La globalizzazione economica: “Truffatori di tutto il mondo unitevi!”

di Enrico Galoppini

banchieriParafrasando il famoso motto marxista (che è quanto di più lontano dal mio sentire, così come ogni altra forma di pensiero riduzionista-economicista che pretenda di spiegare tutto), a ben guardare cosa accade all’economia cosiddetta “globale” si potrebbe dire che la cosiddetta “globalizzazione” stia sotto lo slogan “truffatori di tutto il mondo unitevi!”.

Industrie italiane che si credevano floride ed efficienti chiudono in quattro e quattr’otto, altre “delocalizzano” alla chetichella, altre ancora vengono “assorbite” da capitali stranieri che poi ne fan quel che vogliono. Sembra di stare alla roulette, ma qui il banco che vince sono i truffatori di questo “capitalismo” che non rischia più nulla e che s’inventa ogni sotterfugio paralegale per far credere alla massa dei “lavoratori” che il comparto produttivo è diventato sempre più simile ad un casinò. Da cui si esce quasi sempre con le tasche vuote.

Bei tempi, a questo punto, quelli dei “capitani d’industria”, i quali talvolta erano in un certo senso “illuminati” e filantropi, avendo a cuore le sorti e delle loro maestranze e quelle della loro nazione, fermo restando che non erano lì per fare della mera beneficienza.

Ma oggi, con i grandi “gruppi” quotati  in borsa sottoposti alle “fluttuazioni del mercato”, gli anonimi quanto deresponsabilizzati “consigli d’amministrazione” (e la relativa figura dell’“amministratore delegato”) e la possibilità di “delocalizzare” ed importare manodopera a basso costo (e di basse pretese) con pretesti “umanitari” siamo finiti nel peggior incubo liberalcapitalista. Con quelli che promettevano botte ed espropri ai “padroni” che oggi dovrebbero riconoscere, se fossero un minimo autocritici ed onesti intellettualmente, di aver sbagliato su tutta la linea.

La soluzione a tutto questo caos ci sarebbe, ed è a portata di mano. Basta solo volerla, tant’è vero che anche la nostra “Costituzione più bella del mondo” (sai che soddisfazione!) recepisce la possibilità della partecipazione dei lavoratori (quindi di tutti, fino all’ultimo usciere) agli utili delle imprese.

Ma il sistema condiviso da pretesi ed illusori “opposti” s’incardina sulla privatizzazione degli utili e la socializzazione delle perdite. Detto più chiaramente: quando va tutto bene, intascano solo i “CEO”, i dirigenti ed i grandi azionisti, ma quando va “male” (il che può significare anche solo una “crescita” non nell’ordine di quanto atteso) si scarica sul groppone dei lavoratori (e poi dello Stato, con tutte le “casse” che s’inventano) il problema, mentre per Lorsignori esistono le “buonuscite”, la possibilità di riciclarsi in altre aziende ecc. Insomma, loro – che predicano pazienza ed “austerità” – cascano sempre in piedi.

Oltretutto, finanche gli “utili”, in questo tritacarne che è diventata la globalizzazione economica, diventano sempre più chimerici per molte piccole e medie imprese, stante l’asfissiante pressione fiscale su ogni foglia che si muove in Italia. E se a questo aggiungiamo che una simile lotta coi mulini a vento non può che indurre negli imprenditori sfiducia e scoramento, il disastro da annunciato diventa pane quotidiano per chi, quand’anche fosse animato da qualche scrupolo morale, non può non salvare la sua pelle prima di quella dei suoi dipendenti.

Il problema di fondo di tutto questo supposto ed ancora elogiato “ordine” economico (di fatto più simile alla proverbiale “legge della giungla”) è che al centro di tutto non viene posto l’essere umano, ma qualsiasi altra cosa, cosicché egli diviene un “fattore della produzione”. Idea, questa, condivisa sia dai liberisti che dai marxisti, che ancora, sotto rinnovate vesti, ci ammorbano e ci raggirano coi loro giochi di prestigio per bambini, tra i quali rientra l’ammuffita scena della “concertazione” tra Stato, industriali e sindacati, dalla quale resta fuori il vero padrone del teatrino: la grande finanza.

Se si volesse risolvere perciò una volta per tutte questa cosiddetta “crisi” – che in primo luogo è finanziaria – basterebbero due soli provvedimenti, in un’Italia sovrana ed indipendente, conscia della sua funzione e vocazione bilanciatrice ed egemonica nel Mediterraneo: controllo dell’emissione monetaria e raggiungimento dell’autonomia produttiva nei settori strategici (compreso quello alimentare, cosa possibilissima in Italia), mentre per quello che non si ha (si pensi a certe materie prime, sempre che ogni possibilità in Italia non sia stata esperita) basterebbe instaurare una forma ammodernata di “baratto” con nazioni incamminatesi sulla stessa strada, diametralmente opposta a quella di ogni “globalizzazione”, al fine di aggirare l’annoso problema dei “pagamenti” di materie per le quali vige – anche per pigrizia ed inconfessabili tornaconti di chi protesta solo a parole – l’egemonia del dollaro.

E questo anche se “ormai” ci sono gli aerei, c’è internet eccetera, sempre per la basilare ragione che le differenti attività devono essere al servizio dell’elevazione della persona umana e del soddisfacimento delle sue elementari e vitali esigenze, e non di qualche egoistico e truffaldino interesse privato, quand’anche si camuffasse dietro i paramenti di roboanti quanto vuote parole d’ordine.

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