Malaffare romano: “Mafia fascista”?

di Enrico Galoppini

cena_romaOra che è scoppiato lo “scandalo” della cupola affaristica romana, questi giornalisti sempre alla ricerca di qualche cosa di sensazionale hanno sottolineato a più non posso la presenza in essa di “fascisti”.

“Roma città fascista” o “in mano ai fascisti” è diventato il ritornello, tanto più che le radici di questo malaffare vengono attribuite in maniera del tutto automatica ed unilaterale al periodo in cui Alemanno era il sindaco della capitale.

Che poi Alemanno sia “fascista” è questione tutta da dimostrare, sia perché in Italia viviamo dal 1945 in assenza di Fascismo, sia perché oggi, per aggiudicarsi la poltrona, tutti devono fare professione di “antifascismo”. E così ha pubblicamente fatto Alemanno.

È opportuno al riguardo ricordare che il sindaco Alemanno non ha mai mancato di farsi accompagnare in ogni dove dal capo della “comunità ebraica” romana, sostenendo con grande entusiasmo tutte le iniziative pro-Israele.

Ma sappiamo bene che ci sono pure quelli che danno del “fascista” anche a quest’ultimo, al che ci s’infila in un circolo vizioso inquinato da una propaganda settantennale che impedisce ai più di capire e cosa sia (e sia stato) il Fascismo e quali siano le radici dell’antifascismo, sia oggi sia in presenza di Fascismo storico (1922-1945).

Ma non è questo il punto che qui intendiamo evidenziare.

La cosa che dovrebbe piuttosto preoccupare tutti gli italiani, inclusi i giornalisti pettegoli e conformisti, è la seguente.

Non è che a colpi di “devoluzione” e di “autonomie” questi enti locali sono diventati una macchina mangia-soldi che non ha nulla ad invidiare a quella dello Stato?

Non sarà che istituendo “tavoli” di nominati (e non eletti) ed incaricando “cooperative” ed altri fornitori di “servizi” i Comuni e gli altri enti pubblici sono arrivati a questo punto di non ritorno?

Non era molto meglio se i Comuni avessero continuato a garantire direttamente tutta una serie di servizi indispensabili anziché indire “appalti” a destra e a manca (questo è proprio il caso di dirlo!)?

E non si venga a dire che questi ‘capolavori’ li hanno fatti “i fascisti”, o anche solo il solito Berlusconi, vera foglia di fico di quell’Italia che si autoattribuisce un “primato morale” completamente infondato.

Crediamo che meglio di qualsiasi articolo di giornale, il seguente commento a firma “Nieuport”, pubblicato sul sito Effedieffe il 3 dicembre 2014 a margine di un ottimo articolo di Maurizio Blondet, serva a chiarire dove risiede il problema. Che non sta nei “fascisti”, veri o supposti tali.

Quello che succede ora è il risultato, nemmeno paradossale o estremizzato, di quello che si è voluto realizzare, a sommo studio, e proprio per questo fine, dai partiti, e soprattutto dall’allora PCI.
Una volta i Comuni potevano spendere solo in base ai Testi unici legge comunale e provinciale del 1915 e del 1934 (leggi splendide, rigorose e chiare) che distinguevano fra spese obbligatorie e facoltative.
Ogni loro delibera di spesa passava al vaglio della Giunta Provinciale Amministrativa, che controllava e se del caso bocciava, poi sostituita dal Comitato Regionale di Controllo, anche questo un ente serio.
Tutti gli atti dei Comuni dovevano essere controllati dal Segretario Comunale, dipendente dello Stato, con il compito di assicurare la legittimità e la correttezza di ogni spesa.
Infine, gli atti dovevano essere controfirmati dai dirigenti, che rappresentavano un elemento di competenza e di stabilità rispetto ai politici, né dovevano temerli, dato che il loro stipendio era fisso e la loro carriera determinata da concorsi pubblici.
Tutto il sistema è stato volutamente smantellato, in nome dell’autonomia e della democrazia, in realtà per avere mano libera, con una serie di riforme che hanno avuto come capo il nefasto Bassanini.
Quindi ora gli enti locali possono spendere come gli pare, e magari trascurare l’assistenza ai poveri e le fognature, ma finanziare uno spettacolo di cantanti o un progetto in Africa, nessun ente di controllo è imposto sopra di loro, il Segretario comunale non c’è più, al suo posto c’è il city manager scelto dal sindaco a piacer suo, e stra-pagato. I dirigenti hanno ora stipendioni, ma determinati da premi di risultato aleatori, e sono scelti a chiamata, non ci sono più concorsi quindi, se non disonesti, sono ricattabili.
Infine per la solita idolatria di tutto quello che è privato, tanti servizi che il comune faceva direttamente con i suoi uffici, a costo contenuto, come ad esempio il mercato, la nettezza urbana, la manutenzione stradale, la gestione delle case popolari ecc. sono stati affidati a società private costituite ad hoc, con lo scopo di liberarsi dalla procedure obbligatorie per gli acquisti degli enti pubblici, e di poter dare ai dirigenti gli stipendi che gli pare.
Tutto ciò è stato fatto perché allora il PCI voleva amministrare con le mani libere, così è riuscito a fare. C’erano città, come Firenze, dove tutti gli appalti e i lavori erano assegnati solo ad aziende collegate alle Coop, dove se non eri del giro del partito non potevi nemmeno aprire una finestra. Ma questo andava bene a tutti, la politica ha assunto il controllo della spesa pubblica in ogni luogo, con i canali più adatti: in certi comuni era il PCI, poi PDS, poi PD, in altri la DC e poi la Compagnie delle Opere, in altri la massoneria, in altri la Mafia, e a Roma, scopriamo, ma lo si è sempre saputo, altri giri.
Ma vi pare che uno come Poletti queste cose non le sa da 30 anni? Quanto ad Alemanno, come sempre l’arte anticipa la realtà: basta vedere il film “Caterina va in città” per capire tutto.

Gli articoli de Il Discrimine possono essere ripubblicati, integralmente e senza modifiche (compreso il titolo), citando la fonte originale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*