarono alla compiacente “stampa internazionale”.

Intendiamoci, “Israele” ha tutto il diritto di comportarsi così. Con la forza e con l’appoggio dell’Occidente fa quello che vuole a casa sua (che comprende di fatto anche Gaza, checché ne dicano i fautori della favola dei “due Stati per due popoli”).

Nessuno banfa. Tutti hanno fatto propria la narrativa ufficiale che si presenta un “popolo perseguitato”, da sempre. “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”. Poi quelli là son pure arabi e, in maggioranza, musulmani. Cosa vuoi che c’importi?

Ma appena arrivano a frotte coi “barconi” sulle nostre coste, gli stessi che si giravano dall’altra parte o al massimo elargivano con parsimonia benevolenti critiche al “sacro Israele” diventano dei campioni di sensibilità e riforniscono i “profughi” di ogni bene.

C’è qualcosa che non torna.

Là, persone fornite di documenti, delle quali si conoscono le pacifiche intenzioni e che tentano di entrare per un periodo limitato in un territorio occupato e martoriato a suon di bombe vengono maltrattate e rispedite a casa.

Qua il dovere di “accogliere” chiunque, anche se non si sa chi è e quali intenzioni ha.

maviLà il prelievo della “flotilla” in acque internazionali per “sistemare” subito i partecipanti, per aver solo tentato di entrare “illegalmente”. E le “unità di crisi” dei rispettivi paesi d’appartenenza che devono subito attivarsi per riportare a casa gli “indesiderati”.

Qua la stessa solerzia nel recuperare imbarcazioni che ancora non si vedono all’orizzonte, per poi “accogliere” tutti quanti e vedersela da soli per gestire l’emergenza.

Ma non è finita qui.

Mentre i confini israeliani sono sigillati da cielo, terra e mare, qua in Italia calano da tutto il mondo “attivisti” la cui unica intenzione, in occasione di importanti eventi, è quella di devastare interi quartieri delle nostre città, come accadde a Genova e come si è verificato di recente a Milano prima dell’Expo.

Da una parte abbiamo così un soggetto, “Israele”, il quale – ci piaccia o meno – fa rispettare la propria volontà in materia di immigrazione, per giunta privilegiando – com’è risaputo – l’afflusso di “ebrei da tutto il mondo”.

Dall’altra una nazione, l’Italia, completamente imbelle, alla mercé di ogni potere sovranazionale e del tutto incapace a difendere i propri confini, oltre che a garantire la più elementare sicurezza ai propri cittadini.

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