Allama Iqbal, “il poeta dell’Est” innamorato dell’Islam e del suo Profeta

Le nazioni nascono nei cuori dei poeti. Esse prosperano e muoiono nelle mani dei politicanti.

Allama Iqbal

di Muddaththir G. Chishti Nizami

iqbalÈ per me un onore grandissimo, nato in Italia ma soprattutto figlio adottivo del Pakistan, far conoscere Sir Dr. Allama Iqbal , ricordato da Hillary Clinton, nella sua visita a Lahore come first lady degli Stati Uniti, come “il Poeta dell’Est”. Nel corso dei miei quattordici anni di vita continua in Pakistan ho avuto la fortuna di essere collega ed amico del figlio del vicino di casa di Allama Iqbal  in Sialkot. Per chi non conosce l’Islam ricordo che le relazioni con i vicini di casa nell’Islam sono talmente forti che il Profeta (SAWS) ebbe a dire di aver temuto che Allah gli avesse imposto nel diritto di successione (eredità) addirittura regole anche per i vicini di casa. Allama Iqbal  ed il padre del mio collega ed amico non solo erano vicini di casa, ma erano anche coetanei condividendo scuola e giochi, e rimasero amici sino alla fine della vita terrena di Allama Iqbal .

Allama Iqbal  (Sialkot, 9 Novembre 1877 – Lahore, 21 Aprile 1938) nasce in un famiglia Musulmana, ma di origine Hindu di Casta Brahmina in Sialkot, oggi Pakistan. Questo è un fatto rilevantissimo perché circa il 60% della popolazione Musulmana del Subcontinente Asiatico che comprende Pakistan, India e Bangladesh è di origine Hindu convertita nelle mani di autentici Sufi o wali-Allah, servi devoti e fedeli di Allah. Chi nasce nell’Islam il più delle volte lo accetta come fatalità, così come chi nasce in altre religioni, ma chi accetta l’Islam, ritornando ad esso dopo un processo più o meno lungo di ricerca e lo fa per integrare il proprio cammino spirituale, è un poco come colui che viaggiando su una vecchia e sgangherata FIAT 500 improvvisamente si trova a poter viaggiare su una stupenda Ferrari e, ricordandosi delle difficoltà pregresse, tiene la nuova auto con estrema cura e pignoleria. Questo atteggiamento spiegherebbe lo zelo dei convertiti all’Islam ed al tempo stesso fa comprendere perché l’Imam Abu Hanifa  richiesto chi erano i compagni del Santo Profeta (sahaba-e-karam ) rispose: “Se voi aveste potuto vederli praticare l’Islam direste che erano matti. Ma se loro potessero vedere voi praticare l’Islam direbbero che siete degli allocchi!”.

shaykh_hasan_chishtiForse questo è anche il motivo per cui nella famiglia di Allama Iqbal  l’Islam era mantenuto vivissimo. Il padre, umile sarto, ma Pir della silsilah Chishti, per vivere confezionava per lo più cappelli perché per i Musulmani è segno di sottomissione ad Allah mantenere il capo coperto in qualsiasi circostanza, ma al tempo stesso era dotato di una scrupolosa conoscenza della Shariah che interpretava con il cuore. Per questo Allama Iqbal  sin da piccolo ha ricevuto un’educazione islamica che lo portò subito a stabilire una gerarchia quasi pragmatica di valori: Allah ed il Suo Profeta benedetto e prediletto, Muhammad (SAWS) erano prima di tutto da conquistare interiormente con un amore genuino ed autentico coltivato con un amore per la conoscenza di quelle scienze che – come credono fermamente i Sufi – uno porta con sé nel mondo a venire. Questo profondo sentimento per la religione porta Allama Iqbal  a scrivere: “Se la fede è perduta non vi è sicurezza e non vi è vita per colui che non aderisce alla religione”. Il rispetto scrupoloso per la legge comune a tutti i Musulmani (Shariah) fu tale in Allama Iqbal  che mai ebbe a bere o mangiare da bicchieri e portate che non fossero mantenuti coperti, cioè non esposti all’aria, questo non solo perché cibi e bevande coperti e protetti preservano la loro freschezza e temperatura originale ma anche perché se ne evita il contatto con forze demoniache [1] preservando la purezza “sottile” di cibo e bevande.

