Divise scolastiche in stile d’antan

di Loris B. Emanuel

Donatella Garello

Donatella Garello

Donatella Garello, preside dell’Istituto alberghiero di Mondovì, provincia di Cuneo, è un’eroina. Ha chiesto – e ottenuto – che i suoi studenti indossino la divisa. E non quella da cuoco o da pasticcere, bensì una di quelle che esistevano decenni fa. Una divisa, per giunta, che dev’esser portata comme il faut, quindi niente camicie fuori dei pantaloni o cravatte alla Bossi o alla Fabio Fazio. Potrà rinunciare a essa solo chi non potrà o vorrà spendere i soldi necessari per il confezionamento. Tuttavia ciò non vuol dire che i bimbiminkia potranno seguitare a vestirsi da bimbiminkia, ma dovranno invece indossare l’uniforme, questa sì, alberghiera. Purché vi sia ordine.

E a proposito di bimbiminkia o di loro similari, la foto dei ragazzi e delle fanciulle, proprio divisati da altri colleghi, hanno qualcosa di magico. Sebbene taluni abbiano delle pettinature per le quali verrebbe da brandire una falce – i maschietti soprattutto – quella divisa conferisce loro un’aura quasi solenne. Li permea d’una serietà e di una verità che ho potuto vedere solo nei Paesi dell’Est Europa durante il comunismo. Qualcuno inorridisca pure per il riferimento, e altri storcano il naso perché non cito invece il fascismo. Il paragone con quest’ultimo ci potrebbe stare, eccome, ma l’elemento vivificante della notizia sono le immagini. Due pose che sembrano quasi rubate all’istante, invece che preparate. E anche se fossero preparate non sposterebbero l’aura che da esse promana. Del fascismo abbiamo solo foto in bianco enero, del comunismo invece a colori. Ma sono colori pallidi di immagini talvolta un poco sgranate, proprio come quelle che campeggiavano qualche giorno fa sulle pagine cuneesi della «Stampa» e che hanno il gusto degli anni Settanta e Ottanta in Romania, in Russia, a Varsavia, a Praga, a Belgrado. Erano fatte di bambini e ragazzi felici e ordinati, il contrario di oggi: liberissimi ma disordinati, nervosi, astiosi, arrabbiati, scatenati e a volte anche un po’ farabutti. Quelle due foto smentiscono l’ardito detto secondo cui l’abito non fa il monaco. E chi lo ha mai detto, poi? Semmai è il contrario: l’habitus esterno è speculare all’habitus interiore.

divisa_istitutoAver accettato maggioritariamente (in un istituto professionale, poi), ragazzi e genitori, la divisa, non significa nostalgia per luoghi e tempi che né genitori né ragazzi hanno mai visto, assaporato, persino disamato. Ma semplicemente che da qualche parte nella negletta provincia italica qualcuno ama ancora l’ordine minuto che riflette il superno e magno. Un ordine che non è autoritarismo, bensì autorevolezza e amore di sé, che alla sua volta non è orgoglietto umanoide. Sono sentimenti che sgorgano dall’imo petto e che da quelle foto si staglia nettissimo. E siamo sicuri che sgorghi anche dal volto della preside Garello, anche se non ne abbiamo visto immagine alcuna.

Che poi qualcuno abbia borbottato, com’è facile immaginare, ma poi si sia ordinato così, è già segno che l’intenzione del cuore è buona. Un piccolo inizio o piuttosto una piccola traccia che là fuori non è proprio tutto perduto, perché si sono uniti due padri, ordine e amore, nell’unico caso legittimo e senza lubriche contraddizioni.

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There is 1 comment for this article
  1. BENNATO BENNATI at 1:33 pm

    Anch’io ricordo ragazze ( ci saranno stati sicuramente anche ragazzi , ma il mio ricordo riguarda le ragazze) in divisa nella Romania degli anni ’80.
    In fila per tre o per quattro, in testa l’insegnante e avanti.. marsch!!
    Ricordo anche gli ubriachi ( di sidromele) stesi lungo i bordi del Danubio, (sembravano morti ) che il venticello della sera ricopriva delle foglie dei platani .
    Passava il pattuglione della ” Militia” e l’ufficiale , facendo leva con lo stivale, li rigirava supini , ma non capivo come, in quello stato ,potessero mai declinargli le generalità che loro richiedeva.
    Mi trovavo in quello che fino alle seconda grande guerra era stato uno dei maggiori empori commerciali ( granaglie ed altri prodotti della terra, sopratutto ) prossimi alla foce del Danubio, vicino a località dai nomi misteriosi e evocativi, Tulcea, Galati, dalle belle ville costeggianti il fiume già appartenute ai ricchi mercanti, racchiuse in cancellate in ferro battuto, bellissime ( ma all’epoca, haimé, trasformate in alloggi popolari e degradate).
    La gente era allegra e i matrimoni venivano festeggiati al ristorante con l’orchestrina che suonava ” mi sono innamorato di Marina ” ed altre canzonette italiane di venti o trent’anni prima !!
    Era quella la città in cui agli inizi del secolo era nato un certo Mihail Valsan…

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