Perché i media italiani sono così russofobi? Intervista a Paolo Borgognone

L’ultimo attentato che ha colpito cittadini innocenti della Federazione russa intenti alle normali faccende della vita quotidiana ha posto in risalto la russofobia del nostro apparato mediatico, in particolare di quello italiano, che trasuda livore e astio nei confronti della dirigenza russa e del popolo russo. Quali sono le radici, politiche e culturali, di questo pregiudizio antirusso diffuso dalle “nostre” classi dirigenti e dai loro addetti alla propaganda?

RussofobiaLe origini del pregiudizio russofobico sono ataviche e vengono descritte nel bel libro di Guy Mettan, Russofobia. Mille anni di diffidenza (prefazione di Franco Cardini, Sandro Teti Editore, 2016). In questo testo l’autore, che tra l’altro è un giornalista svizzero di cultura cristiano-democratica e per cui in nessun modo etichettabile come avversario ideologico preconcetto dell’Occidente, esamina nel dettaglio tutte le componenti sociali, politiche ed economiche dell’odio nutrito dalle élite europee prima e americane poi nei confronti della Russia come erede geopolitico e spirituale dell’Impero romano d’Oriente e, certamente, anche del khanato mongolo dell’Orda d’Oro. La russofobia è infatti una vera e propria guerra di religione, un conflitto tra culture, mossa dai ceti possidenti europei nei confronti dei popoli slavi cristiano-ortodossi, considerati tout court “barbari” e potenziali “invasori” di una “civiltà europea” in realtà fortemente debitrice nei confronti della tradizione greco-bizantina e slava. Mettan scrive infatti che «Bisanzio è stata il grembo e lo specchio dell’identità europea» e fa risalire le origini della russofobia moderna alla redazione, da parte della corte francese di Luigi XV (con l’aiuto di alcuni nobili polacchi), del cosiddetto falso testamento di Pietro I il Grande. In questo documento, che risale alla seconda metà del XVIII secolo, i redattori francesi e polacchi fabbricarono ad hoc «il mito dell’espansionismo russo», attribuendo allo zar Pietro I le seguenti, e da lui mai pronunciate, parole: «Il grande Dio al quale dobbiamo la nostra esistenza e la nostra corona […] ci permette […] di guardare al popolo russo come chiamato, per il futuro, al dominio generale dell’Europa». Il mito, russofobia2tuttora intramontabile, della tirannide russa esercitata dallo zar su di un popolo di “schiavi” fu invece coniato nel 1549 dal diplomatico tedesco (imperiale) Sigismondo von Herberstein, il quale scrisse, nelle sue Note sui Moscoviti, che quello russo era de facto un popolo talmente barbaro e crudele che al contempo subiva e meritava la tirannia zarista. Tuttavia, l’ostilità del mondo occidentale nei confronti dell’Oriente romano-imperiale, volgarmente squalificato con l’epiteto “bizantino” dalla storiografia moderna e contemporanea (mai i “bizantini” si sarebbero definiti tali, così come neppure greci, bensì “romani”), affonda le sue radici nella falsa donazione di Costantino (IX secolo d.C.) con cui, de facto, l’Occidente “papista” diede vita a uno scisma con l’eredità imperiale, attribuendo poi a Costantinopoli la responsabilità di tale lacerazione. La russofobia, dunque, è un insieme di cliché para-razzisti fondati sulla geopolitica della menzogna e dell’interesse delle classi dominanti proprietarie occidentali. A questo scopo fu costruito, nel corso dei secoli, il mito negativo del russo “barbaro”, stupratore, infanticida e potenziale anticristo.