Non so se Allama Iqbal  sarebbe stato contento di essere definito “poeta dell’Est” quando egli stesso ebbe a dire: “Non ho mai considerato me stesso un poeta. Non ho alcun interesse nella poesia artistica”. Non soltanto, ma in risposta a coloro che lo paragonavano con il premio Nobel Hindu RabindranathTagore, Allama Iqbal  rispose: “Non ho mai considerato me stesso come poeta. Pertanto non sono il rivale di alcuno e non considero me stesso rivale di alcuno”.

Allama Iqbal  ha avuto un solo amore vero nella sua vita: l’Islam rappresentato dal Santo Profeta Muhammad (SAWS). Lo si può evincere da quanto egli stesso ha detto: “L’arte: se l’oggetto della poesia è costruire l’uomo, allora la poesia è l’erede della funzione profetica”. Ed in effetti Allama Iqbal  ebbe a scrivere: “Islam è in se stesso destino e non soffrirà destino”. Ed ai colleghi del nascente partito Muslim League che successivamente sotto la guida illuminata di Muhammad Ali Jinnah trascinò le masse musulmane per creare il Pakistan Allama Iqbal  disse: “Io non guido un partito, io non seguo alcun leader. Io ho speso la parte migliore della mia vita a studiare accuratamente l’Islam, la sua legge e la sua linea di condotta, la sua cultura, la sua storia e la sua letteratura”.

iqbal_poema_celesteL’aver menzionato l’Islam e l’inscindibile rapporto di questa religione con il Pakistan mi porta inevitabilmente ai giorni nostri dove l’odio e l’ignoranza cercano di dominare in una terra nata per l’amore e la conoscenza. Allama Iqbal  ebbe a scrivere: “Il destino è la prigione e la catena degli ignoranti. Comprendi che il destino è come l’ acqua del Nilo: acqua di fronte al fedele, sangue per il miscredente”. In questa affermazione si evince come in Allama Iqbal  sia dominante nel suo pensiero la religione che in questa frase accomuna l’Islam al Cristianesimo. Il riferimento al Nilo riguarda l’episodio del Vecchio Testamento riconfermato nel Sacro e Glorioso Corano: qui Allama Iqbal  sottolinea che il Nilo è acqua per Mosè, il credente, l’uomo inviato da Dio, ed al contempo è sangue per colui che il destino ha decretato miscredente: il Faraone [2]. Nella visione di Allama Iqbal  lo Stato musulmano indipendente avrebbe dovuto essere aperto a qualsiasi Musulmano di qualsiasi provenienza e far rifiorire l’Islam; non per nulla egli diede il nome a questa terra chiamandola Pakistan, che vuol dire letteralmente nazione (-stan) della purezza (pak-). Ho accennato alla follia di questi giorni che induce la maggior parte degli occidentali ad accomunare qualsiasi pakistano ad un terrorista, un risultato diametralmente opposto a quanto Allama Iqbal  ebbe a dire: “Elevatevi al di sopra degli interessi di parte e dalle ambizioni individuali… Passate dalla materialità alla spiritualità. La materialità è diversità, la spiritualità è luce, vita ed unità”.

Rudyard Kipling, occidentale, visse nella Grande India e riguardo alla sua esperienza ebbe a scrivere: “L’Oriente è l’Oriente e l’Occidente è l’Occidente, ed i due non si incontreranno mai”, constatando la totale divisione fra i due modi di vivere. Questa frase di Kipling viene citata da René Guénon nella premessa al suo libro “Oriente e Occidente”, e vale la pena qui ricordare parte di quella premessa per poter meglio comprendere il pensiero di Allama Iqbal .

