Carlo Scorza, un duro fuori tempo massimo

di Giovanni Di Martino

scorzaAlla morte di Carlo Scorza, ormai ultranovantenne alla fine del 1988, La Stampa di Torino ricorda curiosamente come l’ultimo segretario del Partito Fascista sia anche stato l’ultimo gerarca ad andarsene. Non l’ultimo gerarca fascista in senso assoluto, visto che Alessandro Lessona morirà tre anni più tardi, ma l’ultimo di quella sciagurata ultima riunione del 25 luglio del 1943. Quella in cui, per dirla con le parole proprio di Scorza, una dittatura viene deposta nel modo più democratico possibile. Ed è proprio Scorza in quanto segretario del partito, ad interrogare ad uno ad uno i membri del Gran Consiglio per sapere se favorevoli o contrari all’ordine del giorno Grandi.

Nella stessa occasione La Repubblica dà la notizia della morte di Scorza con un articolo pieno di livore, nel quale si rappresenta l’ultimo segretario come un criminale violento oltre ogni limite. Sembra quasi che l’allora direttore e fondatore Eugenio Scalfari non abbia dimenticato, a quarantacinque anni di distanza, le botte prese da Scorza quarantacinquenne.

Carlo Scorza è un calabrese di Paola, trasferito in tenera età in Garfagnana. Malgrado abbia “sciacquato i panni in Serchio“, il suo italiano continua a tradire qualche aspirata di troppo. È ufficiale in quattro guerre (Prima e Seconda guerra mondiale, Etiopia e Spagna), decorato con sette medaglie tra bronzo e argento e quattro croci di guerra. Aderisce al Fascismo tra il 1919 e il 1920, si occupa di giornalismo politico, ma soprattutto dirige ed organizza le squadre d’azione della propria zona. Più tardi viene spostato a Parma e poi a Forlì, sempre come referente o ispettore del partito.

Nel 1931, quando sembra destinato ad una velocissima ascesa, la sua carriera politica subisce un arresto per due ragioni ben precise. Il PNF burocratico ed organizzato dell’era Starace decide di fare a meno di un ex squadrista che non si è per nulla tranquillizzato. Ma soprattutto Scorza se la va a cercare, non accettando il Concordato con la chiesa cattolica e continuando imperterrito ad attaccare l’Azione Cattolica. E questo non per reminiscenza del Fascismo mangiapreti delle origini, ma solo perché nella teologia che Scorza immagina per l’uomo nuovo fascista il Duce non deve dividere la propria divinità con nessuno, nemmeno con Dio. Se il suo amico fraterno Farinacci teorizza la rivoluzione fascista permanente, Scorza teorizza una rivoluzione fascista assoluta. Un po’ troppo per non essere messo da parte dal capo, al quale Scorza resta comunque fedele e devoto, venendo ricambiato con un accantonamento solo parziale (mantenendo quindi la poltrona di deputato).

rastrelli_scorzaLa biografia di Scorza, uscita finalmente nel 2010 ad opera di Carlo Rastelli, ricostruisce con grande accuratezza tutto il suo percorso di squadrista mai del tutto sopito, seppure fedelissimo al capo, facendo la dovuta chiarezza su alcuni episodi importanti, come la sua responsabilità nell’aggressione e nella morte di Amendola, e la sua buona fede nei fatti di Valdottavo. Ciò su cui però Rastelli è molto più cauto è l’atteggiamento di Scorza al 25 luglio del 1943: non viene avvalorata la vulgata (sostenuta da La Repubblica) che vede Scorza vendersi ai carabinieri per mettersi in salvo, ma se ne deduce comunque un atteggiamento di indecisione combattuta tra la consapevolezza che tutto è perduto e l’inossidabile lealtà verso Mussolini.

Quando Mussolini accantona Scorza dal Direttorio del PNF non lo destina al confino. Sembra capire che potrebbe un domani tornargli utile, anche se non sa ancora come e perché. Dopo un decennio esatto di illustre anonimato, il gerarca Scorza torna agli onori della cronaca. Siamo alla fine del 1942, sul fronte dell’est inizia a tirare una brutta aria, mai brutta quanto quella che tira in nord Africa, malgrado l’occupazione della Tunisia. Ma l’aria peggiore di tutte è quella del fronte interno, con il consenso al regime fiaccato dai bombardamenti sulle città e dalle code davanti ai negozi. Il partito come collante non sta funzionando e l’esperimento di farlo guidare ai giovani triestini Vidussoni, Farnese e D’Este non dà ancora frutti, e comunque non c’è più tempo per attenderli. Mussolini vuole sostituire Vidussoni con Carlo Ravasio, che però, in preda ad un esaurimento nervoso che un anno di vice-segreteria impotente gli ha causato, rifiuta. Allora il duce richiama Scorza, per il momento alla vice segreteria con delega alla stampa, proprio al posto di Ravasio. Mussolini non è nuovo a ritorni di fiamma e l’arrivo di Scorza è un segnale inequivocabile di non voler lasciare avanzare indisturbato l’infradiciamento del partito. Anche i ministri di peso (Grandi, Bottai, Ciano) lo notano.