Piuttosto che chiederti chi potrebbe aver ordito questi attentati alla metropolitana di San Pietroburgo, vorrei sapere da te un parere sugli “esperti” che, da ieri pomeriggio, imperversano su giornali e tigì per “approfondimenti” al riguardo. Trovo che siano letteralmente scandalosi (o peggio, se si pensa che la Rai prende soldi da tutti e che i giornali beneficiano di sovvenzioni pubbliche): da quello che insinua l’ipotesi dell’autoattentato a quell’altro che, all’apparente opposto, dà credito alla versione del “terrorismo islamico” (e ti pareva!) ma chiosa che, con la sua politica (quale, di grazia?), la Russia “se l’è cercata”. Chi potrebbe essere invitato (oltre a te, naturalmente!) a parlare di Russia in simili frangenti – ma non solo – affinché gli italiani vengano informati correttamente su questo grande Paese?

kazan_moscheaL’ipotesi del terrorismo “islamico” è funzionale a chi alimenta l’islamofobia, che viaggia di pari passo con la russofobia come pretesto ideologico per cercare di tenere in vita il mantra autoapologetico della cosiddetta “civiltà progressista occidentale” (open society). In realtà, in Russia vivono 20 milioni di musulmani, sono cittadini della Federazione russa, sono lì da sempre, non sono immigrati ma parte costituente dello Stato federale, con pari diritti e doveri rispetto ai popoli di altre confessioni religiose. Kazan, nel Tatarstan, è una delle più importanti città russe, tradizionalmente musulmana. La Russia è anche un Paese musulmano! E ciò contribuisce all’arricchimento del suo patrimonio identitario. Posta questa premessa, passiamo all’ipotesi (ventilata da personaggi come Edward Luttwak) dell’autoattentato, che trovo grottesca ma strumentale a chi, nei media e nel ceto politico sistemico, considera prioritario il rovesciamento del governo russo, o perlomeno la sua delegittimazione su scala planetaria presso l’opinione pubblica teledipendente, al fine di rimuovere uno tra i principali ostacoli sulla via della strategia neoliberale di promozione del caos geopolitico e morale “costruttivo”. Vorrei ricordare quanto scritto ieri su L’Huffington Post dal giornalista Andrea Purgatori, certamente un esponente dell’apparato mediatico liberal-progressista e dunque uno legittimato, secondo la vulgata dominante, a parlare in nome della “verità”, ossia di chi attribuisce centralità all’implementazione delle politiche obamiane di soft power basato sulla narrativa dei “diritti di libertà individuali”. Purgatori riconosce che «l’alleanza di Putin col regime di Assad e la teocrazia sciita iraniana è ciò che il Califfato teme di più, e anche la forza sul campo e dal cielo che gli ha inflitto le perdite maggiori nell’ultimo anno e mezzo di guerra». In altri termini, la Russia, la Siria legittima (laica, nazionalista e socialista), l’Iran ed Hezbollah combattono il terrorismo jihadista con volontà ed efficacia assai maggiori di quanto non abbia fatto, fino a questo momento, una coalizione a guida americana che, segnatamente sotto Obama, ha utilizzato guerrieri_diole milizie islamiste in Siria (in parte composte da mercenari caucasici veterani delle guerre separatiste in Cecenia e Daghestan) per cercare, in combutta con i Paesi più fondamentalisti e reazionari dell’area (Arabia Saudita e Qatar), il regime change a Damasco. Sono, dunque, Stati e partiti “armati” musulmani, nella fattispecie sciiti (ma nell’Esercito siriano combattono con valore anche molti sunniti), a lottare, a costo di perdite notevoli in fatto di vite umane, contro miliziani jihadisti troppe volte utilizzati dall’Occidente quali risorse di intelligence in chiave antirussa, antiserba, antisiriana e anti-iraniana. Invito a questo punto a leggere non soltanto il tuo Islamofobia (Edizioni all’Insegna del Veltro, 2007) ma anche il recente libro di Stefano Fabei e Fabio Polese, I guerrieri di Dio. Hezbollah: dalle origini al conflitto in Siria, pubblicato da Mursia. Da letture come queste emerge sicuramente un quadro storico obiettivo e colto dei conflitti, dei riferimenti ideologici e spirituali e delle direttrici di politica estera intrinseci al complesso e interessantissimo panorama mediorientale a maggioranza musulmana.