guénon_oriente_occidenteRudyard Kipling scrisse un giorno queste parole: «East is East and West is West, and never the twain shall meet, L’Oriente è l’Oriente e l’Occidente è l’Occidente, e i due mai s’incontreranno». Vero è che, nel seguito del testo, egli modifica la sua affermazione, ammettendo che «la differenza scompare quando due uomini forti si trovino a faccia a faccia, dopo essere venuti dalle estremità della terra»; in realtà anche questa precisazione non è del tutto soddisfacente, perché è ben poco probabile che così dicendo egli abbia pensato ad una «forza» di ordine spirituale. Comunque sia, l’abitudine è di citare isolatamente il primo verso, come se tutto ciò che rimane nel pensiero del lettore fosse l’idea della differenza insormontabile che esso esprime; indubbiamente quest’idea rappresenta l’opinione della maggior parte degli Europei, e si sente in essa affiorare tutta la stizza del conquistatore costretto ad ammettere che coloro che crede di aver vinto e sottomesso portano in sé qualcosa su cui egli non può aver presa. Ma, qualunque sia il sentimento che ha dato origine a una tale opinione, quel che ci interessa innanzi tutto è sapere se essa sia fondata, o in quale misura lo è. Certamente, se si considera lo stato attuale delle cose, si trovano molteplici indizi che sembrano giustificarla; e tuttavia se noi la condividessimo completamente, se pensassimo che nessun avvicinamento è possibile né mai lo sarà, non avremmo intrapreso a scrivere questo libro. Forse più di chiunque altro noi abbiamo coscienza di tutta la distanza che separa l’Oriente dall’Occidente, soprattutto dall’Occidente moderno; del resto, nella nostra Introduzione generale allo studio delle dottrine indù, abbiamo particolarmente insistito sulle differenze, a tal punto che qualcuno ha potuto pensare a una certa esagerazione. Siamo tuttavia persuasi di non aver detto nulla che non sia rigorosamente esatto; nello stesso tempo abbiamo però preso in considerazione, nella conclusione del nostro studio, le condizioni di un riavvicinamento intellettuale, il quale, pur se verosimilmente abbastanza lontano, ci appariva ciò nonostante possibile. Se allora ci pronunciammo contro le false assimilazioni tentate da certi Occidentali, è proprio perché esse sono uno dei principali ostacoli che si oppongono a questo riavvicinamento; quando si parte da una concezione erronea, sovente i risultati sono opposti al fine che ci si era proposto. Rifiutandosi di vedere le cose come sono e di riconoscere certe differenze attualmente irriducibili, ci si condanna a non comprendere nulla della mentalità orientale, e in tal modo non si fa che aggravare e perpetuare i malintesi, mentre, al contrario, bisognerebbe prima di tutto cercare di guenon1dissiparli. Fintanto che gli Occidentali immagineranno che esista un solo tipo di umanità e non ci sia che una sola «civiltà», a diversi gradi di sviluppo, nessuna intesa sarà mai possibile. La verità è che esistono molteplici civiltà, le quali si sono sviluppate in direzioni molto differenti, e che la civiltà dell’Occidente moderno presenta caratteri tali da far di essa un’eccezione piuttosto singolare.

Non si dovrebbe mai parlare di superiorità o di inferiorità, in senso assoluto, senza precisare da quale punto di vista si considerano le cose che si intendono confrontare; ammesso che effettivamente esse siano comparabili. Non esiste una civiltà superiore alle altre sotto tutti gli aspetti, e ciò sia perché non è possibile all’uomo sviluppare la propria attività in modo uguale e contemporaneamente in tutte le direzioni, sia perché esistono sviluppi che si dimostrano veramente incompatibili. È però lecito pensare che una certa gerarchia debba essere rispettata, e che le cose di carattere intellettuale, per esempio, valgano più di quelle di ordine materiale”.

