Grecia: prove tecniche di uscita dall’Euro

di Michele Rallo

  grecia_acropoli_comunisti_ansa_02_1Per fortuna che c’è la Grecia a fare da cavia. Lo dico con un pizzico di cinismo, ma la realtà è quella che è. Se non ci fosse la Grecia, l’Italia si ritroverebbe già oggi commissariata dalla Troika. Se non ci fosse la Grecia, l’Italia avrebbe dovuto già subire i licenziamenti di massa e l’azzeramento di quel poco di ricchezza che ancora sopravvive. Se non ci fosse la Grecia, probabilmente, l’Italia dovrebbe affrontare per prima il dilemma elettorale pro o contro l’uscita dall’euro, con tutta la sequela di ricatti e campagne di terrore mediatico che mirano ad impaurire gli elettori.

La Grecia, invece, è già passata attraverso tutte le tappe dell’euro-tragedia, affrontando alcuni snodi politici, economici e finanziari simili a quelli che – prima o poi – dovremo affrontare anche noi. Ricordo alcuni passaggi soltanto. Eravamo nel novembre del 2011 e ad a capo del governo ellenico si trovava George Papandreu, il quale aveva per lungo tempo obbedito senza fiatare ai diktat europei ed attuato una politica di macelleria sociale che aveva strangolato il popolo greco. Ma – essendoci un limite a tutto – quando gli organismi europei chiedevano l’ennesimo pesantissimo supplemento di bassa macelleria, il fido Papandreu esitava. Forse aveva paura della reazione popolare, forse si ricordava per un attimo di essere il leader di un partito che ancora impudentemente si chiamava “socialista”… Fatto sta che, prima di calare la mannaia, il premier ellenico decideva di chiedere ai diretti interessati se erano d’accordo a farsi squartare. Indiceva perciò un referendum, attraverso il quale gli elettori greci avrebbero dovuto pronunciarsi pro o contro le misure di “rigore” imposte dall’Unione Europea.

Apriti cielo. I potentati di Washington e di Bruxelles hanno della democrazia un concetto assai vicino a quello che ne avevano Hitler e Stalin. Nel senso che, quando è possibile pilotare l’opinione degli elettori nella direzione voluta, allora le consultazioni sono le benvenute e bisogna assolutamente rispettare la volontà del “popolo sovrano”; ma quando – per somma disgrazia – ci dovesse essere il pericolo di esiti indesiderati, allora le votazioni si trasformano automaticamente in un procedimento di cui non è possibile accertare la legittimità e che è comunque viziato da infatuazioni “populistiche”. Meglio, molto meglio – perciò – sarebbe non votare per niente. Si eviterebbe così il pericolo di risultati non “politicamente corretti”: come la vittoria dei “no” al referendum sull’immigrazione in Svizzera o il recente trionfo elettorale di Putin in Russia (di cui la stampa italiana non ha parlato). Ritornando alla Grecia del 2011, siccome tutti i sondaggi pronosticavano una valanga di voti contro i figli di troika, il povero Papandreu veniva costretto a revocare il referendum, per essere subito dopo licenziato in tronco. Seguiva un accordo fra i “moderati” di destra e di sinistra (Nea Demokratia e il PASOK) e la nascita di un governo “tecnico” di “larghe intese”. A capo del governo veniva designato il locale uomo della provvidenza, che nella fattispecie era tale Lucas Papadèmos, elemento molto vicino – guarda caso – alla Goldman Sachs, la principale banca “d’affari” del pianeta.

crisi-euro-greciaA conferma della stretta relazione tra i fatti di Atene e quelli di Roma, si ricordi che in Italia un altro premier esitante – Silvio Berlusconi – veniva in quegli stessi giorni costretto alle dimissioni. Anche in Italia – continuano le storie parallele – si varavano le “larghe intese” fra pseudodestra e pseudosinistra, ed anche in Italia la guida del governo era affidata ad un “tecnico” che aveva il compito di “mettere in ordine i conti”: cioè di spremere ulteriormente gli italiani per tirare fuori altri soldi da destinare a “mantenere gli impegni con l’Europa”. Il nostro uomo della provvidenza si chiamava Mario Monti, ed anche lui – continuano le coincidenze – era stato un autorevole collaboratore della Goldman Sachs.