Non pensi che in qualche modo potremmo far pressione, quantomeno sulla Rai, per pretendere di essere informati meno parzialmente al riguardo di un Paese vicino ma che, per una serie di motivi che ti chiedo di riassumere, gli italiani devono percepire come distante ed ostile?

mediaLa Rai è totalmente infeudata alle logiche dominanti, veicola il messaggio politico più confacente a perpetuare lo status quo pro-Ue, pro-Merkel, pro-Renzi e pro-neocon. Non può andare oltre perché i giornalisti Rai rispondono ai loro datori di lavoro e, se sgarrassero, a patto che abbiano gli strumenti culturali e l’intenzione di farlo, verrebbero immediatamente rimpiazzati. Basti vedere col caso Trump… Contro il presidente Usa è stata scatenata una gazzarra mediatica senza pari, e tutto perché il tycoon repubblicano neoinquilino della Casa Bianca ha osato elogiare la Brexit, introdurre elementi di protezionismo nei commerci transnazionali e cercare di vendere a Putin un accordo sulla questione siriana. Ebbene, per queste ragioni, il circo politico-mediatico-economico globalista ha tacciato Trump di fascismo! E lo hanno fatto starlette dell’infotainment che conoscono assolutamente nulla della storia dei movimenti fascisti americani, altrimenti non si sarebbero andate a impegolare in discorsi che potrebbero esser loro rovesciati contro da chi, sul tema, conosce qualcosa in più. Infatti, come scrive l’insigne linguista e storico delle religioni Marcello De Martino nell’Introduzione al libro di Scott Beekman, William Dudley Pelley. Una vita nell’estremismo di destra e nell’occulto (Settimo Sigillo, 2007), sin dagli anni Trenta del secolo scorso, «i movimenti “fascisti” americani avevano una caratteristica che li rendeva diversi dai loro omologhi europei: erano tutti contrassegnati da un elevato senso di spiritualità, nella fattispecie cristiana millenarista». Bene, ai giorni nostri, questo millenarismo caratterizzato, come scrive De Martino, «da elementi religiosi cristiano-protestanti», è maggiormente rintracciabile nei propositi imperialistici, ossia volti alla conversione, anche manu militari, dei popoli di differenti origini e peculiarità storico-culturali, di cui è impregnata l’ideologia americana declinata in versione “neocon” (quando non direttamente “teocon”). E sono proprio, nei media come nel ceto politico liberal dei Paesi della Ue, coloro che oggi imprecano contro trump_hitlerTrump al grido di “dagli al fascista” che, ieri, tenevano bordone alle politiche espansioniste di Clinton (marito e moglie), Bush II e Obama in aree strategiche quali Medioriente, Europa centrorientale, ex Urss e America Latina. Politiche neocoloniali motivate proprio dalla loro intrinseca adesione alla vulgata millenaristica cristiano-protestante di cui s’è detto. Il businessman Donald Trump ha molto poco a che vedere con l’anima neocon o teocon dell’establishment americano e le correnti identitarie di destra, un po’ settarie e misticoidi, che lo hanno sostenuto durante la campagna elettorale sono minoritarie negli Usa e poco o nulla incisive in ambito politico. Trump deve invece il suo successo elettorale al voto, massivo, a suo favore, da parte degli sconfitti dei processi di globalizzazione liberale. Credo che l’esempio che ho posto più sopra dimostri come oggi viviamo nel regno dell’ignoranza, dove ciascuno “dice la sua” senza sapere molto dell’argomento di cui parla perché, in Rai come altrove, il sensazionalismo prevale sul diritto-dovere del servizio pubblico di fare cultura e informazione.