Ma ecco come risponde Allama Iqbal  su questo tema di “Oriente ed Occidente”. Contrariamente a quanto vagheggiato da Kipling, Allama Iqbal  si presenta unico e solo ponte fra Oriente ed Occidente a risolvere la dicotomia con una visione unitaria che René Guénon definirebbe “integrazione dei complementari”. In effetti Allama Iqbal  è quella “… «forza» di ordine spirituale …” citata da René Guènon e riportata poco sopra. Infatti, come uomo di fede e di intensa spiritualità, Allama Iqbal aveva avuto modo di conoscere l’Occidente vivendoci per svariati anni da studente [3], prima in Inghilterra e poi in Germania. La sua opinione su “Oriente ed Occidente” fu molto più equilibrata di Kipling, come si può rilevare dalle parole stesse di Allama Iqbal : “In Occidente l’intelletto è la sorgente di vita, in Oriente l’amore è la base della vita. Attraverso l’amore l’intelletto cresce e si sviluppa facendo conoscenza con l’amore, elevatevi e gettate le fondamenta di un nuovo mondo sposando l’intelletto con l’ amore”. In parole diverse Allama Iqbal  esprime lo stesso concetto di René Guénon.

Bal-e-Jibrael-IqbalPer avere un’idea del concetto di amore di Allama Iqbal  cito i seguenti versi tratti dalla seconda parte della raccolta di poesie intitolata Bal-i Jibril (L’Ala di Gabriele, 1936) e resi in Italiano dal compianto Prof. Dr. Vito Salierno [4]:

Ghazal [5] 9

È l’amore che infonde calore nella musica della vita,

È l’amore che ridesta nei senza vita e nei morti,

Come la brezza che rinfresca i fiori nei loro bocciuoli

È l’amore che permea di sé ogni fibra ed ogni vena.

Se non sei consapevole di Dio, sei schiavo degli uomini,

E se sei consapevole [di Dio, NdT], anche i tuoi schiavi sono re.

Regale è un cuore libero; i beni materiali, schiavitù e morte,

Sei tu che devi decidere – essere re o schiavo del mondo.

Ghazal 34

Quando l’amore di Dio insegna la consapevolezza di sé,

Agli schiavi si rivelano i segreti del Regno di Dio,

Solo lamenti, desideri e veglie notturne portano al successo,

Si tratti di un ‘Attar, o di Rumi, o di Razi, o di Ghazzali [6].

iqbal_maqamQuesta visione dell’amore come forza unente si riflette nelle sue parole che forse pronunciò verso la fine della sua vita terrena: “Ecco, osserva una candela lottare con la notte… il flusso delle mie lacrime scorre su me stesso… Ho dato tutto me stesso affinché ci potesse essere molta luce, … più amorevolezza e più gioia”. Può sembrare un modo di dire ma per Allama Iqbal  non esisteva un modo di dire, egli era l’integrazione perfetta di pensiero ed azione. Lo posso confermare con il fatto narratomi dal mio amico figlio del vicino di casa della famiglia di Allama Iqbal. Quando Allama Iqbal  era prossimo a lasciare questo mondo, il padre del mio amico gli fece visita nella sua casa a Lahore. Quando egli entrò in casa notò che il fedele servitore di Allama Iqbal , Ali Buksh, era estremamente indaffarato ad esporre varie copie del Corano al sole. Incuriosito, il padre del mio amico chiese ad Ali Buksh cosa stava succedendo. Ali Buksh rispose: “Il mio padrone non fa altro che leggere il Santo e Glorioso Corano. Ma quando recita, un fiume di lacrime si sprigiona dai suoi occhi inondando e bagnando tutto il sacro libro. In questo clima invernale la mia unica soluzione è stendere al sole le pagine bagnate dal fiume di lacrime”.

