Francia: quell’alleanza fra industriali e socialisti per dare al capitalismo il suo “esercito proletario di riserva”

di Emanuele Mastrangelo

georges_marchais_PCF«L’immigrazione pone seri problemi oggi. Dobbiamo affrontarli e rapidamente prendere le misure necessarie. È stato raggiunto il limite. Questo è il motivo per cui noi diciamo: dobbiamo fermare l’immigrazione, altrimenti getteremo altri lavoratori nella disoccupazione. Preciso: dobbiamo fermare l’immigrazione ufficiale e clandestina. [Gli immigrati] vengono stipati in ghetti in cui convivono lavoratori e famiglie dalle tradizioni, lingue e modi di vivere differenti. Questo crea tensioni e talvolta scontri tra immigrati provenienti dai vari paesi. Questo rende difficili i loro rapporti con i francesi. [..] I carichi di assistenza sociale per le famiglie immigrate immerse nella miseria diventano insopportabili per i bilanci comunali».

A pronunciare queste parole di fuoco non è un leghista all’ultimo raduno di Pontida. Fu Georges Marchais, segretario dal 1972 al 1994 del Partito Comunista Francese in un discorso del 27 marzo 1980.

La Francia aveva iniziato a importare manodopera a basso costo dalle ex colonie a partire dagli anni Sessanta, quando la piena occupazione e la solida organizzazione sindacale avevano dato ai lavoratori francesi (e ai loro compagni immigrati da altri paesi europei fra cui moltissimi italiani) un solido potere contrattuale nei confronti del padronato. E il padronato reagì: mentre i lavoratori che in precedenza (e in numero molto minore) arrivavano da altri paesi europei come l’Italia, la Spagna e il Portogallo, la Polonia e la Cecoslovacchia erano spesso già sindacalizzati e avevano una forte coscienza di classe, sarebbe stata l’importazione di masse umane dalle ex colonie francesi a consentire la creazione quell’«esercito proletario di riserva» in grado di mettere in concorrenza i lavoratori fra loro e obbligarli ad accettare salari più bassi e a rinunciare a molti diritti sociali.

colonie_africaNegli anni Sessanta datano i primi trattati bilaterali fra Parigi e le ex colonie maghrebine per favorire l’immigrazione di lavoratori, mentre ci si applica per aprire canali analoghi anche per i lavoratori dell’Africa nera. Nel 1968 nasce una Direzione per la popolazione e le migrazioni in seno al ministero del Lavoro. Non a caso proprio in quegli anni si diffonde l’idea che l’Europa avesse degli obblighi morali nei confronti delle ex colonie, e che l’emigrazione da esse fosse una conseguenza diretta del colonialismo: un falso storico, poiché fra la decolonizzazione e le prime ondate migratorie dall’Africa sarebbe passata un’intera generazione. L’unico rapporto diretto è quello linguistico: gli ex sudditi coloniali parlavano francese e sarebbero stati impiegati più rapidamente nel ciclo produttivo come concorrenti sleali nei confronti dei lavoratori autoctoni.

Fino al 1972 comunque la possibilità di avere un permesso di soggiorno in Francia era subordinata all’impiego. I lavoratori immigrati che perdevano il posto dovevano essere rimpatriati. Fra 1972 e 1973 manifestazioni e scioperi degli immigrati spingono tuttavia il governo a concedere sanatorie per i clandestini. Negli anni Settanta la politica cerca di arrestare il flusso di immigrati, perfino pagando per il loro ritorno in Africa, invano.

sans_papiersNel 1980 iniziano le manifestazioni eclatanti (spesso promosse da preti protestanti e cattolici) a favore dei clandestini, i «sans papier», mentre alcune sigle sindacali non comuniste e la sinistra filo-occidentale, il Partito Socialista, si schierano contro i rimpatri. Con l’elezione nel 1981 di François Mitterrand alla presidenza della Repubblica le politiche francesi si allineano su posizioni immigrazioniste: viene vietata l’espulsione degli immigrati di seconda generazione e si iniziano a concedere i diritti politici ai nuovi arrivati. Da quel momento la Francia sarà l’avanguardia europea per le politiche filo-immigrazioniste.

Fonte: “Storia in Rete”, n. 132-134, ott.-dic.2016, pp. 32-33.

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