Come prima cosa, Scorza convoca i giovani romani del GUF, che dal loro giornaletto stanno lanciando accuse a destra e a manca sulle irregolarità e sulle mazzette che stanno dietro la costruzione dell’EUR. Il più agguerrito autore di questi corsivi anonimi è il camerata Eugenio Scalfari, che si presenta in orbace e sbattendo i tacchi davanti a Scorza. Il nuovo vicesegretario gli chiede i nomi dei corrotti per fare piazza pulita, ma il giovane gufino risponde di non sapere nomi e di avere scritto per sentito dire, voci di corridoio, di non avere prove, di non essere al fronte per motivi di studio. Seguono le botte, che non impediranno al giovane gufino di continuare nel secolo a venire ad agitare la questione morale a caso. Ed anzi gli forniranno un bel lasciapassare per rifarsi una verginità politica nel dopoguerra.

Dopo le botte a Scalfari arrivano i rovesci militari. A gennaio cadono Tripoli e Stalingrado, a maggio Tunisi. Mussolini cambia tutto e tutti: dopo l’infelice cambio dei ministri, l’infelice cambio del capo dell’esercito e l’infelicissimo cambio del capo della polizia, cambia felicemente il segretario del partito. È il 16 aprile: troppo poco e troppo tardi.

scorza_proclamaScorza si mette a lavoro, e il PNF ritrova un minimo di vitalità. Ritornano programmi ed ordini del giorno, anche se per lo più sono pieni di minacce e punizioni, ma il personaggio è quello. Le ritirate militari però non si fermano e contro quelle non c’è ministro che tenga. Si arriva al 25 luglio, e Scorza fa parte dei gerarchi che vanno dal duce per chiedere la convocazione del Gran Consiglio. Ha in mente di fare ricevere tutti i membri da Pio XII per arrivare ad una negoziazione ragionata del da farsi, ma nessuno lo ascolta, anzi in piena riunione l’ambasciatore presso la Santa Sede Ciano sottolinea che il Vaticano, dati i tempi, preferirebbe non compromettersi con il regime…

Durante la seduta, che presiede in quanto segretario del partito, Scorza si scaglia contro i congiurati confermando la propria lealtà a Mussolini. Sembra un voltafaccia, visto che Scorza è a conoscenza delle intenzioni di Grandi e lo ha aiutato ad ottenere la convocazione. E qui la biografia di Rastelli indica un travaglio interiore di chi sa che tutto deve finire ma è frenato dall’estrema lealtà al capo, che per lui rimane oggetto di culto. Nel dopoguerra Dino Grandi rilascerà interviste nelle quali attaccherà Scorza, accusandolo di ambiguità e tradimento: “Ha venduto Mussolini ai gerarchi, i gerarchi a Mussolini e i gerarchi e Mussolini a Badoglio“, riferendosi alla lettera con la quale Scorza a fine luglio rassicurava Badoglio di avere tenuto il partito a bada essendo “stato ai patti“.

Mettendo però ordine tra i fatti, la figura di Scorza ed in particolare il suo atteggiamento nel 25 luglio meritano un’opportuna rivalutazione in positivo. Al di là delle considerazioni di Dino Grandi, che non avrebbe dovuto e potuto dare del traditore a nessun fascista, ci sono alcuni dettagli che mandano Scorza esente da ogni accusa.

Carlo_ScorzaScorza conosce fin da aprile i piani del golpe, e mette Mussolini in guardia, mostrandogli una lettera scritta dal console Renzo Montagna; un vero e proprio atto d’accusa con nomi e cognomi. La risposta di Mussolini, reiterata per i tre mesi successivi, è che non gli piacciono i romanzi gialli. La sera della seduta chiede a Mussolini di far intervenire la Legione M ed arrestare i congiurati. Invano. Segue Mussolini fin sulla porta di casa implorandogli di dargli carta bianca per far rientrare il golpe, ma si sente rispondere “andate a casa, Scorza, i vostri famigliari saranno in pensiero“.

Il giorno dopo, in seguito all’arresto del duce, prova a chiamare Palazzo Venezia dalla sede del partito, ma lo trova isolato. Si qualifica con la centralinista, ma il duce non gli viene passato ugualmente. Fiuta che qualcosa non torna e ordina al federale di Roma di mobilitare le squadre dei gruppi rionali. Va in macchina a Palazzo Venezia e lo trova vuoto. Allora si reca al comando dei carabinieri, dal generale Cerica, che lui stesso ha fatto nominare. Non sa che Cerica è l’esecutore del golpe e viene arrestato. Riesce a scappare dopo aver telefonato, davanti a Cerica, al vice segretario Tarabini, dicendogli di dare ordine ai federali di stare tranquilli. Tarabini si reca all’ufficio postale, invia 150 telegrammi, li paga di tasca sua e torna a casa. Fine del PNF.

Durante la Repubblica Sociale, dopo il più importante processo ai golpisti e la loro fucilazione, è il turno di Scorza e Tarabini, anche loro trascinati davanti al Tribunale Speciale Straordinario. Ma tutto si interrompe per volontà di Mussolini, che li scagiona dicendo che il 25 luglio è stata una cosa improvvisa e diabolica, e non averci capito niente era il minimo. Assolvendo Scorza, quindi, Mussolini assolve se stesso per non avergli dato retta.

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