Qualcuno chiese ad Allama Iqbal  come avesse potuto acquisire una così vasta conoscenza, soprattutto dell’Islam. Egli , totalmente dimentico dei suoi titoli accademici, ammise che la sua conoscenza gli derivava dall’aver recitato oltre un milione di Darood Salam Sharif (note anche come salawat-un-nabi (SAWS) o benedizioni sul Santo Profeta (SAWS)). In questa affermazione vi è tutta l’essenza di Allama Iqbal : l’amore per Allah non può essere espresso se non attraverso l’amore per il Santo Profeta (SAWS), come ci insegna Allah nel Santo e Glorioso Corano: “Per certo Allah ed i Suoi Angeli mandano benedizioni sul Santo Profeta: o voi che credete! (Anche voi) mandate benedizioni su di lui e salutatelo con bei saluti, in tutta riverenza ed abbondante amore” [Surat al-Azhab, I Confederati; 33-56]. Non si pensi quindi che Allama Iqbal  abbia ripetuto meccanicamente “a macchinetta” le formule delle Darood Sharif! Egli  ha adornato le formule con la sua riverenza e con il suo abbondante amore. E questo è un dono di Allah Altissimo che fa la vera differenza fra gli mecca_coveruomini! Allama Iqbal  non ha mai visitato i luoghi santi dell’Islam (Makkat al-Mukarramah e al-Madinat al-Munawwarah), ma si dice che egli  sapesse dare una descrizione dettagliata della Santa Moschea del Santo Profeta (SAWS) in un’epoca in cui non c’era internet ed pellegrinaggi erano riservati a poche persone: molti attribuiscono questo fatto ad un dono divino.

La sua visione fu talmente unitaria da vedere anche nella scienza – e quelli erano i tempi in cui Einstein era vivente e famoso in tutto il mondo – ciò che la maggior parte degli scienziati moderni – oggi specialmente – non riesce più vedere. Infatti Allama Iqbal  disse: “L’osservatore scientifico della Natura è una specie di mistico nell’atto della preghiera”. Questa visione unitaria si riflette sui versi che sono riprodotti sulla sua tomba nel mausoleo che il Governo del Pakistan ha dedicato al grande padre della patria, versi che traduco approssimativamente “Non Afghano, non Turkmenistano, ma Musulmano”.

NOTE

[1] Nelle vecchie famiglie musulmane del Subcontinente Asiatico, e forse in tutto il mondo islamico, vi è la credenza che Satana il Lapidato orina sulle portate che non sono protette. Questo deriva dallo hadith secondo cui Satana il Lapidato orina nelle orecchie di coloro che dormono invece di pregare Fajr. L’orina (simbolica) sta ad indicare corruzione ma anche superiorità e sottomissione (a Satana il Lapidato!)

[2] Nel primo Ghazal (vedi nota 5) della seconda parte di Bal-i Jibril (l’Ala di Gabriele) Allama Iqbal scrive questo distico: “I Faraoni di oggi mi hanno inseguito invano;/ Ma non ho paura; il bastone di Mosè mi benedice”.

[3] Bachelor in Arts (Trinity College, Cambridge) e Master in Gran Bretagna (dal 1905 al 1907), e PhD presso la Ludwig Maxmillian University di Monaco di Baviera, in Germania, 1908.

[4] Il Prof. Dr. Vito Salierno (Bari 24/08/1934 – Milano 25/02/2013). Ex presidente della Iqbal Foundation Europe, islamista ed ex incaricato culturale all’ambasciata italiana quando essa era ancora a Karachi, riuscì ad innamorarsi dell’opera di Allama Iqbal , tanto da succedere alla presidenza della Iqbal Foundation alla Prof.sa Dr.ssa Annemarie Schimmel, la più importante studiosa europea di Allama Iqbal .

[5] È una forma poetica araba, mediorientale ed asiatica consistente in distici rimati ed un ritornello avente lo stesso ritornello in ogni riga. Il Ghazal è utilizzato come espressione poetica per esprimere la pena per la perdita o la separazione dall’amato, ed al tempo stesso ricordare la bellezza dell’amore nonostante la sofferenza. È una forma poetica molto simile a quella utilizzata in Italiano dal Petrarca nei suoi sonetti.

[6]Abū Ḥamīd bin Abū Bakr Ibrāhīm (c. 1145 –  c. 1221); meglio conosciuto con lo pseudonimo Farīd ed-Dīn el-ʿAṭṭār; Jalāl ad-Dīn Muhammad Rūmī  (1207 – 17 dic. 1273); Fakhr al-Dīn al-Rāzī (1149 – 1209); Abū Ḥāmid Muḥammad ibn Muḥammad al-Ghazālī (c. 1058 – 18 dic. 1111).

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