Dopo di che – torniamo alla Grecia – gli organismi internazionali e i media che facevano loro da megafono avevano mezzo anno di tempo per terrorizzare ben bene i greci, per instillare la paura del “salto nel buio” che avrebbe rappresentato una eventuale fuoruscita dall’euro e dall’Unione Europea. Irrobustiti così i presidi democratici, si andava alle urne nel maggio e nel giugno 2012: nonostante tutto, i partiti collaborazionisti restavano in minoranza nel Paese (48%), ma ottenevano una modesta maggioranza in seggi (179 su 300) e riuscivano a varare un governo di larghe intese destra-sinistra.

Il nuovo Primo Ministro – il destrorso Antònis Samaràs – dava naturalmente prova di totale obbedienza agli ordini della troika americano-europea, mentre i partiti d’opposizione venivano lavorati ai fianchi. I populisti di destra – Alba Dorata – erano depotenziati da una serie di tempestive iniziative giudiziarie, che portavano addirittura all’arresto di quasi tutti i loro deputati, opportunamente privati dell’immunità parlamentare. Parallelamente, i populisti di sinistra – Syriza – erano blanditi, corteggiati ed indotti a stemperare il loro antieuropeismo, anche per differenziarsi dai “neo-nazisti”.

E giungiamo così – procedendo a grandi passi – alle elezioni di domenica prossima. Secondo le previsioni, dovrebbero essere vinte da Syriza (sinistra radicale), seguita da Nea Demokratia (destra moderata) e al terzo posto, forse, Alba Dorata (destra radicale); il PASOK e la sinistra moderata sarebbero relegati al ruolo di fanalini di coda. Naturalmente, è stato puntualmente dispiegato l’intero campionario di intimidazioni mediatiche che consentì di limitare i danni nel 2012, ma questa volta sembra che non si riesca ad evitare una sonora sconfitta dei partiti eurodipendenti.

partenonePurtroppo, il vincitore annunziato – il leader di Syriza Alexis Tsipras – ha nel frattempo annacquato abbondantemente le sue posizioni e adesso non chiede più l’uscita della Grecia dall’euro, ma soltanto una rinegoziazione delle misure-capestro imposte dalla Troika per “risanare” l’economia ellenica. Scommetto che anche l’Unione Europea, la BCE e il Fondo Monetario Internazionale – posti di fronte al risultato elettorale – abbasseranno un poco le loro pretese, facendo buon viso a cattivo gioco. Ma tutto finirà lì, con qualche aggiustamento da parte troikista e, magari, con qualche sparata demagogica da parte del nuovo governo ellenico. Nella speranza – naturalmente – che la vittoria di Tsipras sia di dimensioni tali da consentirgli di mettere insieme una maggioranza parlamentare.

Nonostante tutto, però, il risultato di domenica prossima potrebbe essere un segnale forte: per la Grecia e non soltanto per la Grecia. Certo, se Tsipras fosse rimasto fedele al suo vecchio progetto di fuoruscita dall’euro, il segnale potrebbe essere ancora più forte. In ogni caso, però, la vittoria di uno Tsipras comunque euroscettico è certamente preferibile alla vittoria di un Samaràs eurodipendente ed euroobbediente. Meglio ancora, se la vittoria della sinistra radicale dovesse essere bilanciata da una buona affermazione della destra radicale. Con tanti saluti ai moderati in salsa ateniese.

Fonte: “Social”, 23 gennaio 2015 (per gentile concessione dell’Autore)

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