Che cosa può leggere e/o ascoltare chi intendesse saperne di più meglio sulla Russia e le sue ragioni nell’attuale situazione internazionale?

congiura_lituanaVoglio citare, a guisa di risposta, due libri che sfatano altrettanti idoli propagandistici e negativi basati sulla costruzione del “barbaro” russo e sovietico sterminatore e plagiatore di popoli e dame “innocenti”. Il primo di questi libri è La congiura lituana, di Galina Sapožnikova, pubblicato da Sandro Teti Editore nel 2016. In questo volume l’autrice ricostruisce, attraverso una serie di interviste ai protagonisti delle vicende narrate, i retroscena dei passaggi cruciali dello smantellamento dell’Urss, attuato con la piena complicità di Gorbaciov e dei cosiddetti riformisti della perestrojka, in connubio con gli elementi sciovinisti (in realtà, tutti politicanti ex comunisti in grado di fiutare, prima di altri, le opportunità economiche e di status derivanti, per loro, dallo Zeitgeist contingente) dei Paesi baltici, Lituania in testa, e le centrali americane della manipolazione e dell’esportazione della free market democracy attraverso la pratica del golpe postmoderno camuffato da “rivoluzione di velluto”. Il secondo libro che mi preme consigliare è Uccidere Rasputin. Vita e morte di Grigori Rasputin (Settimo Sigillo, 2013), scritto da Andrew Cook, un testo capace di restituire onore e dignità a un personaggio storico, Rasputin appunto, sprofondato dalla propaganda russofobica, interna (i russi infatti, quando ci si mettono, sanno essere non meno russofobi degli occidentali) e internazionale, nel baratro della demonizzazione più retriva e ignorante. È d’uopo pertanto citare quanto scrive, nell’Introduzione a Uccidere Rasputin, il già citato linguista Marcello De Martino, commentando la fama di Rasputin come “monaco uccidere_rasputinnero” ed emblema, nel mondo, del mugik russo infervorato di spiritualità cristiano-ortodossa, incredibilmente virile e letteralmente posseduto da una diabolica sete di potere, occultismo e bramosia di carne umana da soggiogare e violentare a proprio piacere: «[…] ormai Rasputin fa parte del mito ove ha assunto i contorni di una figura diabolica: non è possibile attuare nessuna correzione prospettica a questa diffrazione, poiché il “mito di Rasputin” vive di vita propria. Non si contano i casi di sfruttamento del suo personaggio come protagonista o deuteragonista ovvero ancora antagonista sulla carta stampata, cioè nei romanzi e nei fumetti, per non parlare dei film più o meno dell’orrore – in tutti i sensi». L’idolo negativo di Rasputin è utilizzato dalla propaganda occidentale come lo spettro, che rigorosamente si aggira per l’Europa, di un popolo russo contadino barbaro, manipolatore, delinquente e insaziabile. Restituire a Rasputin la dignità, che si era meritata in vita, di sant’uomo, equivale a emendare la Santa Russia, con la sua storia e le sue tradizioni, dai falsi stereotipi continuamente diffusi, a suo detrimento, dal discorso pubblico delle pseudo-élite liberali di ogni dove.

Per concludere, vorrei rilevare una questione cruciale per ciò che concerne la disinformazione sulla Russia: che essa serve essenzialmente delle politiche concrete, poiché se si trattasse solo di “discorsi” potremmo anche disinteressarcene. Invece il pregiudizio anti-russo e le sistematiche denigrazione e diffamazione della Russia sono funzionali alla manovra offensiva che l’Occidente conduce senza sosta, in un modo o nell’altro, allo scopo di sottomettere una realtà refrattaria ad adeguarsi alla cosiddetta “agenda” mondialista. Come vedi il ruolo della Russia quale baluardo di resistenza al mondialismo?

