Massimo Fini, La modernità di un antimoderno, Marsilio, Venezia 2016

di Luca Bistolfi

massimo-fini-una-vitaSe la repubblica italiana delle lettere non fosse diventata un lupanare e non promuovesse solo i mediocri, Massimo Fini non sarebbe soltanto il giornalista alternativo, controcorrente e ribelle dipinto, invero col suo concorso, dalla stampa di casa nostra.

Dal 1985 l’opera di Fini procede, inesausta e cadenzata, sino a quando l’anno scorso egli non decise di sigillarla con Una vita, l’autobiografia. Era scaturita trent’anni fa da studio e riflessione, proprio i punti di maggior vantaggio che Fini può vantare sui tanti e troppi pseudointellettuali cui basta semplicemente l’etichetta di “fuori del coro” per sentirsi e spacciarsi per intelligenti e originali. Retorici dell’antiretorica, essi si tramutano nell’eguale e contrario di chi o cosa vorrebbero contraddire e contrastare; ma sono sovente privi d’argomentazioni, privi di quell’acribia profusa sui testi e sulla vita che invece contraddistingue Massimo Fini. Il quale ora dà alle stampe, per i tipi del suo storico editore Marsilio di Venezia, un volume d’oltre mille pagine in cui confluiscono i sei suoi più densi saggi. Dalla Ragione aveva Torto? sorta a mezzo dei gaudenti anni Ottanta, il meglio illusorio che il Novecento potesse domandare e che il libro fa a pezzi insieme a tutta la modernità, sino al Ribelle dalla A alla Z; e trascorre per la perla dedicata al Denaro. “Sterco del demonio”. Al centro un attualismo Elogio della guerra e quella coppia Il vizio oscuro dell’OccidenteSudditi, che costituiscono, come recita il sottotitolo del primo, il “Manifesto dell’antimodernità”. Avremmo accolto con gioia se fosse stata presente anche la biografia del Mullah Omar, non certo per il soggetto di cui non ci importa niente, quanto piuttosto per le considerazioni su quelle popolazioni lontane da noi, in questo caso i talebani.

fini_modernità_antimodernoTitolo del tomo: La modernità di un antimoderno, a sottolineare che i contenuti non rifanno il verso a ipotesi e attitudini passatiste o nostalgiche, e men che meno si riagganciano a una tradizione più o meno mal compresa da chi oggi se ne fa vessillifero e latore; bensì stanno ben al centro, con raro senso della realtà, del mondo in cui siamo immersi. Solo che questo mondo necessita, almeno in via teorica e individuale, di esser revisionato, riletto. Una revisione che smonta pezzo e pezzo la mitologia sorta, or son oltre duecento anni, dall’Illuminismo, dalle rivoluzioni francese e industriale e dalle due ideologie loro portato, la marxista e la liberale. I modelli cui si è adeguato l’Occidente e cui non ha più rinunciato mostrano la corda, dettaglia Fini, e tutti stiamo pagando le conseguenze di quella mitologia rovesciata, che al suo sorgere si promise di far tabula rasa d’ogni precedente, considerato vieto e di fatto illegittimo.

Nella Ragione Fini spiega, coprendo tutto lo spettro esistenziale dell’uomo moderno, come il mondo che precedette l’età dei Lumi e le sue conseguenze non fosse quell’inferno poi dipinto e tramandato; ben il contrario. E par quasi sentir parlare una certa destra. Solo che Fini, oltreché provenire dalla sinistra, non propone né compone un’ideologia, quanto piuttosto un sano realismo lo anima, dietro vi sono tomi compulsati e spremuti sino a trarre un ritratto sinottico del pre e del post Illuminismo da non lasciar adito a dubbi. Ci siamo sbagliati; e la presa di coscienza giunge forse troppo tardi.

massimofiniAntimoderno significa anche necessariamente antidemocratico, ché la democrazia è appunto, a dispetto di tutti i “genetisti politici” che ne ravvisano le radici ad esempio nell’antica Grecia (a smontare tale idiozia bastino gli studi di Luciano Canfora), un particolare frutto della modernità e della sua ostinata marcia verso un futuro sempre più oscuro. D’altra parte un uomo non certo sospetto di simpatie clericali e la cui vita non depone certo a favore d’una visione cosiddetta “tradizionale”, Charles Baudelaire, si chiedeva se tutto quel rischiaramento non ci avrebbe di fatto condotti verso il buio (lo riporta Roberto Calasso nel capolavoro della Folie Baudelaire). La democrazia, come è oggi intesa, soggiungiamo, non è altro che un’universale cortina fumogena che serve a coprire e ad anestetizzarne la percezione da parte del “popolo”, l’errore primigenio, il peccato originale di un utilizzo della ragione contro se stessa e contro le possibilità dell’uomo. I risultati paiono a molti piuttosto chiari.

Un’opera di destrutturazione, dunque, quella di Fini, di critica radicale e ben ponderata e documentata al modello di sviluppo occidentale portato, nel nostro tempo, alle sue massime e perigliose conseguenze, da cui uscire pare sempre più impossibile.

Ecco, uscirne.

massimo_finiSe un difetto ha l’opera di Massimo Fini è proprio nell’apparente assenza della pars construens. Al fondo del percorso critico non si scorge luce e tutto parrebbe terminare con una grande esplosione o con uno spegnimento preceduto da una rapida agonia. Ma è un difetto che condivide con tutti gli altri osservatori e critici della modernità, parlanti a vario titolo, i quali però partono da presupposti o ideologici (e ci risiamo) oppure dai propri egoistici desideri (individualismo che scivola nel solipsismo: e ci risiamo ancora); non certo dalla spietata compassione che muove Massimo Fini per un mondo che sa alla sua fine e alla sua contraddizione rispetto ai presupposti, ma che, proprio perché alieno da ogni contaminazione moderna, vede trasformarsi. En attendant che gli anticorpi creati dalla stessa follia moderna agiscano e pongano fine alla nostra folle corsa.

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