Immigrazione: il ‘velo’ da sollevare non è “islamico”

di Enrico Galoppini

Female_hijab_in_IslamEsiste un “razzismo buono”?

Non si sa. Forse esiste un razzismo con un suo “perché”, ma sicuramente ne esiste uno cretino.

Pur di prendersela con gli “islamici”, cosa non si tira fuori dal cilindro per agitare un “problema”: le donne musulmane che si abbigliano col capo coperto tolgono il lavoro ai… parrucchieri italiani!

Leggere per credere (ammesso che non si tratti di un’invenzione o di un’esagerazione) il sito “Ripuliamo l’Italia”.

Ma quale problema sarà mai questo?

A dir la verità, se un “problema” esiste per questa categoria professionale è quello dei cinesi, citato nel pezzo, i quali stanno prendendo il sopravvento – in questa come in altre attività – grazie alla “liberalizzazione” dei turni di apertura e alla possibilità che hanno, in base ad “accordi” bilaterali stabiliti sotto un governo “di centro-sinistra”, di transitare dalle dogane con cifre da capogiro mentre agli italiani non è permesso portare in tasca oltre la risicata cifra di diecimila euro.

Macché, il “problema” sono le donne che essenzialmente per decoro (e non per abitudine o imposizione) scelgono di indossare sul capo una delle varianti del foulard, impropriamente chiamato “velo” (e addirittura “burqa” dai più ignoranti e prevenuti).

E a dirla tutta, se si ascolta il parere di alcuni sapienti musulmani pronunciatisi in merito, la donna musulmana (e in genere qualsiasi donna morigerata), “velata” o no, dovrebbe evitare questi “saloni di bellezza” che non sono più un luogo dove si dà una ragionevole sistemata ai capelli, ma un incitamento ad acconciarsi nei modi più provocanti e/o strampalati che anziché conferire bellezza alla donna la fanno somigliare più ad un clown o a un “selvaggio” (si pensi ai recenti “tagli” asimmetrici).

parrucchiere_cinese_gSui parrucchieri italiani ci sarebbe da dire anche altro per spiegare questa loro “crisi”. Per esempio, che non si sanno tenere stretta la clientela, con la loro supponenza ed imponendo i loro gusti, quasi fossero loro “indispensabili” ai loro clienti e non il contrario. Col risultato che molti, anche stufi di conti parecchio salati, sono scappati dai cinesi.

Ma la chicca di tutto il ragionamento esposto nel breve articolo di questi sgangherati “ripulitori” è questa: il parrucchiere cinese inviperito anche lui contro le donne musulmane, al punto che giunge a dire: “Le mie entrate stanno subendo uno stop per colpa della crisi e anche per i continui arrivi di immigrati nel nostro paese che io rispedirei a calci da dove sono partiti”.

Inutile sbalordirsi davanti ad affermazioni del genere. Chi arriva prima e si fa una “posizione” tende a difenderla dai nuovi arrivati.

Ma la questione è soprattutto un’altra. Ogni etnia, in un contesto “multietnico”, finisce per fare la guerra all’altra, come in America, patria del “melting pot”, dove l’ebreo non sopporta il nero, il nero il cinese e così via. In una guerra civile permanente di tutti contro tutti a vantaggio di chi se la spassa dall’alto della sua “rendita” e dell’assoluta sua indisponibilità ad accogliere l’ideologia del “meticciato”.

Ci sarà da vederne delle belle anche qua in Italia, se si andrà avanti così. E le avvisaglie ci sono già, checché ne dicano i professionisti dell’“accoglienza” e dell’“integrazione”.

Ma un conto è individuare quello che non va nella “società multietnica”, un altro sparare a vanvera contro lo straniero pur di additarlo a nemico pubblico numero uno e, soprattutto, per distogliere l’attenzione dei connazionali da altri problemi che emergono in tutta la loro gravità anche solo sollevando il ‘velo’ di buonismo e pressapochismo che ammanta la “questione immigratoria”.

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