Scacco matto della Russia in Siria? Intervista a Stefano Vernole
Stefano Vernole, Resp. Relazioni esterne del CESEM, è stato inviato della rivista “Eurasia” a Damasco nel novembre 2011.
La Russia, dopo la Francia e gli Stati Uniti, ha fatto sapere di aver cominciato dei raid aerei sulle postazioni dell’ISIS in Siria.
Che rapporto c’è tra quest’ultima mossa di Mosca e i recenti incontri all’Onu?
La Russia all’ONU ha soltanto comunicato ufficialmente alla Comunità Internazionale l’autorizzazione ricevuta dal Governo di Damasco per il suo intervento in Siria, ma la decisione dell’attacco era già stata presa. Non si poteva indugiare ancora vista l’attuale congiuntura internazionale che vede Obama sempre più debole perché in scadenza di mandato e l’Europa sempre più divisa a causa delle sanzioni economiche contro Mosca e il flusso incessante di “migranti”. La Russia è sempre stata molto attenta a non confondere politica USA e politica europea, ma oggi differenze non se ne vedono più in effetti… Vladimir Putin ha dimostrato tutto il suo carisma e una capacità comunicativa perfetta: tutti gli spettatori occidentali, da mesi “terrorizzati” dalla minaccia mediatica dell’ISIS, vedono ora nel capo del Cremlino l’unico leader mondiale in grado di fermarlo. Uno scacco matto perfetto alla Casa Bianca!
Non le pare un po’ “particolare” che tutte le grandi potenze affermino di voler fare la guerra allo “Stato Islamico”? C’è effettivamente bisogno di uno spiegamento di forze congiunto così massiccio? Cosa c’è dunque oltre queste unanimi “dichiarazioni”?
Si tratta di una mistificazione perché finora non è stata fatta nessuna “guerra allo Stato Islamico”, almeno da parte delle potenze occidentali della NATO e da parte dei loro alleati turchi ed arabi. Se davvero avessero voluto, l’esercito dell’ISIS sarebbe stato distrutto in pochi mesi di bombardamenti massicci; quelli che gli USA hanno condotto per ben due volte contro l’Iraq di Saddam Hussein sarebbero stati più che sufficienti. Gli unici che finora hanno combattuto davvero l’avanzata dello Stato Islamico sono stati iraniani e libanesi (Hezbollah) in Iraq e l’esercito regolare di Bashar al-Asad in Siria. Qatar, Turchia e Stati Uniti non solo hanno favorito nascita e crescita dell’ISIS, ma hanno contribuito alla sua fortuna economica rivendendone il petrolio rubato dai pozzi iracheni e siriani sul mercato internazionale. Non è un caso che in queste ore le cancellerie occidentali siano terrorizzate non solo dagli attacchi russi in Siria ma ancor di più dal raggiungimento dell’accordo a cinque: Baghdad, Beirut, Damasco, Teheran e Mosca per combattere lo “Stato Islamico” in Iraq. La Russia torna ad essere protagonista assoluta della politica mediorientale, difendendo non solo la propria base di Tartous ma aprendone addirittura una nuova a Latakia, sulla costa mediterranea della Siria.
Un’altra cosa “strana” è che l’ISIS ha visto i suoi albori in Iraq, ma tutti adesso dicono di volerlo combattere in Siria… Perché?
Perché Damasco, più del debole Governo di Baghdad, ha sempre rappresentato l’alleato strategico iraniano nell’area. È evidente che l’accerchiamento atlantista di Russia e Cina preveda un cambio di regime a Damasco, ultimo avamposto strategico di Mosca e Pechino in Medio Oriente; se al-Asad cadesse, l’Iran e i suoi alleati libanesi si troverebbero circondati da forze ostili e sarebbero costretti pian piano ad arrendersi all’influenza statunitense. Da questo punto di vista, il massiccio intervento russo di queste ore, approvato perfino dal Presidente egiziano al-Sisi, deve essere risolutivo. Non sottovaluterei però la situazione irachena per le sue possibili conseguenze e l’effetto domino che riveste per molte altre questioni, quella curda innanzitutto. L’atteggiamento di Ankara e perfino di Riyad potrebbe anche cambiare se le cose dovessero mettersi male per l’ISIS.