borgognone_capire_russiaLa Russia non è uno Stato ideocratico ma al suo interno si possono rintracciare correnti politiche e spirituali fortemente in opposizione al liberal-globalismo. Ciò origina dal fatto che, come scrive Guy Mettan nel libro Russofobia, «i russi considerano la libertà come un potere capriccioso e discrezionale che immerge l’uomo nella depravazione e lo allontana dalla salvezza» mentre per gli occidentali, individualisti, «la libertà è un modo per raggiungere la perfezione di se stessi e la salvezza eterna». Emerge, nelle parole qui citate, l’imprinting prettamente conservatore e legato all’idea di patriottismo e sovranità dei russi, a fronte di un approccio occidentale più conforme e compiacente, e per cui maggiormente disposto a prestarsi come consenziente fiancheggiatore, nei confronti dell’ideologia dei diritti cosmetici quale fulcro del soft power americano contemporaneo. È più difficile, per i think tank della East Coast e di Bruxelles, finanziare una “rivoluzione colorata” a Mosca che non a Kiev poiché i russi sono meno propensi all’individualismo rispetto agli ucraini. Per questa ragione le agenzie americane per la promozione della free market democracy all’estero puntano molto sul sostegno alla loro causa da parte dei teenager moscoviti e pietroburghesi nati e cresciuti sotto Putin, i Millennials in salsa russa più facilmente abbordabili e ricettivi alle promesse occidentali di un futuro di successo individuale, scambio e interazione con i loro omologhi statunitensi e dei Paesi della Ue, soldi facili, felicità sessuale (per chi riesce, in un modo o nell’altro, in un mondo in cui il business è il valore supremo, a ottenere il denaro necessario a potersela permettere) e carriera “assicurata”. Questa “giovane classe media” privata è in espansione in Russia e nei prossimi anni potrebbe rappresentare persino un problema per Putin ma oggi, elettoralmente parlando, vale il 5 per cento a essere oltremodo generosi. L’opposizione della Russia al mondialismo è scolpita nei lavori di pensatori del passato e del presente, da duginKonstantin Leont’ev ad Aleksandr Dugin, passando per Igor Safarevic e Gennadij Zjuganov e vale la pena di conoscerla anche per un pubblico occidentale poco avvezzo a confrontarsi con la “voce dell’altro”. Di Dugin, in particolare, ovvero del più prominente tra gli intellettuali russi antiglobalisti, mi permetto di consigliare i seguenti libri: Continente Russia (Edizioni all’Insegna del Veltro, 1991); Eurasia. Vladimir Putin e la grande politica, scritto a quattro mani con Alain de Benoist (Controcorrente, 2014); Eurasia. La rivoluzione conservatrice in Russia (Pagine I Libri de Il Borghese, 2015); La Quarta Teoria Politica (Nova Europa Edizioni, 2017). Credo che ripartire dallo studio degli autori russi espressione della grande tradizione conservatrice/rivoluzionaria autoctona sia l’antidoto più efficace per scrollarci di dosso ogni scoria russofobica imputabile a mille anni di retorica autoapologetica di una civiltà occidentale che, di per sé, può esistere come civiltà europea ed eurasiatica soltanto ricomponendo una frattura geopolitica, storica, ideologica e dottrinaria (si pensi alle controversie cristologiche del Tardo Antico e del Medioevo) in nessun modo riconducibile a responsabilità russe o slave ma alla bramosia di potere, crociata e ricchezza di taluni imperatori germanici, pontefici romani e mercanti veneziani.

(intervista a cura di Enrico Galoppini)

borgognoneNota Bibliografica: Paolo Borgognone, storico e saggista, autore dei volumi Capire la Russia. Correnti politiche e dinamiche sociali nella Russia e nell’Ucraina postsovietiche (Zambon, 2015); L’immagine sinistra della globalizzazione. Critica del radicalismo liberale (Zambon, 2016); Deplorevoli? L’America di Trump e i movimenti sovranisti in Europa (Zambon, 2017).

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