Veniamo ai “profughi siriani”. C’è il legittimo sospetto che quest’emergenza (a quattro anni dai primi disordini) sia stata orchestrata per porre le popolazioni europee di fronte al “problema siriano” che, guarda caso, sta prendendo una piega molto pericolosa. Che ne pensa?
In effetti l’attacco francese, chiaramente indirizzato contro al-Asad e non contro l’ISIS, farebbe pensare ad un’ipotesi del genere. Allo stesso tempo non mi sembra che la posizione di Parigi goda di grande consenso, per ora, presso gli altri paesi europei. Non vi è comunque dubbio che l’accelerazione degli sbarchi dei “migranti” faccia parte di una precisa strategia di destabilizzazione dell’Europa orchestrata d’Oltreoceano, così come dichiarato alcune settimane fa dallo stesso Putin e dai servizi segreti austriaci: le ONG di George Soros sono state mobilitate a tal scopo. Dopo il decennale attacco culturale ed finanziario condotto dagli Stati Uniti contro l’Europa, mancava solo il caos immigratorio che rischia di degenerare in conflitti etnici pericolosi e devastanti per tutti.
La Cina, in tutto questo, che posizione tiene?
La Cina è per eccellenza l’attore più responsabile delle attuali relazioni internazionali e si comporta da anni come deve fare la vera guida economica del Pianeta. I suoi progetti sulla Cintura economica della Nuova Via della Seta terrestre e Marittima, la Banca dei BRICS e la sua Banca Asiatica di Investimento per le Infrastrutture rappresentano l’unica reale speranza di rilanciare lo sviluppo mondiale, con benefici enormi per tutti gli scambi commerciali. Non dimentichiamo che a causa delle inaccettabili pretese di Washington sulla Corea e sul Mar Cinese Meridionale, Pechino ha subito durissime provocazioni ma è stata molto abile a sottrarsi al conflitto. Tuttavia, come ha recentemente dichiarato il famoso generale cinese Qiao Liang, “gli USA hanno sbagliato a scegliere la Cina come avversario”. Pechino si è sempre più stretta intorno a Mosca e si prepara anch’essa a sbarcare in Siria, avendo individuato uno stretto legame tra il fondamentalismo salafita dell’ISIS e quello dei gruppi islamisti terroristici nello Xinjiang cinese. Come sempre la Cina agirà in silenzio, in maniera pragmatica ed efficace.
Quali sono le responsabilità occidentali nella degenerazione della situazione in Siria? L’Europa, intesa come UE, ha una sua “posizione” oppure ciascun paese si sta muovendo per conto suo?
Esistono dei concreti rischi che la situazione evolva verso un conflitto più grave nel quale non si combatterà più per interposta persona? E in che posizione si troverebbero i militari italiani di stanza in Libano?
Le responsabilità occidentali sono evidenti nell’approvazione della strategia del caos statunitense: “rivolte arabe”, golpe e bombardamenti atlantici hanno favorito negli ultimi cinque anni il diffondersi del terrorismo in Siria contro il legittimo Governo di al-Asad. La UE ovviamente non funziona da nessun punto di vista, a maggior ragione perché non esiste a rigor di trattato un Ministro degli Esteri europeo: ogni paese si muove più o meno per conto suo, ma nei limiti dell’occupazione atlantica. I militari italiani di stanza in Libano sono a rischio come qualsiasi altro contingente internazionale in zona di guerra; i tentativi “tricolori” di portare avanti un rapporto autonomo in quell’area hanno ricevuto un brusco stop dopo l’omicidio statunitense di Nicola Calipari. Difficile che ora l’Italia abbia la forza di condurre una politica differente da quella degli Stati Uniti d’America: se Washington affonderà, Roma cadrà insieme a lei.
Intervista a cura di Enrico Galoppini